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I demoni di Paolo

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San Paolo incoraggia a combattere contro le “potenze delle tenebre” che abitano nell’aria e che detengono il potere sugli uomini. Esse fanno capo al dominatore di questo mondo, causa dell’oscuramento della Verità e della diffusione dell’errore, che solo una fede incondizionata nel Signore, Dio degli Eserciti, è in grado di annullare.

Giancarlo Infantedi Giancarlo Infante

Quando san Paolo giunse a Pozzuoli da Malta, sfinito da un ulteriore viaggio pieno di peripezie, venne invitato a fermarsi una settimana in quello che prima di Ostia era stato il porto di Roma. A pochi passi dal mare, si trovò di fronte ad un tempio dedicato a Serapide, divinità solare di matrice greca, ma di genesi egizia. Come ad Atene, egli dovette “fremere nel suo spirito”, vedendo anche questa città piena di idoli (cfr. At 17, 16). Tuttavia, pur debilitato dall’estenuante attività apostolica descritta nell’ultimo capitolo degli Atti, Paolo non si perse d’animo e ben presto si rimise in marcia verso Roma, per riprendere la predicazione contro la falsa religiosità dei pagani, in particolare quella rivolta all’idolo solare, che egli conosceva molto bene, provenendo dalla Cilicia, la terra di Mitra.

S. Paolo. di Georges de la Tour
S. Paolo. di Georges de la Tour

Altrettanto bene aveva imparato a conoscere le persecuzioni che toccavano a chi si poneva contro le radicate superstizioni pagane. A Efeso gli si erano sollevati contro gli orafi costruttori delle statue di Diana-Artemide, protettrice delle prostitute, in crisi di affari perché la loro divinità stava soccombendo inesorabilmente di fronte alla predicazione dell’Apostolo ed il conseguente diffondersi della dottrina cristiana, che non lasciava spazio ad alternative o a strane vie di mezzo, e che quasi imponeva la fatidica scelta: o con Cristo, o contro Cristo. Molti efesini infatti avevano confessato pubblicamente il loro ricorso alle pratiche magiche e spontaneamente avevano dato fuoco a tutti i libri di magia nera in loro possesso, il cui valore complessivo ammontava a cinquantamila dramme d’argento (cfr. At 19). Una somma considerevole. Nell’Attica, la dramma d’argento corrispondeva alla paga giornaliera di un lavoratore generico. Dunque, cinquantamila giornate di lavoro. Più di una decina d’anni lavorativi di un operaio.

L’Angelo di luce

San Paolo. Basilica S. Paolo Fuori le Mura, Roma. Particolare, cortile
La guerra di Paolo. Basilica S. Paolo Fuori le Mura, Roma. Particolare, cortile

Paolo, come tutti gli altri apostoli, sostenne con chiarezza e senza tanti distinguo, l’insanabile opposizione fra il culto rivolto a Cristo e quello dedicato ai demoni. Chi non venera Cristo, venera gli idoli: «I sacrifici dei pagani sono fatti a demoni, e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore ed alla mensa dei demoni» (1 Cor 10, 19 -22). Altrove, aggiunge: «Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Beliar, o quale collaborazione fra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? Non siamo infatti il tempio del Dio vivente?» (2 Cor 6, 13-16).

A proposito della sua volontà di recarsi in Tessalonica, ove lo attendevano nuove comunità cristiane, Paolo sperimentò in modo evidente l’azione contraria del maligno, che fece di tutto per impedirgli quel viaggio apostolico: «Quanto a noi fratelli… abbiamo desiderato una volta, anzi due volte, proprio io Paolo, di venire da voi, ma Satana ce lo ha impedito» (1 Ts 2, 18). Anche su questo tema, San Paolo evita qualunque divagazione. Non è un dotto, ma un apostolo. Se parla è per mettere in guardia i suoi discepoli circa il potere reale di seduzione del maligno, che egli conosce bene. Ma dal quale è altrettanto conosciuto: «Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?», domandò lo spirito avverso ad alcuni esorcisti ambulanti giudei, prima di metterli in fuga per mano di un indemoniato, coperti di ferite ed addirittura nudi (At 19, 13).

Il maligno, proprio perché sostanzialmente ingannatore, è tuttavia così abile da dissimulare la propria natura, prendendo le sembianze della divinità che vorrebbe adombrare. Per ingannare gli uomini ed indurli nell’errore e nel peccato, «Satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni … si maschera da angelo di luce» (2 Cor 2, 11 e 11, 14).

I Dominatori del mondo

Guglie di Notre Dame, Parigi
Guglie di Notre Dame, Parigi

Paolo indica con estrema efficacia il pericolo derivante dai falsi culti, anche se lo fa in modo formalmente diverso dal suo Divino Maestro, capace di affascinare le folle con efficaci, suggestive e sintetiche parabole. Nelle sue Lettere, l’Apostolo in genere non utilizza un linguaggio attraente, poetico, allusivo come quello del Vangelo. Egli non evoca nemmeno immagini profetiche, tremendi «sigilli» da sciogliere, significati chiusi tutti da interpretare, come è in grado di fare l’apostolo Giovanni, nel misterioso libro dell’Apocalisse.

Lo stile di Paolo, a parte gli straordinari slanci cristologici, non è immediato. Ma dimesso, discorsivo, non suggestivo. A volte, apparentemente contorto, se non proprio “noioso”. Tuttavia, nessuno fra gli apostoli è più vicino a Cristo di quanto lo sia Paolo. Nessuno si identifica totalmente a Cristo, al punto da dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Nessuno condivide come lui la passione e la croce del Signore: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20). E più avanti prima di concludere bruscamente la lettera ai Galati, «O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati!» (3,1), afferma: «Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (6, 17).

Ebbene, San Paolo, così partecipe della croce ed della gloria di Cristo, ha indicato quale fossero i veri nemici contro i quali combattere: «La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Ef 6, 12). Questa affermazione dimostra l’incomparabile intelligenza spirituale di colui al quale «è stata concessa la grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8). Intelligenza che trascende decisamente i limiti degli effetti contingenti, per giungere alla causa metafisica degli eventi.

Dèi, Uomini, Demoni

Simia Dei
Simia Dei

San Paolo infatti, in virtù della particolare esperienza di Cristo, culminata con il rapimento estatico al terzo cielo, in paradiso, ove «udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare» (2 Cor 12, 4), non può che amplificare la portata temporale del «mysterium iniquitatis» già in atto (2 Ts 2, 7), non riferendolo ad uomini in particolare, ma riconducendolo alla sua vera e sola essenza: «il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che opera negli uomini ribelli» (Ef 2,2).

L’Apostolo lascia intendere che i potenti di questa terra sono a loro volta sottoposti ad un potere superiore, metafisico, costituito da quegli spiriti dell’aria ai quali sono rivolti i culti ed i sacrifici che essi celebrano. A tale potere è soggetto non solo chi partecipa, ma anche chi consenta siano celebrati tali culti illeciti.

Anticamente, era assai diffusa la credenza «che un fanciullo o gruppi di fanciulli impuberi potessero costituire i migliori depositari di rivelazioni, di sogni e di doni divinatori». Credenza avvalorata dal fatto che nell’antica Roma esistevano i «pueri magici», che i sacerdoti inducevano alla trance o al sonno magico: «Quando uno spirito è evocato nessuno ha il potere di vederlo se non fanciulli di undici e dodici anni d’età o tali che siano davvero vergini»[1].

Sant’Agostino esamina tali credenze e pratiche evocatorie rivolte a dei e demoni, nella Città di Dio. Egli riporta l’opinione comune, affermata in modo speciale da Apuleio, riguardo alla realtà animata, ordinata in tre classi: «Dèi, uomini e demoni. Gli dèi occupano la posizione più eminente, gli uomini l’infima, i demoni quella di mezzo; infatti, la sede degli dèi è il cielo, quella degli uomini la terra, quella dei demoni nell’aria» (Libro 8, 14). I demoni stanno fra gli uomini e gli dèi e fungono da intermediari. Ed in quanto tali vanno propiziati attraverso cerimonie magiche e mediante l’offerta di opportuni sacrifici. Aggiunge tuttavia il santo d’Ippona: «Essi sono invece spiriti pieni del desiderio di nuocere, totalmente alieni dalla giustizia, gonfi di orgoglio, lividi d’invidia, astuti nell’inganno; abitano nell’aria, perché abbattuti dalla sublimità del più alto cielo come punizione di una trasgressione irrimediabile e condannati a questa specie di carcere a loro conveniente» (L. 8, 22).

OPPORTUNE, IMPORTUNE

Il Demone Meridiano. Notre Dame di Parigi. Particolare
Il Demone Meridiano. Notre Dame di Parigi. Particolare

Questi stessi demoni vengono unanimemente indicati dagli esperti in esoterismo, come i veri governatori delle sette segrete. Pierre Mariel, ad esempio, concluse che queste consorterie occulte: «obbediscono tutte (ed i veri Superiori lo sanno) ad un’unica direzione. Esistono (al di sopra delle divergenze apparenti) Superiori Sconosciuti, raggruppati in un Centro del Mondo, che sono i direttori d’orchestra in quest’insieme, dove ogni società è uno strumento docile e ben accordato»[2].

Tali «superiori sconosciuti», «daimon» per intenderci, ancora presenti e più che mai attivi in mezzo a noi, rappresentano quegli spiriti del male sparsi nell’aria, contro i quali San Paolo guerreggiò senza riserve. E contro i quali non ci resta che combattere, in senso paolino, «sino alla fine e rimanere in piedi, padroni del campo» (Ef 6, 13). Del resto: «le guerre sono vinte da coloro i quali hanno saputo attrarre dai cieli le forze misteriche del mondo invisibile e sanno assicurarsene il concorso»[3]. E solo i cristiani hanno dalla loro parte il favore incondizionato delle potenze angeliche, le quali non aspettano che essere invocate in ogni occasione, «opportune, importune» (2 Tm 4, 2), per intervenire in loro favore.

_Note_

[1] F. M. Dermine, Mistici, veggenti e medium – Esperienze dell’al di là a confronto, Libreria Editrice Vaticana, 2002, p. 99.

[2] P. Mariel, Le società segrete che dominano il mondo, Firenze, 1976, p. 207.

[3] in F. Belfiori, San Paolo, Volpe Editore, Roma, 1971, p. 12.


La “13^ Apostola”: Maddalena. Clericalismo e anacronismi femministi in Vaticano

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Nel giorno che si commemora la Maddalena, che qualcuno in Vaticano, a partire da oggi, vorrebbe elevare al rango di “13° Apostolo”, per via del solito anacronismo clericale che solo ora, dopo cioè mezzo secolo, scopre il femminismo militante, con risultati esilaranti non fossero una bestemmia e la contraffazione delle Scritture, un uomo e una donna, raccontano in una luce nuova, non priva di poesia frammista al realismo, “Quella donna” perduta e ritrovata dal Cristo. La raccontano senza bandiere ideologiche e lontani da ogni clericalismo ossessionato dai “ruoli dentro la chiesa” da assegnare in base a fattori sociali e biologici, tentati paradossalmente dalla “parità”, ossia pruriti che tradiscono la smania di potere nelle sacrestie più che il bisogno di servizio nella Chiesa. Dove siamo sì tutti uguali, ma nel peccato.

Laura Fabbricinodi Laura Fabbricino

Leggo che a partire dal oggi, 22 luglio, la celebrazione di Maria di Magdala, già memoria obbligatoria nel rituale Romano, avrà “il medesimo grado di festa dato alle celebrazioni degli apostoli perché è giusto che risalti la speciale missione di questa donna che è esempio e modello per ogni donna della Chiesa”.

Dire che come donna e credente io sia caduta dalla seggiola è un eufemismo, perché in realtà dentro di me un po’ tutto ha gridato contro il tentativo di togliermi la mia dignità di donna persino all’interno della Chiesa istituzione.

Femminismo clericale a scoppio ritardato. Risibile

Francesco Hayez (1791 – 1882) CROCIFISSO CON LA MADDALENA PIANGENTE (1827) Olio su tela. Particolare
Francesco Hayez (1791 – 1882) CROCIFISSO CON LA MADDALENA PIANGENTE (1827) Olio su tela. Particolare

Di un nuovo ’68 femminile non se ne sentiva bisogno, men che meno io, che per grazia di Cristo ho ricevuto una libertà di figlia di Dio che rifiuta e ripudia ogni tentativo di darmi una collocazione permanente, in un tentativo insano e sociologico di strutturare un “ruolo” della donna nel contesto ecclesiastico.

Ci mancava una festa liturgica dall’enfasi roboante per dirmi che sono importante nella chiesa e cosa dovrei fare e come e imitando chi.

Se penso alla donna nella storia biblica ovviamente penso prima a Eva e non c’è bisogno di dire il perché e poi alla Vergine Madre Figlia del suo Figlio, Maria, ma anche la creatura umana il cui grembo partorì tutta la nuova umanità redenta, Maddalena compresa.

Maddalena… oh questa donna! Che io amo in modo così particolare, ché mi appartiene di diritto, in quanto il Vangelo me la dona, e Cristo stesso che è in me mi fa capire cosa significò per questa prostituta aver trovato uno sguardo, probabilmente l’unico, che non la guardasse come la schiava del suo corpo.

La grandezza di Maddalena fu la sua enorme caduta, il suo peccato che la soffocava fino al pensiero del suicidio, molto probabilmente, se non si fosse messa in cerca di Lui, un tale, amico di famiglia, che dicevano il Messia.

Non credo di esagerare se mi spingo a pensare che l’umanità di Maddalena la stava uccidendo. Maddalena porta nel Vangelo, in effetti, un evento nuovo: il Battesimo delle lacrime, della vergogna, del disperato e la supplica dell’olio profumato sui piedi di un uomo che non osava sporcare negli occhi fissandolo, come per altri tipi d’uomo e a ben’altri fini aveva fin lì fatto.

Si vergogna di guardare Gesù, altro che 13° apostolo!

La Maddalena piange
Antonio Ciseri, Maddalena, c.1870.

Maddalena non ha il coraggio di guardare Gesù… teme di sporcarlo. La sua sporcizia interiore rischiava di consumare i suoi giorni, magari con dei gesti estremi. Ma non mi dilungo oltre perché di letteratura enfatica e mistica ce n’è già molta su questa donna che, a mio avviso, racchiude in sé l’urlo disperato del peccatore di ogni tempo e di ogni nazione e sesso.

Maddalena, dunque, è davvero solo una donna o è un fatto circostanziale? Perché al tempo di Cristo l’uomo adultero non era giudicato se abusava del suo corpo o se accontentava i suoi istinti, o almeno: non lo era quanto la donna. Infatti, ai piedi di Gesù mancano coloro che di lei facevano mercimonio e magari erano pure tra gli invitati a casa di Simone. Maddalena include o esclude il peccato maschile, dunque?

E’ vero che Maddalena è colei a cui è stato molto perdonato perché molto ha amato. Ma tutta questa straordinaria storia di vergogna, pentimento e poi di rivoluzione totale della sua vita, che cosa ha a che fare col “ruolo della donna nella chiesa?”

Già dopo queste prime battute la domanda si fa oscura, meno zuccherosa del presupposto iniziale.

La 13° Apostola? E, di grazia, quando Gesù nel Vangelo conferì a Maria di Magdala un ruolo particolare?

Vide il Risorto per prima. Sarebbe questo il titolo onorifico che fa di Lei una sorta di privilegiata tra le donne, a tal punto da indurre a credere che forse Gesù oltre alla Madre della Chiesa intendesse dare alla sua Chiesa anche una legittima non proprio casta sposa, ma perdonata? Ci sarebbe da ridere se non fosse che ci hanno già ricamato film assurdi tempo fa.

Al sepolcro, in quel sepolcro vuoto, un primo ci doveva essere per forza e fu Maddalena.

Rifletto: colei a cui fu molto perdonato e che cambiò vita, sapeva fin troppo bene che la sua volontà era al sicuro sulla roccia della presenza di Cristo. Senza il suo Maestro poteva peccare ancora, ovvero in sé il peccato originale impresso nella carne non era morto, ma viveva nella enorme vergogna che comunque la accompagnò fin sotto la croce dove vede morire coi suoi occhi morire il suo Tutto.

A ben vedere, questa mi pare la grandezza di Maddalena: si è fatta forte della sua debolezza per restare e perseverare e arrivare al limite della follia nel non voler abbandonare un sepolcro. Maddalena era là.

Maddalena è la donna della Resurrezione non della vita

Arnold Bocklin. Maria Maddalena piange la morte di Cristo
Arnold Bocklin. Maria Maddalena piange la morte di Cristo

In nessun modo Eva, donna del giardino mandato alla rovina e alla morte, può essere contrapposta a Maddalena. Lei non annuncia la Vita. No. Lei, la Maddalena, comunica un messaggio di Resurrezione, lo va a dire in giro perché così aveva detto Gesù. Ma Maddalena in nessun modo è la donna che comunica la Vita. La Donna che comunica la Vita è e resta nei secoli la Sempre Vergine, Maria, la Madre di Lui.

Maria, moglie di Giuseppe il carpentiere, è stata la donna più perdonata di tutte e lo dico con certezza, perché non fu un modello umano di tipo superiore allorchè è stata donna tanto quanto Maddalena, con la differenza che tutto le fu perdonato in anticipo, compreso il peccato originale Senza questa misericordia al massimo della sua maestà, anche Maria poteva commettere qualunque peccato. La Vergine non ebbe il tempo di piangere su alcuna sua miseria, ma quando capì da cosa era stata preservata, sopportò per mezzo dello Spirito Santo il tremendo peso della totale innocenza. La totale innocenza è l’assenza della miseria umana e solo un vuoto totale dell’io poteva raccogliere tutto Dio e l’incarnazione del medesimo suo Figlio; ma non solo, tutta l’Incarnazione della storia fino all’ultimo giorno del mondo. Per questo a Lei, sotto la croce, a san Giovanni il teologo, Gesù disse: “Ecco tua madre”. La madre di tutti i cristiani.

E allora perché no la Samaritana?

Maria Maddalena. di john rogers herbert (1859)
Maria Maddalena. di john rogers herbert (1859)

Maddalena può, a questo punto, essere sul serio il modello apostolico della donna? Può essere manipolata la sua storia per divenire, oltre ogni corretta e fondata esegesi Biblica, un modello sociale? Perché dire la donna è come dire la folla. Non si dice nulla e tutto e ora si avrebbe la pretesa di dare un ruolo ad una folla con lo stratagemma di un nome, magari elevato a titolo di apostola.

Perché, mi chiedo io, come donna, visto che c’è tutto questo carrierismo “celeste” – e ripeto: anacronistico e risibile –  e sessista dentro la Chiesa, non fare della samaritana un’altra apostola?

“Venit mulier de Samaria haurire aquam”, disse il  Cristo al pozzo, ad una donna sconosciuta. Stessa situazione, persino di peccato! Addirittura la Samaritana senza vergogna ammette di avere avuto cinque uomini e di spacciare per marito un sesto, ma in lei, questa sconosciuta senza nome, tutto viene stravolto. Lo conosciamo bene questo racconto straordinario che si conclude con la donna che si scorda di tutto, del perché era andata al pozzo e corre in città ad annunciare: “l’ ho incontrato! L’ ho visto!”, perché era fuori di sé dalla gioia e, traboccando di ogni follia santa, non poteva più fare altro che annunciare il Signore. Divenire apostolo è questo. O meglio, fare apostolato, perché gli apostoli come fondamento della Chiesa di Cristo sono e restano i 12.

Nella liturgia bizantina è vero che Maddalena è detta “uguale agli apostoli”, ma non in Maddalena si può ridurre il modello femminile, posto che questa frase abbia una qualsiasi ragione di senso compiuto.

Io, donna, voglio essere tutti non “solo Maddalena”

Jules Joseph Lefebvre, (1836–1911) La tragedia di Maria MAddalena
Jules Joseph Lefebvre, (1836–1911) La tragedia di Maria MAddalena

Prima di concludere con un pensiero di Benedetto XVI, che della liturgia ne è il patrono indiscusso, mi preme aggiungere, a titolo di testimonianza personale, come, dopo aver letto che il modello della donna all’interno della chiesa possa essere Maddalena, abbia avuto su di me l’effetto di un capestro, un guinzaglio da cani. Perché io voglio essere madre, moglie, sorella, voglio essere il cieco che grida “Gesù Cristo, Figlio di Davide!… abbi pietà di me!”. Voglio essere Zaccheo che si arrampica su un sicomoro, quando ho bisogno che Cristo si accorga di me per fermarsi a casa mia. Voglio poter essere il lebbroso che torna a ringraziare, l’unico tra i dieci guariti. E vorrò, nel mio ultimo anelito di vita, essere anche San Dismas, già, quel Buon ladrone che si festeggia il 25 marzo, passando in secondo ordine, e che, se i santi fossero gelosi o invidiosi detesterebbero, perché tutti sono stati canonizzati da uomini, uomini di chiesa ma uomini, mentre lui è stato santificato da Cristo appeso sulla Croce.

A proposito, Dismas… quest’uomo la cui condanna alla crocifissione testimonia una grave condotta ( si dice in alcuni scritti che abbia pure partecipato al rapimento di Gesù da piccolo, nella fuga in Egitto) ma che l’evangelista ci consegna in una confessione totale e in un appello disperato, a cui Gesù risponde senza esitazione alcuna: “Oggi, con me, sarai in Paradiso”. Il giorno della redenzione del mondo il Salvatore sale al cielo con un ladrone, santificato da Lui e ammesso per primo alla vista di Dio, del Figlio e dello Spirito Santo. Più apostolo di Disma?… Eppure…

Lasciatemi essere tutto l’umano che Cristo salva in ciascuno dei suoi incontri nel Vangelo! In nome di tutta la Verità di Cristo non chiudetemi nel sarcofago di Maria Maddalena! Il mio riposo di donna, di credente e di figlia, sta nel cuore di Gesù e nel grembo purissimo e immacolato di colei che partorendo il Messia ha partorito pure me.

Non vi è altra Donna che Colei che è vestita di sole.

Maddalena è l’amore incontrato e la rivoluzione della sua storia. In definitiva è la storia di qualunque discepolo che intenda dirsi cristiano, come concluse Benedetto XVI nell’Angelus del 23 luglio 2006 a Les Combes:

“La storia di Maria di Magdala richiama a tutti una verità fondamentale: discepolo di Cristo è chi nell’esperienza dell’umana debolezza ha avuto l’umiltà di chiederGli aiuto, è stato da Lui guarito e si è messo a seguirLo da vicino, diventando testimone della potenza del suo amore misericordioso, più forte del peccato e della morte”.

Discepolo di Cristo… appunto. Senza dover aggiungere né sesso né ruoli né riduzioni, né tantomeno promozioni indebite.

“ Qui Mariam absolvisti et latronem exaudisti mihi quoque spem dedisti”.

***

TRE DONNE, UNA DONNA

di Ruggero Sangalli
Le Tre marie presso la tomba di cristo. Adolphe Bouguereau (1825-1905 francia)
Le Tre marie presso la tomba di cristo. Adolphe Bouguereau (1825-1905 francia)

Se non fosse per gli spezzatini cari agli esegeti di stampo modernista, la Tradizione ecclesiale non esclude affatto -anzi- che Maria di Betania, Maria sorella di Lazzaro e Maria di Magdala (nota come Maria Maddalena) siano la stessa persona o non due (o tre).

Oggi è la festa di Maria Maddalena, che dai racconti evangelici fu la prima a ricevere la notizia e poi a propagare l’annuncio della resurrezione di Gesù. Un compito che non nasce da “meriti mistici” o da un protagonismo esaltato dagli evangelisti: credeva che si trattasse del giardiniere!

Un ruolo che certi esegeti “cristiani”, esperti in psicologia e romanzi rosa, non esitano a radicare in una proiezione del dolore, con allucinazioni dovute all’inconsolabilità di un amore spezzato.

Propendendo per l’opzione che si tratti sempre della stessa persona, per San Luca era una “donna peccatrice” e per San Marco da lei furono espulsi “sette demoni”.

Fu lei ad ungere Gesù con l’olio costosissimo il cui “spreco” scandalizzò Giuda, sempre lei a lavare i piedi di Gesù versando lacrime di pentimento (scandalizzando il fariseo), ancora lei la Maria che seppe prendersi “la parte migliore” mentre Marta si affannava con “le cose concrete”.

Con Marta, fu testimone della resurrezione del fratello Lazzaro e con la Madonna fu presente sotto la croce, nel venerdì santo, nelle ore dell’agonia, della morte, della deposizione e della sepoltura.

Il primo giorno della settimana, quando era ancora buio, si reca con altre donne alla tomba di Gesù, intenzionata a ripetere sul cadavere di Gesù l’unzione già avvenuta sei giorni prima di Pasqua.

A lei, piangente, preoccupata della scomparsa di una salma da onorare, verosimilmente compresa nel solo orizzonte terreno del suo dolore, il Signore risorto fa la grazia di completarne la redenzione: da peccatrice pentita a colei che di Gesù sceglie la parte migliore; dalla capacità di infischiarsene del parere economico dei benpensanti alla presenza sotto la croce insieme alla Madre; da interessata alla carne di un cadavere ad annunciatrice della resurrezione del Verbo incarnato.

“Non trattenermi: devo ancora salire al Padre mio!” Gesù le dice che non si può circoscrivere l’effetto della redenzione rinchiudendolo nelle nostre misure, persino quelle colme di amore puro e sincero. C’è un oltre… Ancora più bello! Non si può nemmeno fare di Maria Maddalena un’icona della donna innamorata e protagonista di un compito ecclesiale, usandola contro Pietro e Giovanni.

Non si può nemmeno “inventarsi” in Maria Maddalena una donna più decisiva e importante, per la fede della Chiesa, della Beata Vergine Maria, l’Immacolata Concezione, l’Assunta in Cielo.

Maria di Magdala rappresenta in realtà l’umanità malata di peccato, pentita, guarita, diventata capace di riconoscere nel Cristo l’unica salvezza, per volere del Cielo, con la Volontà di Dio unica prospettiva, senza imprigionarla in qualche rivendicazione di genere, sentimentalismo o psicologia.

 

Tra il balcone del Duce e la loggia del Papa, la fede dei gerarchi fascisti

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Nell’immaginario collettivo la parola “Fascismo” e “Gerarchi” viene associata a figure lugubri, bandite a priori. Ma i cattolici, che pure sono svezzati alle “leggende nere”, saranno capaci di affrontare e superare la retorica partigiana infischiandosene della damnatio memoriae imposta su certi temi e personaggi? Quale fu, dunque, il rapporto tra i Gerarchi del regime fascista e San Pietro? Cosa c’era a metà tra il Balcone di Palazzo Venezia e la Loggia Centrale di San Pietro, sui “Colli Fatali di Roma”?

Stefano Fioritodi Stefano Fiorito

Premessa

Davanti alla crisi del nostro tempo, non è ozioso interrogarsi sulle ragioni profonde che l’hanno scatenata. Per farlo, senza rischiare di ottenere risposte non esaurienti, occorre andare alle radici del problema. Esse sono chiaramente di origine morale e spirituale. Posto che la ricerca ha un obiettivo, ovvero la verità delle cose, partendo dal presupposto dell’origine della crisi appena considerato, si può altresì considerare un aspetto specifico di essa: quello che si ripercuote nella società civile. E, considerata quest’ultima come la risultante di vari aspetti che la compongono, è impossibile non partire da quello principale: l’aspetto Religioso.

Infatti la Religione è innegabilmente il fondamento delle società, anche di quelle che si dichiarano apertamente a-religiose (o antireligiose). Anche l’anti-religione è una religione: materialista, che sposta il centro della fede. Non è dunque inutile studiare il rapporto che la Religione ha con la Società Civile, dunque con la Giustizia; ovvero con la politica. E non è inutile interrogarsi su quale rapporto sia il migliore, ovvero ottenga realmente la “tendenza” alla Giustizia. Dico “tendenza”, poiché risulta evidente (soprattutto davanti alla sentenza della storia), che non è possibile, umanamente, ottenere la definitiva Giustizia tra gli uomini, attraverso una elaborazione filosofica (ogni tentativo in questo senso si è risolto con immani tragedie: si pensi al marxismo). Essa è impossibile, perché gli uomini non sono perfetti. Si può, però, tendere ad essa, nella società, attraverso un metodo che deve essere ricercato. E questa ricerca, per essere verace, deve considerare il suo punto di partenza e di arrivo, e se avrete la pazienza di continuare a leggere, capirete cosa c’entri la fede dei gerarchi fascisti con questa ricerca.

Il male viene dall’Inghilterra

Gli anni della "Perfida Albione"
Gli anni della “Perfida Albione”

L’affannosa “ricerca della felicità soggettiva”, è stata la giustificazione all’avvento delle filosofie individualistiche in Europa. L’Inghilterra, però, non è stata la prima “madre” di tali teorie. Infatti iniziano in Italia (è l’Italia il centro della Civiltà Europea.), con il cosiddetto Rinascimento. L’Inghilterra ne ha applicato per prima le idee guida, dando vita ad una forma politica definita[1]. Ciò che avviene in Francia (culminato nel 1789), è, stando a questi studi, solo un riflesso della “rivoluzione liberale inglese”. Non è un caso, inoltre, dove sia nata la Framassoneria: in Scozia. Non è, di nuovo, un caso quando sia nata: nel 1598[2]. Insomma, la Gran Bretagna ha avuto una parte di primo piano, per non dire fondamentale, nell’assetto attuale dell’Europa.

Il secolo XVII è uno spartiacque. Infatti le istituzioni che conosciamo, con cui abbiamo a che fare oggi, ora, sono esattamente diretta emanazione di quella “rivoluzione inglese” (1688), che poi solo cronologicamente è diventata “francese”. Gli intellettuali Luministi (e non “illuministi”; il lemma è “Lumi”), in Francia si sono “ispirati” (se non vogliamo dire che hanno praticamente ricopiato) al liberalismo framassonico inglese. Il primo problema, secondo il mio parere, che è stato creato da questa “rivoluzione inglese” è forse il più grave per l’unità della civiltà europea: la frammentazione. Si dirà che prima della “modernità”, l’Europa era esattamente questo: frammentata. Un ginepraio di Principati, regni, perennemente in guerra fra loro. Ma c’era un elemento di coesione innegabile e assolutamente foriero di possibili svolte positive future: l’Unità Culturale (Cattolico-Romana) e l’idea Imperiale. I regni si facevano la guerra per perseguire un’idea di “impero europeo”, che voleva essere evolutrice della Romanità: eredità politica e culturale condivisa da tutti gli europei. Tutti, tranne gli anglo-sassoni.

La nefasta influenza inglese continua nel XVIII secolo, con le teorie sulla “Ricchezza delle nazioni”, diffuse da Smith[3]. I desideri dell’Individuo, delimitati dalla Legge che si occupa di “far finire la libertà di uno quando inizia quella dell’altro”, sarebbero “naturalmente” buoni e degni di esser perseguiti. Ecco l’origine e il perdurare della “crisi attuale”: è questa filosofia. E non si tragga in inganno il lettore, pensando a una apparente “alternativa”: il Marxismo. In realtà il Marxismo è figlio del Razionalismo inglese, figlio di Hegel (anche se quest’ultimo non è inglese, ma è un cugino degli inglesi, in quanto tedesco). Marx plaude al positivismo di C. Darwin (che è diventato “darwinismo sociale” in economia), e alla sua teoria sull’Evoluzione della Specie, che a suo tempo rallegrò molto il padre del socialismo reale.[4] Egli, semplicemente, cambia “dio” ai Liberali (che comunque giudica “necessari” per giungere alla “democrazia proletaria”: la famosa “fase borghese”): il suo “dio” è la classe proletaria. Mentre Adolf Hitler crea il dio-razza, in grande sintonia con la filosofia Inglese Razionalista e Positivista. E qui torniamo alla “questione religiosa”.

Un dio-Stato

Gli anni del "Concordato" tra stato e chiesa
Gli anni del “Concordato” tra stato e chiesa

Già. Il “grande nemico”, in queste concezioni individualistiche è solo uno: Dio. E non un generico “dio filosofico”. No. E’ il Dio Cattolico Romano. E’ la Santissima Trinità. E’ questo Unico Dio, ad essere combattuto con ogni mezzo, da questi filosofi e intellettuali individualisti. E l’Inghilterra è l’archetipo di questa lotta, che semplicemente si diffonde in Francia: e da qui ovunque. Questa guerra è solo proseguita, nel tempo. Ha assunto varie forme, ma tutte coerenti e ossequianti il razionalismo materialista.

Il XVIII e il XIX secolo, in Europa, genera i cosiddetti “nazionalismi naturalistici”. Da questi nazionalismi si verificano i “risorgimenti”, tra cui quello nostrano. Il nostro “Risorgimento”, tutto fu tranne che l’avvento dell’Unità, basata sull’indipendenza della nazione italiana. Infatti, fu diretta emanazione della volontà inglese e francese, in funzione anti-austriaca e anti-cattolica. La leva dell’irredentismo italiano, culminato nella cosiddetta “Grande guerra” (chiamata così perché è stata vinta…), ha permesso a una casta di dubbie genti, quella dei Savoia, di allargare il proprio dominio a tutta la penisola italiana, che non fu affatto Unità, ma semplicemente una annessione al Piemonte savoiardo. Che poi, lavorarono culturalmente per affibbiarsi la paternità di un moto che semplicemente rimase ad appannaggio di alcune minoranze, forti culturalmente, facenti capo a letterati come Manzoni, politici come Gioberti o Mazzini.

Minoranze che non videro affatto realizzati gli ideali Unitari originari. In Italia, comunque, le idee che “fecero l’Unità”, veicolate da Camillo Benso, conte di Cavour, furono quelle liberali framassoniche franco-inglesi. In Francia la Convenzione bandì il Dio Cattolico (lo ripeto: non un Dio qualunque, ma quello Cattolico), ed intronizzò la “dea Ragione”, che poi Robespierre fece sostituire con il suo astratto “Ente divino” razionale. Questa “divinità” non fu altro che la radicalizzazione del liberalismo inglese, e dunque l’erezione dello Stato Liberale a nuovo dio contro il Dio Cattolico.

Il due in visita alla certosa di pavia
Il duce in visita alla certosa di pavia

In Italia, dopo, non avvenne nulla di diverso, ma la profonda cultura Cattolica italiana, maturata in quasi 20 secoli, non era molto facile da sradicare. E quindi si arrivò all’ibrido del motto cavouriano, “libera chiesa in libero stato”. Praticamente un ossimoro che aveva come scopo l’“assorbimento” e la finale cancellazione della Chiesa Cattolica Romana nella società. Il Papa Pio IX, che fu definito “Papa liberale” (egli non era in disaccordo per principio alla indipendenza Italiana; solo non concordava con le modalità per l’ottenimento della stessa), promulgò infallibilmente il Sillabo, e il conseguente e logicissimo “non expedit” [5], che chiedeva ai cattolici di non partecipare alla vita politica di uno stato savoiardo usurpatore e invasore della Chiesa. In seguito si accettò che i cattolici partecipassero pragmaticamente; ma solo per opporsi.

Dunque il nuovo dio è la Ragione dell’individuo, e a causa di questa il nuovo dio è anche la nuova Legge. Il legame della Legge con la Morale, e dunque con Dio (non un dio qualunque, ma quello Cattolico), è rotto dall’Inghilterra. La Legge ora dipende dall’individuo. Il parlamentarismo ne è diretta conseguenza, ed Hegel, a seconda dell’interpretazione della sua filosofia, di “destra o sinistra”, conservatrice o progressista [6], ma sempre Liberale, è il dio della democrazia. La quale, a volte, genera radicalismi che sfociano nei socialismi reali, o in quelli paternalistici, o magari razzisti (tipo il Nazionalsocialismo hitleriano).

Un’alternativa alla modernità massonica?

Mussolini in grande uniforme col nunzio Pacelli
Mussolini in grande uniforme col nunzio Pacelli

E siamo arrivati al punto. La domanda è legittima, direi obbligatoria. E’ stata sintetizzata una alternativa alla “civiltà massonica inglese”? Sì. Sapete qual è? Il Fascismo Mussoliniano. E qui viene giù il palazzo, con tutti quelli che sono all’interno. Già sembra di sentire il lettore che si domanda come potrebbe mai essere un’alternativa il “mostro fascista mangiauomini”.

Il fatto è che il Fascismo non è un mostro, e nemmeno mangiauomini. I cattolici dovrebbero essere svezzati alle “leggende nere”, visto quella che proprio la “civiltà massonica inglese” ha creato contro la Chiesa per garantire vita all’anticlericalismo militante. Eppure lo scandalo la fa da padrone, davanti ad una affermazione del genere. Sì, il Fascismo è l’alternativa. Una montagna di studiosi, quasi sempre stranieri, a parte l’eccezione di De Felice (e i suoi “allievi”), lo hanno chiarito bene. Ovviamente, essendo in vigore il regime antifascista, nessuno studio può esimersi dal pagare pegno a questo “dio”. Dunque, fatta eccezione per la vulgata marxista, di defeliciana memoria, che definisce il fascismo come semplice “male assoluto”, gli studi più seri sono stati compiuti dai ricercatori liberali[7], i quali comunque condannano il Fascismo perché “totalitario”.

Sì, era diverso dagli altri regimi; sì, aveva una dottrina politica complessa e chiara, diversa dagli “altri totalitarismi”; sì, non era un regime poliziesco; ma era “totalitario”, una “dittatura”, dunque inaccettabile per questo[8]. Alla fine anche il Fascismo avrebbe creato un “dio-fascista”, dunque ecco servita l’ennesima “radicalizzazione del liberalismo inglese”. Invece le cose non stanno così. E non perché questo o quel fascista, se mai dopo la guerra fossero esistiti ancora, lo abbia detto (in realtà sparirono grazie alla nascita del MSI, diretta emanazione della guerra fredda in germe, e strumento di ausilio del regime “democratico”, che usava – e usa – i radicalisti di destra per alimentare l’immagine indegna e orribile del “fascista medio”[9]). Le cose non stanno così poiché sono gli ideologi del fascismo a definirle diversamente.

Col segretario di stato gasparri ai tempi dei patti lateranensi
Col segretario di stato gasparri ai tempi dei patti lateranensi. Prima a sinistra in piedi, il futuro cardinale Ottaviani

Dopo di loro, è la storia del Regime Fascista a parlare. Il problema, da parte Liberale, nasce dal fatto che il fascismo non è una dottrina politica nel senso che il liberalismo dà al termine. Infatti il fascismo non è catalogabile in modo assoluto né “a destra” né “a sinistra”. Vi sono degli elementi, nella sua applicazione storica, che lo potrebbero inserire sia nell’una, che nell’altra parte dell’ “emiciclo parlamentare”. Il fatto è che questa apparente contraddizione in essere, rimane tale solo se si tenta di “risolverla” con gli strumenti liberali. Così si avranno due interpretazioni: quella che definisce il Fascismo come fatto storico chiuso e come “regime autoritario e conservatore” (Cfr R. De Felice), dunque sarebbe “di destra”; poi c’è quella che definisce il Fascismo come un Regime “proiettato al progressismo”, che si fermò a metà a causa dei “compromessi” stipulati con la società preesistente, ma che avrebbe dovuto chiudere la sua parabola con qualcosa di simile a una “Socialdemocrazia”, prendendo ad esempio la legge sulla socializzazione delle imprese varata nel 1944, in piena guerra civile (Cfr a.e. A. J. Gregor, E. Gentile, L. La Rovere).

Si arriva a queste conclusioni, errate, perché si nega al fascismo di poter essere altro rispetto al liberalismo anglo-francese framassonico. E perché si condanna, acconsentendo al pregiudizio liberale, come mostruoso e orribile, tutto ciò che non obbedisce a certi canoni costituiti. E’ accaduto anche con la Siria di Bashar al Assad[10]. Basta che il governo di una nazione non sia nettamente “liberale”, per creare il mostro.

L'incontro privato tra il duce e papa Pio XI ratti.
L’incontro privato tra il duce e papa Pio XI ratti.

Ma tuttavia il Fascismo, così come sintetizzato dai suoi ideologi, a cominciare dal suo fondatore, è una valida alternativa ai sistemi politici framassonici. Infatti, non è catalogabile “a destra o sinistra”, perché il fascismo non è un partito politico di un regime liberale, ma è un sistema politico definito. Non è affatto vero che il fascismo non “abbia nessuna dottrina, ma sia stato un esclusivo mezzo di governo” (come molti studiosi affermarono). La Dottrina del fascismo è stata sintetizzata, in una prima pubblicazione ufficiale, dal giurista Alfredo Rocco[11], incaricato da Mussolini. Poi, nel 1932, pubblicata in un libro dell’Enciclopedia Italiana (voce: Dottrina del Fascismo). Dopodiché stampata regolarmente fino alla caduta del regime[12].

Dunque il Fascismo ha una dottrina ben definita e coerente (è falso affermare che Mussolini era un trasformista che nel 1919 diceva una cosa, e nel 1943 la negava). Tale dottrina non verte su questo o quel programma “di partito”. Come la stessa dottrina afferma: “Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità.”[13] Nella Dottrina fascista si troverà, dunque, l’identità dello “Stato nuovo fascista”, che si chiama “etico-corporativo”. E’ questa forma di Stato, diversa dallo Stato Liberale, diversa dallo Stato Collettivista, diversa dallo Stato “moderno”, che si troverà poi descritta nelle pubblicazioni ufficiali del Regime (condivise ed estese da tutti i Gerarchi ed esponenti culturali, benché provenissero da formazioni culturali differenti[14]).

In questa concezione il “partito” non esiste. Non esiste proprio come “concetto”. Infatti, lo stesso Partito fascista, ha mantenuto questa definizione di se stesso in ossequio alla sua nascita, nel 1921, quando in un contesto liberale, che Mussolini riuscì a modificare dal di dentro, essere un partito aveva un senso. Ma nelle pubblicazioni del partito, ad esempio in una pubblicazione del 1938, si affermava apertamente che il Partito fascista non era più partito, ma istituzione dello Stato. A differenza delle altre ideologie politiche, lo Stato fascista non era identificato col partito, ma il Partito era uno strumento a servizio dello Stato fascista, e subordinato ad esso[15]. Dunque: quale nuova forma di Stato era quella fascista? Che rapporto aveva con la cultura Italiana e con la religione dell’Europa, ovvero la Cattolica Romana?

I Gerarchi formano i cittadini allo “Stato nuovo”: la Religione ne è fondamento

Chiesa di Sabaudia, una delle terre "bonificate" dal regime. Particolare del mosaico: il duce mietitore
Chiesa di Sabaudia, una delle terre “bonificate” dal regime. Particolare del mosaico: il duce mietitore

E’ chiaro che lo Stato Fascista non è uno “Stato democratico”. Non nel senso comune del termine, almeno. E’ più che democratico: è organicistico[16]. La base di questo organicismo, è rappresentata dalla dottrina fascista, che è il contenuto dello Stato nuovo. Non è un caso che lo Stato fascista sia definito etico-corporativo.

Ma ora voglio lasciare la parola a un Gerarca fascista, Carlo Costamagna[17], incaricato di estendere una sintesi approfondita della Dottrina del Fascismo, che descrive in modo chiaro la soluzione definitiva ai problemi sia posti che provocati dalla “modernità” inglese, ragion per cui, facendo una cosa poco “giornalistica”, osiamo citare per intero l’interessante e vivida disquisizione di quell’intellettuale organico al regime, dopodiché molte cose vi saranno chiare:

Carlo Costamagna, il giurista che teorizzò alcune dottrine del Fascismo
Carlo Costamagna, il giurista che teorizzò alcune dottrine del Fascismo
... Si comprende perciò come la distinzione tra lo Stato e la Chiesa sia uno dèi baluardi della civiltà e come il problema della, “libertà religiosa” soltanto nei termini di siffatta esigenza acquisti un valore costruttivo. Ma si comprende nel medesimo tempo come la distinzione non significhi né separazione né negazione. I compiti della Chiesa e dello Stato sono interferenti in tutte le cosiddette “materie miste”; nelle quali i due problemi si mescolano e i due poteri vengono a stretto contatto. Ed occorre, soprattutto, una positiva consapevolezza della reciproca interferenza in cui versano i fenomeni della religione e quelli dello Stato, tenuto conto, come avvertiva Vico, che “la religione unicamente è efficace a farci virtuosamente operare, perché la filosofia, è piuttosto buona per ragionare”. Questo ultimo tratto segna il profondo divario che intercede tra la concezione fascista e le concezioni liberali e socialiste del problema. Per il liberalismo prevaleva un criterio di svalutazione della religione, anche per ciò che in essa si presenta come una forma di tradizione. Dalla propria concezione naturalistica della vita il liberalismo fu indotto a riconoscere una inferiorità della religione di fronte alla scienza e a prevedere la progressiva scomparsa del sentimento religioso. Per il liberalismo la religione non poteva essere un argomento di ordine pubblico, ma un semplice particolare nel solito sistema negativo delle “libertà”, valutate rispetto all'individuo (“libertà di coscienza”, “libertà di culto”). I liberali potevano appena arrivare ad ammettere che la famiglia monogamica costituisse un interesse generale; non già che lo costituisse la religione. In corrispondenza essi propendevano per la “morale laica”, iniziata dalla rivoluzione protestante. La quale era, del resto, profondamente illogica, come quella che pretendeva di “umanizzare” la religione pur affermando di voler rispettare la rivelazione. “Se la Riforma, come rivoluzione religiosa, non ha ucciso il diritto divino nella lettera, l'ha ucciso però nello spirito”. Nella social democrazia i motivi areligiosi del liberalismo furono svolti dalla filosofia delle società segrete affermante una fiducia assoluta nel “progresso della scienza”. Essi vennero spinti fino all'irreligiosità programmatica ed ebbe corso ufficiale l'“anticlericalismo”. Il quale diventò il minimo comune denominatore di tutte le manifestazioni distruttive e antiumane... Invece in modo specifico il Fascismo riconosce il valore della religione col restaurare il senso dei valori inerenti all'elemento della tradizione. Mentre il bolscevismo aggrava fino all'estremo il dissidio tra il passato e l'avvenire, rincalzando sulla negazione originaria della filosofia cartesiana, le rivoluzioni nazionali e popolari si alimentano dalla coscienza della continuità della stirpe e professano che nella religione va riconosciuta la più profonda esperienza storica di un popolo... Altresì valore decisivo ha il riconoscimento di un rapporto positivo tra religione e politica; tra Chiesa e Stato. Questo è correlativo al rapporto che si deve riconoscere tra religione e morale. Al qual riguardo MUSSOLINI ha detto della religione che essa “è la rivelazione di quelle verità eterne senza di che la lotta dell'uomo contro l'uomo, di tutti contro tutti, finirebbe nel caos selvaggio e nel tramonto di ogni civiltà”. E già Vico aveva affermato che: “Senza la religione di una qualsiasi divinità giammai gli uomini convennero in nazione”; precisando: “perché la pietà era dalla Provvidenza ordinata a fondare le nazioni, delle quali la pietà volgarmente è la madre di tutte le morali; economiche e civili virtù e la religione unicamente è efficace a farci virtuosamente operare, perché la filosofia è piuttosto buona per ragionare” ...
 Noi vedremo fra poco come la concezione popolare dello Stato conferisca allo Stato medesimo un contenuto e una dignità morale e vedremo altresì come nello svolgimento dello Stato fino all'idea dell'Impero si esprima il tentativo di una sintesi tra la morale e la religione. Ma, anche sotto il profilo più ristretto del problema della potenza in rapporto al fatto del governo, e al principio dell'autorità, giammai i poteri costituiti hanno potuto prescindere, senza proprio pregiudizio, dal suffragio della religione. Indiscutibile è che la coscienza mediterranea della civiltà europea ha per lungo tempo mantenuto ferma la convinzione di un rapporto necessario fra la missione imperiale di Roma e la missione cattolica della Chiesa. La definizione ufficiale di Chiesa Cattolica Apostolica Romana conferma siffatto riconoscimento; il quale fa parte ormai del contenuto storico della stessa confessione cattolica...
 I termini del problema mutarono con l'avvento delle rivoluzioni individualiste. La soluzione negativa che prevalse durante il secolo XIX col “separatismo”, secondo la formula “libera Chiesa in libero Stato”, implicò l'atteggiamento dell'indifferenza, autorizzato, come si è detto poc'anzi, dalla svalutazione razionalista dell'esperienza religiosa. Significato ostile ebbe invece il metodo del “giurisdizionalismo anticonfessionale”, adottato alla fine del secolo scorso [XIX secolo. Ndr] da alcuni regimi socialdemocratici (Francia, Portogallo) e diretto contro le manifestazioni di qualunque organizzazione confessionale della religione, coi risultati di anarchia che sono a tutti noti. Vero è che il problema dell'ordine è un problema essenzialmente morale e che esso non può venir risolto se non si utilizzano anche le risorse che provengono da quella forza dello spirito che si manifesta nella religione. Contro, dunque, il “giurisdizionalismo anticonfessionale”, concetto programmatico della socialdemocrazia e contro la determinata persecuzione del fenomeno religioso da parte del sistema sovietico, il Fascismo ha voluto addivenire ad una sistemazione e definizione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, nonché ad un regolamento in genere dell'esercizio cultuale, che segna un indirizzo radicalmente nuovo nella serie dei sistemi della politica religiosa. “Chi nella politica religiosa del regime fascista si è fermato a considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il Fascismo, oltre ad essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di pensiero” ... In effetti, il Fascismo è riuscito alla “conciliazione”, alla quale era fallito il liberalismo. E ciò per virtù della rivalutazione positiva che esso ha saputo fare dei motivi spirituali. Sicché quello che per lo Stato liberale sarebbe risultato un atto di debolezza, poiché andava contro al suo principio costituzionale, fu ed è per lo Stato fascista un'affermazione di potenza. Mediante la legge 24 giugno 1929, n. 1159 sui culti ammessi nello Stato, finalmente, si è regolata la posizione dei culti acattolici considerati nelle loro specifiche associazioni, alle quali è stato fatto un trattamento analogo a quello della Chiesa. Soltanto è dubbio che a tali culti sia consentito il proselitismo. In tal modo, pur senza disconoscere il principio della libertà di coscienza, il Fascismo ha ammesso che la Chiesa, “communitas fidelium”, ha fini autonomi da quelli dello Stato, “communitas populi”. Ed ha dichiarato in modo inequivocabile l'interessamento del potere pubblico al sentimento religioso, considerando la tutela di questo un fine di pubblico interesse... Sin dal 1924 MUSSOLINI aveva dichiarato: «Un popolo non può divenire grande e potente, conscio dei suoi destini, se non si accosta alla religione e non la considera un elemento essenziale della sua vita pubblica e privata». Nel medesimo tempo, senza adottare per lo Stato un culto determinato, il Fascismo ha riconosciuto che la religione cattolica è quella che esprime il preponderante sentimento religioso della popolazione italiana e che è legata allo svolgimento storico del popolo italiano. In tal modo lo Stato fascista non è più né uno Stato separatista, né uno Stato confessionale. Esso può definirsi uno “Stato religioso”, come quello che ammette la utilità del sentimento religioso; non peraltro la esclusività di interessi dogmatici e rituali, nel qual caso sarebbe ricaduto nel giurisdizionalismo confessionale. «L'esteriore somiglianza del Fascismo con lo stile organizzativo della Chiesa Cattolica e il fatto di avere attribuito allo Stato e alla Nazione le forze psichiche della religione, dovrebbe in teoria condurre a un antagonismo fra le due potestà; ma la pratica rivela che esse si trovano fondamentalmente d'accordo perché fondate sui medesimi principi» . Infatti, la religiosità dello Stato fascista non è generica; essa tiene conto preciso di ciò che l'istituzione della Chiesa rappresenta per il popolo italiano. «L'unità religiosa» ebbe a scrivere MUSSOLINI, «è una delle grandi forze di un popolo. Comprometterla o anche soltanto incrinarla è commettere un delitto di lesa nazione» . Inteso a riaffermare nella coscienza del popolo italiano i motivi del dovere, del disinteresse e della disciplina il Fascismo doveva ritenere, e ritenne, il fattore religioso indispensabile, quale scaturigine dei motivi più alti della trascendenza, al risultato di una etica civile per cui si costituisce lo Stato in quell’“unità morale” che è dichiarata dal § 1 della Carta del lavoro. In specie doveva ritenere, e ritenne, meritevole di una particolare considerazione, quella interpretazione cattolica della religione cristiana che ha sanzionato il dovere verso la patria fino al sacrificio della vita; che ha sostenuto con mezzi spirituali la collaborazione dei popoli dell'Europa nei tempi più aspri; che ha ispirato le più audaci imprese della stirpe nel cozzo con le altre civiltà. Per ciò MUSSOLINI ha definito la Chiesa «un altro dei pilastri della società nazionale». Le due anime dell'eterna Roma hanno trovato la loro identificazione nel concordato. Anche il movimento nazionale spagnolo ha voluto dar risalto ai valori religiosi. L'art. 25 dello statuto della Falange dichiara: «Il nostro movimento incorpora il sentimento cattolico della gloriosa tradizione predominante in Spagna, nella ricostruzione nazionale».

Che dire del rapporto fra i Gerarchi e San Pietro?

Armando Carlini
Armando Carlini

La Chiesa di Roma, nella sua concezione evangelica del “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, considera ammissibile  ogni forma di governo che “faccia salva la Giustizia”[18]. Lo Stato Fascista, così concepito, tende massimamente alla Giustizia. Anche nei contrasti storici, che pure ci sono stati, tra la Santa Sede e il Regime Fascista, come anche tra il Regime e l’Ebraismo sionista[19] o l’Islamismo “wahabita”[20] (le “famigerate leggi razziali”, certamente emanate per cinismo e utilità politica in merito alla costituenda alleanza con la Germania, frutto dell’isolamento dell’Italia, non furono affatto “razziali”, ma di “separazione dei non integrati”. Ovviamente gli ebrei non integrati, in Italia, si contavano sulla punta delle dita di una mano. Da qui il valore strumentale  della legge), la validità della formula pocanzi descritta viene solo ribadita.

E’ una questione di equilibrio da perseguire, sulla base di un’Etica Spirituale, che è esattamente il fondamento della concezione statale del Fascismo. Lo stato organico fascista, etico-corporativo, è concepito come un corpo, con un capo e delle membra, unite moralmente da una concezione spirituale civile, la cui legittimità è tratta da Dio stesso, poiché se lo Stato ha una morale, essa è tratta dall’unico “Essere Supremo” esistente: Iddio[21].

Così posso concludere prendendo in prestito un brano dell’Accademico D’Italia, filosofo fascista, Armando Carlini[22] (che fu gentiliano):

“… Lo Stato fascista può, dunque, liberamente riconoscere che, fra tutte le religioni esistenti, quella Cattolica è più delle altre consona alla sua mentalità e ai suoi fini: per la spiritualità ch’è alla base del Cristianesimo, e per il senso della vita morale concepita nel Cattolicismo secondo quegli stessi principii di disciplina, di gerarchia, di obbedienza all’autorità, che sono alla base della concezione politica del Fascismo”

 

Bibliografia

Enciclopedia Treccani On Line: www.treccani.it

A.Smith, La ricchezza delle Nazioni, Utet, 2013, 1257 p., brossura, Curatore Bagiotti A.; Bagiotti T.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (Prefazione), Laterza, Bari, 1954

Zanichelli: www.online.scuola.zanichelli.it

Marx-Engels, Opere Complete, vol. XLI

De Agostini OnLine: www.sapere.it

De Felice Renzo, Intervista sul Fascismo, cur. Ledeen M. A., 2008, Laterza;

  1. Sternhell, Nascita dell’Ideologia Fascista, Baldini & Castoldi (1993);
  2. J. Gregor, L’Ideologia del Fascismo, cur. Marco Piraino, LuluPress, 2014;

Marco Piraino – Stefano Fiorito, L’estrema destra contro il Fascismo-Saggio sullo stravolgimento dell’identità fascista attuato dalla destra italiana”, LuluPress, 2011

A.Rocco, La Formazione dello stato fascista, cur Marco Piraino, LuluPress, 2014

B.Mussolini, La dottrina del Fascismo, cur Marco Piraino, ristampa edizione Hoepli 1942, LuluPress, 2016

  1. Tarquini, Storia della cultura fascista, il Mulino, 2016

DOTTRINA DEL FASCISMO, C. Costamagna, 2 ediz. 1940

A.Matard-Bonucci, “L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei”,Bologna, 2007, Il Mulino

  1. Carlini, “FILOSOFIA E RELIGIONE NEL PENSIERO DI MUSSOLINI “, 1934, Istituto Nazionale Fascista di Cultura.

Collana Editoriale “Biblioteca Fascista”,  www.bibliotecafascista.org

*

NOTE

[1] Cfr Enciclopedia Treccani On Line, qui

[2] Ibidem, qui

[3] A. Smith, La ricchezza delle Nazioni, Utet, 2013, 1257 p., brossura, Curatore Bagiotti A.; Bagiotti T. Per una breve biografia, cfr Enciclopedia Treccani On Line, qui. Secondo queste teorie, che si fondano sul Razionalismo Radicale inglese, che è un elemento fondamentale per la filosofia materialista, l’individuo è “buono”,  la sua “naturale inclinazione” è “buona in sé”. Questo in grande sintesi. La “legge” è preminente rispetto all’Autorità. Quello che è Razionale (e lo è quello che l’individuo può “ottenere per sé”) è Legale (e dunque reale. Questa è la massima di un altro Razionalista, stavolta tedesco: Hegel* , che con la sua “dialettica” ha dato le basi alla filosofia di Marx, che era esponente della “sinistra hegeliana”).

* Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto (Prefazione), Laterza, Bari, 1954, pag.15; Cfr anche Zanichelli qui

[4] Cfr:  Marx-Engels, Opere Complete, vol. XLI, pag. 629-631: “Molto notevole è l’opera di Darwin [pensatore e positivista Inglese, ndr], che mi fa piacere come supporto delle scienze naturali  alla lotta di classe nella storia. […] Ma, nonostante tutti i difetti, qui non solo si dà per la prima volta il colpo mortale alla «teologia» nelle scienze naturali, ma se ne spiega il senso Razionale in modo empirico.””

[5] Cfr Enciclopedia Treccani On line, qui

[6] De Agostini on line, cfr qui

[7]  Per es: Cfr De Felice Renzo, Intervista sul Fascismo, cur. Ledeen M. A., 2008, Laterza; Z. Sternhell, Nascita dell’Ideologia Fascista, Baldini & Castoldi (1993); A. J. Gregor, L’Ideologia del Fascismo, cur Marco Piraino, LuluPress, 2014;

[8] Pregiudizio tipico dell’interpretazione di Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano: un partito liberale, per questo in netta antitesi con l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica

[9] Cfr Marco Piraino – Stefano Fiorito, L’estrema destra contro il Fascismo-Saggio sullo stravolgimento dell’identità fascista attuato dalla destra italiana”, LuluPress, 2011

[10] La Siria è la Patria del “Partito Baath” (che significa “Risorgimento”), e il suo Regime è di ispirazione fascista. Ovviamente non è un regime fascista strictu sensu. Ma alcune idee, come la abolizione delle divisioni politiche interne, il superamento della lotta di classe, la matrice spiritualista del movimento, l’idea di unificazione panaraba, si rifanno direttamente alla visione mussoliniana. E questo perché i suoi fondatori, tra cui il principale è il Cristiano Aflaq, hanno studiato in Europa (siamo negli anni 40 del secolo scorso ), sono venuti in contatto con l’idea di Mussolini (attraverso lo studio di Mazzini), e con l’influsso italiano dalla “vicina” Libia.

[11] Cfr Presente in A. Rocco, La Formazione dello stato fascista, cur Marco Piraino, LuluPress, 2014

[12] Cfr B. Mussolini, La dottrina del Fascismo, cur Marco Piraino, ristampa edizione Hoepli 1942, LuluPress, 2016

[13] Cfr La Dottrina del Fascismo, qui

[14] Cfr A. Tarquini, Storia della cultura fascista, il Mulino, 2016. Ecco la presentazione: “Nel tratteggiare l’universo culturale fascista questo libro segue tre direttrici: la politica culturale del regime, la condizione delle diverse arti e discipline, l’ideologia che contrassegnò lo stato totalitario. Guardando alla politica culturale messa in atto dal partito e dal governo fascista l’autrice individua le scelte della classe dirigente al potere in Italia dal 1922 al 1945; concentrandosi sugli intellettuali e sugli artisti chiarisce la portata del contributo da essi fornito al fascismo. Viene così delineata l’ideologia fascista come un sistema di visioni, di ideali e soprattutto di miti, capace di orientare l’azione politica e di promuovere una precisa concezione del mondo”

[15] Cfr Fascismo, in Enciclopedia Italiana, qui :” Il P. N. F. fu un partito politico solo nel primo periodo della sua vita. Assunto il potere, si è venuto gradatamente inserendo nello stato, collegandosi a mano a mano, sempre più intimamente, alla organizzazione statale e assumendo compiti che sono anche dello stato. Oggi del “partito” il P. N. F. non ha più che il nome. Esso si è posto nello stato come una istituzione di diritto pubblico fondamentale dell’attuale regime politico”

[16] Vedi qui

[17] Estratto da “DOTTRINA DEL FASCISMO”, C. Costamagna, 2 ediz. 1940

[18] Cfr S. Pio X, L. Notre charge apostolique

[19] Cfr M.A. Matard-Bonucci, “L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei”,Bologna, 2007, Il Mulino, pp. 144 – 150: “In Italia gli ebrei non furono «uguali» di fronte alla persecuzione a causa dell’introduzione di una procedura di discriminazione nella discriminazione. La questione non è stata ancora molto studiata, giacché di solito le storie dell’antisemitismo fascista passano rapidamente sull’argomento: ai limiti intrinseci al carattere confidenziale di alcune fonti si aggiunge probabilmente la divaricazione tra memoria e storia, nonché la volontà di ignorare quelle disposizioni che ebbero l’effetto di dividere di fatto gli ebrei: questo silenzio è la conseguenza di una posizione storiografica che negli ultimi anni ha soprattutto cercato di mettere l’accento sulla severità delle persecuzioni. La legislazione infatti distingueva due categorie di individui di «razza ebraica», i cosiddetti «discriminati» e gli altri: la divisione era fatta in base a criteri politici e «patriottici». …Il principio della discriminazione nella discriminazione, e in particolare la procedura per «meriti eccezionali», derivava dalla volontà di un potere che, ancora una volta, rifiutava di essere sottomesso all’onnipotenza del diritto, anche se ne era stato l’artefice. D’altra parte la legge cercava di conciliare un obiettivo politico principale — costruire un razzismo all’italiana — con alcune posizioni presenti nelle élite fasciste, che si erano espresse durante la discussione delle leggi razziali, come la concezione della nazione ereditata dal Risorgimento o la sensibilità cattolica“…..La procedura di discriminazione metteva in evidenza, in modo eclatante, il contributo degli ebrei alle guerre nazionali, ma anche il loro apporto non trascurabile alla causa fascista. Altri criteri (in particolare sociali) vennero probabilmente presi in considerazione, ma più per le procedure per meriti eccezionali che per le discriminazioni ordinarie.”

[20] Ne è esempio la lotta intrapresa contro Omar al Muktar, in Libia. Il capo dell’Islamismo wahabita libico, con  la sua rivolta, fu sconfitto proprio sulle basi di una colonizzazione neo-romana, che fornisse alle colonie stesse un Modello di Civiltà condiviso, quello fascista per l’appunto, che garantisse una forma di Stato erede dell’Impero Romano-Cattolico. Per una sintesi sulla colonizzazione libica, vedere “L’ITALIA FASCISTA E LA COLONIZZAZIONE DEMOGRAFICA DELLA LIBIA: premesse, sviluppi e conclusione di un progetto politico-sociale totalitario” Di Marco Piraino, su La Razon Historica, qui

[21] Nel Regime Fascista, inevitabilmente, vi erano presenti Massoni. Come detto, il fondamento Massonico del Regno D’Italia è innegabile. C’è però da sottolineare, che il Sistema Fascista è stato il primo, e finora l’unico, dopo l’Unità d’Italia, a abolire, ideologicamente, la Massoneria. Ciò si tradusse con la messa fuori legge della medesima, e con la lotta contro chi ne facesse parte. Tutti, durante il Regime Fascista, furono formalmente obbligati a professione di fede anti-massonica. La Massoneria sarà tra i principali agenti disgregatori e responsabili della caduta del Regime

[22] A. Carlini, “FILOSOFIA E RELIGIONE NEL PENSIERO DI MUSSOLINI “, 1934, Istituto Nazionale Fascista di Cultura: “Lo Stato fascista, proprio perché è uno Stato etico, sa che, per parlare in termini bergsoniani, ci sono due fonti, o si dica due punti di vista, della vita morale e religiosa dell’uomo, a seconda che questa si consideri nella realtà sociale-politica della storia, ovvero in quella interiorità dell’uomo e della personalità che è la sua spiritualità pura. Abbiamo spiegato a sufficienza, dianzi, che questi due punti di vista non si escludono, anzi sono vitalmente e indissolubilmente legati. Lo Stato fascista può, dunque, liberamente riconoscere che, fra tutte le religioni esistenti, quella Cattolica è più delle altre consona alla sua mentalità e ai suoi fini: per la spiritualità ch’è alla base del Cristianesimo, e per il senso della vita morale concepita nel Cattolicismo secondo quegli stessi principii di disciplina, di gerarchia, di obbedienza all’autorità, che sono alla base della concezione politica del Fascismo. Lo Stato ha tutto da guadagnare da questo accordo della coscienza religiosa con la coscienza politica degli Italiani, che pone termine a un dissidio rimasto, secondo l’espressione di Mussolini stesso, come una spina confitta nel profondo dell’anima nazionale. Ma la Chiesa non ha da guadagnare di meno; anzi, ha innanzi un programma da realizzare anche più vasto e profondo: liberata dagl’interessi politici, accostarsi sempre di più alle coscienze nella pura interiorità, parlare ad esse un linguaggio più intelligibile e persuasivo, rinnovare nelle menti e nei cuori i motivi di quella fede che fece la sua grandezza in altri tempi, anzi in ogni tempo. Solo per questa via alla conciliazione fra essa e lo Stato potrà seguire l’altra fra essa e il pensiero moderno.”

La religione come strumento di Satana

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Davvero le religioni sono tutte ugualmente valide? Non sono forse tutte uno strumento di oppressione e controllo sociale? Perché la storia (che supponiamo vera) di Cristo è tanto simile ad altre figure religiose (che supponiamo false) come Krishna o Attis? Superata la sorpresa per automobili ed elettricità, è ragionevole essere cristiani ancora oggi, ai tempi del web? Vi siete mai accorti che la Croce di Cristo è uno strumento di demistificazione mitologica molto più potente di Internet o dei santoni bigotti del CICAP? Tre passi in compagnia di René Girard…

 

tommaso cecchinidi Tommaso Cecchini

«Dai giorni di Giovanni Battista ad ora, il regno del cielo soffre violenza, e il violento se ne impadronisce» (Mt 11,12)

La menzogna [1] è un abile miscuglio di vero e di falso. La falsità contenuta in un’affermazione, semplicemente giustapponendosi a quanto di vero è in essa contenuto, prende forza e si nutre della luce della verità stessa. La menzogna sugge i succhi vitali del vero come un parassita attaccato al suo ospite e, infine, abbandona le spoglie vuote di una lettera ormai morta. [2]

Solo dopo aver completamente prosciugato l’energia di una verità, il falso si distacca dal suo ospite per avvinghiarsi, immediatamente, ad un altro. La falsità balugina solo per un breve attimo di fronte agli occhi degli ingenui per poi confonderli, turbarli nuovamente, millantando loro una “nuova verità”, una verità ormai impazzita, stravolta dalla menzogna. [3]

Violenza e Menzogna 

Poniamo il caso di trovarci di fronte alle seguenti affermazioni:

“Moltissimi aspetti riguardanti il Cristo sono frutto di una rielaborazione e commistione di altri miti derivati da più antiche religioni e culti misterici. Ad esempio Gesù è nato il 25 dicembre come Krishna, Zoroastro, Attis, Adonis ed altri. Gesù ha guarito dei malati e ha resuscitato dei morti, così come hanno fatto anche Krishna, Bouddha, Zoroastro, Bochia, Osiris, Serapis, Mardouk ed altri. Gesù è nato da una vergine. Allo stesso modo sono nati Krishna, Bouddha, Lao-Tseu, Conficius, Zoroastro, Attis, Ra e tanti altri. Gesù è stato crocifisso in primavera con due ladroni come Krishna, Baal. Il nuovo testamento è la più grande truffa di tutti tempi.”

“Il tuo dio, il tuo cristo, non è altro che uno dei tanti miti di morte e resurrezione presenti nella storia dell’umanità. Prima di lui Set, Horus, Mitra e tanti altri; dopo di lui, passata la moda in voga negli ultimi 2000 anni, chissà quanti ne verranno. La storicità di un uomo chiamato Gesù non ha importanza in questo poiché ciò che lo contraddistingue non è ciò che è stato, ma ciò che lo hanno fatto diventare gli uomini successivamente” [4]

"Mentite, amici miei, mentite. Qualcosa resterà sempre" (Voltaire, Lettera a Thiriot, 21 ottobre 1736)
“Mentite, amici miei, mentite. Qualcosa resterà sempre”
(Voltaire, Lettera a Thiriot, 21 ottobre 1736)

La menzogna non è sempre cosciente, tuttavia chi la sostiene è sistematicamente (anche se, magari inconsapevolmente) violento e in malafede. A differenza della verità, che è una e si impone nel mentre che si dona, tutte le innumerevoli menzogne consistono in un do ut des: pagano a vista il loro sostenitore in termini di gloria, potere, onore o, più miserevolmente, in termini di tiepido, meschino e confortevole assopimento della coscienza. [5]

Quando ci si trova di fronte a un intrico di parole tanto arrogante e rancoroso, quasi pianta d’edera velenosa che cresca lenta e inesorabile soffocando e ricoprendo il suo ospite, sono due le strade che si possono intraprendere.

La via larga prevede di isolare e debellare il male combattendone i sintomi. Estirpare i tralci d’edera uno ad uno a partire dai più prossimi a noi, affinché il corpo sano si rafforzi.
La via stretta richiede di scovare le radici del parassita immergendosi tra le foglie venefiche, ustionarsi forse, ma troncarne di netto la fonte vitale. L’edera, avvizzita, cadrà da sé.

La via larga

«Al diavolo la scienza dell’osservazione! Credi ancora che i detective riconoscano i criminali annusando la loro lozione o contando i loro bottoni? Essi cercano di individuare i criminali perché loro stessi sono mezzi criminali, appartengono a questo stesso mondo marcio e lo tradiscono, lasciando andare un ladro per acchiapparne un altro, mostrando che non esiste onore tra i ladri». (G.K. Chesterton, storia apparsa in The Chesterton Review, X, 2.)
«Al diavolo la scienza dell’osservazione! Credi ancora che i detective riconoscano i criminali annusando la loro lozione o contando i loro bottoni? Essi cercano di individuare i criminali perché loro stessi sono mezzi criminali, appartengono a questo stesso mondo marcio e lo tradiscono, lasciando andare un ladro per acchiapparne un altro, mostrando che non esiste onore tra i ladri». (G.K. Chesterton, storia apparsa in The Chesterton Review, X, 2.)

una strada molto battuta nel rispondere alle insinuazioni viste sopra, è quella di estrapolare e successivamente smentire quanto di falso si trova nella tesi riportata. Si prendono i singoli casi citati in precedenza, si studia il tema e si contrappone forza dialettica a forza dialettica.

In questo modo si può scoprire che è ridicolo paragonare il mito di Krishna con la storia di Cristo. Il primo è nato come ottavo figlio dal rapporto tra Devaki e Vasudeva, tanto che anche gli Hare Krishna rigettano l’ipotesi della sua nascita da una vergine, il secondo è nato da Maria Vergine. Il corpo di Krishna non era in tutto e per tutto paragonabile ad un corpo umano visto che, se non per un punto debole nel tallone, era invulnerabile. Krishna non ha mai camminato sulle acque o moltiplicato pani e pesci, cosa invece attribuita (ma con riconosciuta derivazione cristiana) a Madhva (1199 – 1274/76), fondatore di un movimento indù sorto proprio nella zona indiana che maggiormente aveva subito un processo di cristianizzazione. [6]
Non regge nemmeno il paragone con il mitraismo. Mitra nacque già adulto da una roccia (lasciando probabilmente dietro di sé una grotta) e non da una vergine in una grotta. La confusione con la nascita da una vergine discenderebbe dal fatto che la roccia stessa è chiamata, nel mito, “materia primordiale” o anche “prima madre”, “materia vergine”. È tuttavia chiaro come solo a seguito di un’asinina confusione lessicale si possano confondere tra loro la materia inanimata e una donna vergine. [7]

Vogliamo poi davvero paragonare il mito di Horus con la storia di Cristo? Iside e Osiride erano sposati e nessuna fonte esplicita il fatto che non avessero consumato il loro matrimonio. Il concepimento di Horus fu miracoloso, questo è vero, ma perché, dopo l’uccisione di Osiride da parte di Set, Isis ricompose i pezzi del marito e giacque con lui. Horus inoltre nacque o l’ultimo giorno del mese di ‘Khoiak’ ovvero il 15 Novembre o, secondo altre fonti, il 25 agosto e non certo il 25 dicembre. Horus aveva quattro discepoli (chiamati Heru-Shemsu) mentre una sola referenza parla di 16. Al dio egizio non vengono mai attribuiti miracoli differenti dalle guarigioni, mentre di Gesù ci sono stati tramandati la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il placare le tempeste, il tramutare l’acqua in vino, il resuscitare i morti o l’esorcizzare i demoni. [8]

Gli studi sulla diffusione del culto del dies natalis solis invicti, hanno fortemente ridimensionato la teoria legata alla sostituzione di una festa pagana. Il Natale potrebbe aver fatto la sua prima apparizione nell’Africa donatista piuttosto che a Roma, forse tra il 243 e il 311. L’analisi dei calendari legati ai turni sacerdotali del Tempio aprono, d’altro canto, altre interessanti prospettive. La nascita di Gesù alla fine di dicembre potrebbe essere coerente con una data ricavata sulla base di una serie di calcoli congiunti: quindici mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione a Maria, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista. Se non è definitivamente accertato, tuttavia non è assolutamente escluso che la collocazione di questa festività il 25 dicembre abbia seguito un proprio percorso, indipendente dalla festa del sole. [9]

Ogni termine di paragone, dunque, ha livelli differenti di analogia con la storia di Cristo e, in alcuni casi, ci si basa su mere supposizioni in mala fede, teorie spurie spacciate per vere o vere e proprie fallacie ad ignorantiam.
Tuttavia diciamoci la verità: vi ho veramente convinto? Fino in fondo?
Avrete notato che non tutte le affermazioni riportate sopra sono supportate da riferimenti bibliografici e anche le mie stesse fonti potrebbero essere sottoposte a critica. Ho inoltre trascurato di confutare qualche punto, mentre ulteriori (e forse definitive?) prove riguardo la comparabilità del “mito” di Cristo con gli altri miti potrebbero emergere in futuro. Avremo dunque bisogno di una intera vita di studi sulle religioni comparate per raggiungere la ragionevole e mai definitiva certezza che Cristo non sia un mito associabile a tutti gli altri?

L’evidenza ci mostra che abbiamo, eliminato alcuni tralci d’edera, ma non abbiamo ucciso la bestia del dubbio. Molte, forse troppe, sono le coincidenze: umanità e divinità, morte e resurrezione, cannibalismo rituale… Si giunge ad un momento in cui nemmeno la più sensazionale dialettica unita alla più alta erudizione (e non è il mio caso) riescono a trarre in salvo la differenza dalla netta e indefinita sensazione di identità che si propaga.

La via stretta

"Vedete, li avevo assassinati tutti io stesso", spiegò Padre Brown, "per questo naturalmente, sapevo come erano andate le cose" [...]"Io aspetto di essere dentro un assassino, io attendo finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, finché io mi sono piegato nell'atteggiamento del suo odio che spia e che colpisce, finché io vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi iniettati di sangue..." (GKC, I racconti di Padre Brown, pag. 597 e segg.)
“Vedete, li avevo assassinati tutti io stesso”, spiegò Padre Brown, “per questo naturalmente, sapevo come erano andate le cose” […]”Io aspetto di essere dentro un assassino, io attendo finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, finché io mi sono piegato nell’atteggiamento del suo odio che spia e che colpisce, finché io vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi iniettati di sangue…” (GKC, I racconti di Padre Brown, pag. 597 e segg.)

Dimostrando un invidiabile spirito pratico, alcuni Padri della Chiesa come Giustino Martire (100-165 d.C.) [10] e Tertulliano (160-220 d.C.) [11] decretarono che queste similitudini tra Cristo e i miti antichi erano dovute ad una “imitazione diabolica” ovvero un “plagio per anticipazione” architettato dal principe di questo mondo al fine di confondere gli uomini. Quasi due millenni dopo un principio simile, ma speculare, venne formulato come ipotesi scientifica [12] da un antropologo convertitosi al Cattolicesimo durante i suoi studi: René Girard. [13]

La chiave di volta del pensiero di Girard è enucleata nella definizione del desiderio, a partire da una triangolazione tra soggetto e “doppio mimetico”. [14] Il desiderio non sarebbe fondato, come altri hanno supposto, sull’oggetto in sé o nell’intimità del soggetto desiderante, ma sarebbe innanzi tutto desiderio di imitare, uguagliare, superare e infine umiliare il mio prossimo, cioè un soggetto terzo che diventa allo stesso tempo modello a cui ispirarsi e concorrente da battere e, se necessario, abbattere. L’oggetto desiderato si limiterebbe ad essere, dunque, un mero pretesto a cui appellarsi al fine di soddisfare la propria volontà di confronto imitativo.
Il fondamento di tutte le relazioni umane sarebbe questa mimesis, un desiderio mimetico capace di generare una spirale di concorrenza che presto muta in sopraffazione privata e, successivamente, si propaga alla società sotto forma di violenza tra differenti gruppi, in una vera e propria escalation distruttiva e generalizzata. Questa esperienza deve aver condotto le prime comunità umane a vere e proprie situazioni di “tutti contro tutti”.

All’interno delle società arcaiche colpite dall’escalation di violenza mimetica si sperimentò come questa vera e propria epidemia potesse venire arrestata concentrando tutta la violenza e il risentimento dei membri della comunità su un unico soggetto considerato un “portatore sano” del male, l’effettivo colpevole del disordine. Per prevenire e anticipare la degenerazione della violenza fino al coinvolgimento dell’intera comunità, le società umane cominciarono a formalizzare e ricreare artificialmente il momento dell’individuazione di capri espiatori e del loro successivo omicidio. Questa ripetizione sistematica, volontaria e più o meno simbolica dell’assassinio mimetico fondatore conduceva alla riedificazione della pace e dell’ordine all’interno della comunità. Era nato il sacrificio rituale.
Il sacrificio rituale, il sacro, è il vero fondamento di qualunque espressione sociale e culturale. Solo grazie all’effetto stabilizzatore del sacro hanno terreno fertile per nascere il sistema politico (il potere della vittima differita), il sistema giudiziario (basato sulla regolazione della vendetta), il sistema economico (l’addomesticamento degli animali come vittime sostitutive) e l’orizzonte culturale. [15]. Connaturato al sacro sorge e si sviluppa anche il mito, ovvero l’interpretazione della storia e la trasmissione ai posteri dell’omicidio rituale secondo uno schema interpretativo elaborato dalla comunità sacrificante al fine di auto-giustificare la propria violenza. Un esempio per tutti è rappresentato dal mito di Edipo il quale fu veramente la causa della peste a Tebe e il cui allontanamento e sacrificio riportò effettivamente la pace e la salute perdute dalla sua città. [16]

Se quanto sopra riportato è vero in merito all’antichità e alla mitologia, la Bibbia e soprattutto i Vangeli si presentano al contrario come il disvelamento del ruolo fondatore della violenza all’interno della cultura e delle istituzioni umane. Negli scritti giudeo-cristiani viene manifestata una verità misconosciuta dalla mitologia: l’innocenza della vittima sacrificale. Questo ulteriore passaggio di scoperta rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione della cultura umana: il passaggio dalla menzogna mitologica (interpretazione della storia dalla parte della comunità violenta) alla verità antropologica dell’innocenza del capro espiatorio (interpretazione della storia dalla parte delle vittime). Questa rivelazione del meccanismo vittimario, in nuce nell’Antico Testamento, è assoluta nei Vangeli. [17]
Accettando la somiglianza, almeno esteriore, tra il cristianesimo e le altre religioni arcaiche, René Girard, nei suoi studi, dimostra di aver imboccato un sentiero più stretto rispetto al primo analizzato: una via vertiginosa di cui, con tutta probabilità, inizialmente conosceva solo l’inizio ma non la fine. [18]

La religione, tutta la religione, sarebbe fondata sulla violenza più bruta.
La religione stessa, tuttavia, verrebbe redenta dalla venuta di Cristo tramite un intervento diretto del trascendente nella storia dell’uomo. Un tuffo nell’abisso come questo è possibile solo nella piena consapevolezza che la fedeltà alla realtà e alla ragione, in quanto fatte entrambe della stoffa di Dio, se mantenuta con coerenza, solo a Dio può portare. [19]

Paradossalmente il percorso affrontato da Girard avvalora da un lato l’intuitività dei primi padri della Chiesa e, dall’altro, ne ribalta contemporaneamente le conclusioni.

Non fu Satana ad imitare il Cristo, ma, incredibilmente, fu Cristo a porsi al gioco di Satana, fino a spezzarlo.

La vita di Cristo ripercorse tutto intero il meccanismo demoniaco presente nelle false religioni: “era necessario infatti che fosse identico per mostrarne al meglio la falsità” . [20]

La religione come sovrastruttura

“La democrazia non è più una polis, ma una mera rivendicazione di nuovi diritti. Lo ha detto chiaramente il ministro Peillon, un filosofo professionale prima di salire al governo: ‘La Rivoluzione francese non è finita’. La laicità deve diventare una religione che prenda il posto dell’oscurantismo cattolico, Peillon dice che è come ‘una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge’. In nessun altro paese d’Europa il secolarismo si era mai posto l’obiettivo di spazzare via la religione e imporre ai cittadini l’obbligo di aderire alla laicità. E’ un progetto pericoloso, perché come diceva Montesquieu, l’uniformità è sorella del dispotismo” (Pierre Manent, intervista, 31/01/2014)
“La democrazia non è più una polis, ma una mera rivendicazione di nuovi diritti. Lo ha detto chiaramente il ministro Peillon, un filosofo professionale prima di salire al governo: ‘La Rivoluzione francese non è finita’. La laicità deve diventare una religione che prenda il posto dell’oscurantismo cattolico, Peillon dice che è come ‘una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge’. In nessun altro paese d’Europa il secolarismo si era mai posto l’obiettivo di spazzare via la religione e imporre ai cittadini l’obbligo di aderire alla laicità. E’ un progetto pericoloso, perché come diceva Montesquieu, l’uniformità è sorella del dispotismo” (Pierre Manent, intervista, 31/01/2014)

La violenza, in qualunque sua declinazione (diretta, indiretta, fisica, morale, personale, sociale…), sta dunque a fondamento di tutte le relazioni umane. [21] Il desiderio si ingenera non dalla cupidigia per un oggetto qualunque, ma dalla brama di raggiungere e superare il prossimo per mezzo del possesso di qualcosa. [22] Questo confronto si avvia in modo incruento ma, rapidamente, cresce in ferocia trasformando il modello, il “doppio mimetico”, in un letale rivale che, desiderando il possesso delle stesse cose che noi desideriamo, si oppone al raggiungimento del nostro agognato compimento.

Il confronto al fine del possesso di un oggetto può sussistere, in sé, soltanto negli stadi iniziali dell’escalation; mano a mano che il duello si incrudelisce, si fa strada sempre più una identità, una con-fusione tra i contendenti. I doppi mimetici si fondono l’uno nell’altro fino ad essere incapaci di scindere il desiderio dell’oggetto dal desiderio di sopraffazione dell’altro. L’oggetto stesso passa in secondo piano dato che, una volta che uno dei due l’abbia ottenuto, i contendenti battaglieranno o per la difesa dello stesso o per l’appropriazione di qualcos’altro.

La peculiarità del meccanismo mimetico è quella di non influenzare solo le relazioni tra i singoli individui ma di spandersi all’interno di una comunità come un morbo infettivo, aumentando esponenzialmente il numero dei contendenti e il livello di violenza del loro confronto.

Si capisce come un meccanismo di violenza mimetica di questo tipo, una peste come questa, possa portare alla formazione di fazioni contrapposte all’interno dello stesso popolo, sollevando gli uni contro gli altri fino a mettere a repentaglio non solo la pacifica convivenza di una comunità ma la sua stessa sopravvivenza. [23]
È per questo che, fin dalla fondazione del mondo, tutte le comunità umane elaborarono un meccanismo di difesa verso questo tipo di degenerazione violenta. [24] Girard nota che, da sempre e a tutte le latitudini, quando il calore dello scontro all’interno di una comunità abbia raggiunto il suo culmine, si innesca un meccanismo di selezione di uno o più individui, preferibilmente diversi, stranieri, deboli, che la comunità, tramutatasi in folla, addita come responsabili del caos.

In un più o meno breve lasso di tempo, il processo prevede che tutti i contendenti si coalizzino contro quella vittima e arrivino ad ucciderla nell’intento di ristabilire la pace sopprimendo l’ipotizzata causa scatenante della crisi. [25] Alla fine del processo mimetico tutta la popolazione si ritroverà coalizzata nello stesso partito, la fazione degli uccisori del capro espiatorio: colui che aveva portato morte, malattia, sventura o guerra all’interno di una comunità inizialmente pacifica.
La coagulazione di tutta la popolazione dalla stessa parte ha l’effetto di sedare la violenza montante. Dopo l’assassinio del colpevole la pace viene a ristabilirsi fra i partecipanti all’omicidio (almeno fino alla successiva crisi violenta) confermando il fatto che, evidentemente, il morto fosse sia la causa delle precedenti sventure, sia, con la sua morte, la causa del ristabilirsi della pace. La potenza dell’omicidio, l’improvviso ristabilirsi di una certa serenità all’interno della comunità, spinge inoltre il popolo a congetturare che, l’ucciso dovesse essere un dio o un eroe,  dato che nessun essere umano potrebbe rivendicare per sé un tale potere. Il gesto compiuto, per la sua potenza misteriosa, si configura come l’irrompere del sacro nel vissuto quotidiano della società degli uomini. [26]

La possibilità di una duratura convivenza tra gli uomini si fonda dunque su un omicidio fondatore che, nei secoli e nei millenni, si tramanda nelle rappresentazioni rituali di quel sanguinoso atto iniziale. Il rito, definendo e ricalcando i tempi, i modi e i gesti del primo assassinio, previene e scongiura gli effetti più drammatici e sanguinosi delle possibili crisi mimetiche violente successive.

Il ritualizzarsi delle forme, nel tempo, porta ad un occultamento sempre più raffinato della brutalità iniziale facendo emergere modalità incruente di rito (tramite l’immolazione di animali, o di offerte inanimate, o di simboli …) e strutture sempre più complesse e monumentali: nasce il sacro, la religione. [27]

Tutta la civiltà umana si fonda dunque sulla religione, essa è lo strumento sociale che dà alla comunità umana la stabilità necessaria allo svilupparsi della cultura e delle arti. [28] Il sacro è il meccanismo di bilanciamento di un sistema altrimenti altamente instabile, una sovrastruttura costruita lungo i secoli per stabilizzare ciò che, se lasciato a se stesso, imploderebbe velocemente, un espediente sociale mirato al controllo della violenza tra e nei popoli.

La religione come strumento di Satana

“Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti! perché attraversate mare e terra per fare un proselito, e quando lo è diventato lo rendete soggetto alla Geenna il doppio di voi”. (Mt 23:15)
“Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti! perché attraversate mare e terra per fare un proselito, e quando lo è diventato lo rendete soggetto alla Geenna il doppio di voi”. (Mt 23:15)

Ci sono due aspetti abbastanza evidenti che abbiamo dato per scontato nel precedente paragrafo e che ora dobbiamo affrontare. Tutta la comunità, in preda a conflitti intestini sempre più distruttivi e violenti, scopre la causa e la soluzione dei suoi problemi in un colpevole, un pharmakos come lo chiamavano gli ateniesi, una volta eliminato il quale, la pace torna effettivamente a regnare. Le domande che a questo punto dobbiamo obbligatoriamente porci sono:

a) La vittima era veramente causa della violenza dilagante?

Anche solo il porre questa domanda potrebbe far sorridere più d’uno. Una risposta negativa è ovvia e scontata per noi moderni. Nell’antichità tuttavia il collegamento tra l’omicidio compiuto e i suoi benefici effetti deve aver inebriato anche le menti più elette, lasciando pochi dubbi in merito. I sacrifici, umani e animali, si trovano infatti nella totalità delle culture antiche.

Se anche un osservatore attento e onesto con se stesso avrebbe potuto sollevare qualche dubbio sulla liceità di tale atto di violenza nondimeno uno degli ultimi sostenitori del paganesimo classico, Filostrato, racconta orgogliosamente di come, dopo un primo tentennamento, tutti gli Efesini si decisero a lapidare un povero vecchio mendicante al fine di debellare la peste che affliggeva la loro città. [29]

b) Chi spinse quegli uomini a lanciare la prima pietra? Chi indicò per primo questa comoda scappatoia?

Il problema di ogni anarchia, di ogni violenza anarchica, come fa notare Chesterton, non è tanto nella sua forza dirompente, quanto nel fatto che in se stessa non possiede la facoltà di arrestarsi. [30] Questa caratteristica porterebbe inevitabilmente, in un breve lasso di tempo, all’autodistruzione della violenza stessa, a un’implosione violenta del mondo sociale: fine dei giochi. Ogni regno diviso in se stesso non può durare. [31]

Solo uno, fin dal principio della storia, ha interesse al mantenimento di uno stato perpetuo di violenza, prevaricazione, morte e menzogna: il principe di questo mondo, Satana.

Come dunque il regno della violenza può perpetrarsi senza autodistruggersi? Attraverso l’omicidio di un innocente, coalizzando tutti gli attori su un unico atto di violenza (fosse anche simbolico) volto ad uccidere il colpevole di tutti i mali. Ecco come Satana scaccia Satana. [32] La religione dunque è un meccanismo di perpetuazione della violenza, è lo strumento tramite cui Satana mantiene il suo dominio all’interno di un contesto reso di per sé freneticamente mutevole e mortalmente diviso.

Il Demonio, tramite un ingegnoso costrutto sociale, permette il temporaneo e imperfetto ristabilirsi di un ordine apparente al fine di perpetuare una violenza più grande e duratura: interrompe il coito per prolungare il piacere.

L’innocenza della vittima è un segreto che non può essere rivelato, pena il cadere di tutto il castello di carte, basato sul presupposto della colpevolezza reale della vittima stessa. Come ulteriore assicurazione contro il possibile sorgere di qualunque dubbio, Satana ha suggerito anche la creazione di una narrativa differente, elegante, rispetto alla cruda e prosaica verità. Per questo fin dall’antichità tutte le culture hanno elaborato dei miti.

Il mito non è che il racconto romanzato dell’omicidio mimetico, esso è costruito appositamente al fine di occultare la violenza gratuita per far emergere ciò che la propaganda del Demonio vuole che si tramandi: a) la vittima era colpevole di aver portato il male nella società b) la sua uccisione, in una sfrontata fallacia post hoc ergo propter hoc, è la causa del ristabilirsi dell’ordine c) non essendo possibile a nessun umano né portare tanto scompiglio né risolvere tanto male con la propria morte, è evidente che la vittima fosse un essere soprannaturale, un dio, un eroe… [33]
Ogni mito antico si sostanzia di questi elementi, Edipo, Romolo e Remo, [34] miti e riti presenti in tutte le civiltà a partire dalla coltissima Grecia [35] fino alla Roma patria del diritto. [36] La vittima stessa, tramite l’astuta propaganda Demoniaca, diventa strumento di trionfo dei suoi stessi carnefici.

Girard dichiara che non solo questo perverso meccanismo satanico di alterazione della verità non è mai stato scardinato ma, anzi, non è nemmeno mai stato messo seriamente in dubbio dagli uomini. Da sempre infatti la Storia la scrivono i vincitori e Satana, tramite la menzogna mitica, ha scritto fin dal principio la storia di questo mondo. Dopo tutto “egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna”. [37]

Vita e morte di Gesù: il trionfo di Satana

Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: ‘Pace, pace’, mentre pace non c’è. (Geremia 8:11)
Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: ‘Pace, pace’, mentre pace non c’è. (Geremia 8:11)

Se l’occultamento nel sacro dell’uccisione di un innocente sull’altare della pacifica convivenza sociale è opera di Satana, il suo capolavoro si compì, per un istante, sul Calvario. Già nella storia ebraica tutta l’umanità è stirpe di Caino, il fondatore della civiltà è l’uccisore del fratello innocente ma l’apice della violenza mimetica contro un essere indifeso, lo si raggiunse con il sacrificio dell’agnello più puro (o, a scelta, del giovane capro espiatorio) [38], nel realizzarsi sul Golgota dell’empio vaticinio di Caifa, degno figlio di Satana:

Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: ‘Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione’. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ‘Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.” [39]

Gesù, per chi se lo fosse perso, nacque a Betlemme e crebbe a Nazareth; visse da uomo integro, fece bene e si fece volere bene, diede a Cesare ciò che era di Cesare e nessuno ebbe nulla da eccepire finché, verso i trent’anni, cominciò anche a dare a Dio ciò che è di Dio. Allora cominciò a parlare con autorità, a compiere miracoli, a rimettere i peccati e a resuscitare i morti. Venne preso, giudicato, schernito e torturato; ucciso come l’ultimo dei malfattori.

Già nella legge mosaica il popolo ebraico sceglieva due capri per il rito: il primo, di Dio, veniva immolato sull’altare, il secondo, di Satana, veniva abbandonato libero nel deserto carico dei peccati del popolo. Gesù o Barabba? Gesù e Barabba. Egli fu ammazzato per il timore del potere, politico e religioso, che la sua permanenza nel mondo dei viventi portasse ulteriore scompiglio e ribellione. Il giusto fu immolato come vittima per placare gli animi, ucciso per la buona pace e prosperità del regno dei potenti.

La violenza della folla e del governo contro di Lui saziò la brama di sangue del popolo e ristorò il desiderio di ordine delle autorità. Per una volta tutti furono d’accordo: il popolo e il governo. “Tutti erano contro di lui. […] In modo che il governo gliene voleva come l’ultimo dei carrettieri.” Gran brutto affare. [40]
Spesso si ricorda come l’atto più ecumenico della storia della Chiesa sia stato, al suo inizio, il tradimento del Maestro da parte di tutti i suoi discepoli. Nessuno escluso. Nell’ottica in cui abbiamo analizzato gli eventi, questo particolare non fu né secondario né incidentale. Anche nel caso della morte di Cristo operava, potente, quella che fin qui abbiamo definito unità mimetica, la forza che coagula tutti gli uomini contro un unico capro espiatorio.

Il Demonio, in ogni caso, è uno spirito pragmatico: non richiese necessariamente che tutti prendessero parte attiva all’omicidio, fu sufficiente che non si opponessero alla volontà popolare eccitata dalle menzogne del potere. Al Demonio bastò che gli uomini di buona volontà si accontentassero di non fare nulla, era sufficiente che si rinchiudessero per paura dei giudei in qualche sala congressi, ad ammuffire nel ricordo di quell’uomo vissuto da grande ma condannato e ucciso dagli uomini. [41]
Satana scaccia Satana e ristabilisce il suo regno iniquo. Addirittura due Vangeli su quattro ci riportano il grido di Cristo dalla croce: “Eloì, Eloì, Lemà Sabactani” che vuol dire: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?” [42] È  il momentaneo ed effimero trionfo del Demonio. [43] È  il tempo in cui Pilato e Caifa divennero amici, quando i poteri di questo mondo si riequilibrarono per un attimo facendo calare una cappa di quiete e di morte sul mondo; una pace finalmente ristabilita sulla docile menzogna. [44]

La storia la scrivono i vinti: il trionfo del Cristo

"Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, salvatore del mondo. Venite, adoriamo." (Liturgia del Venerdì Santo)
“Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, salvatore del mondo. Venite, adoriamo.” (Liturgia del Venerdì Santo)

Mentre, dopo la morte del Maestro, i suoi discepoli erano dispersi, come Tommaso e i due incamminati sulla via di Emmaus, o se ne stavano rintanati come ratti in qualche sagrestia, avvenne l’imponderabile. Una forza sovrumana, per la prima volta nella storia dell’antropologia umana, ruppe il meccanismo di menzogna Satanico.
Il Nazareno era morto, nulla di più facile che dipingerlo come un uomo rivoluzionario, un precursore che aveva portato scompiglio nella società e che per questa sua indubbia colpa era stato ucciso. Un grande maestro, senza dubbio, forse il più grande, meritevole di entrare nell’Olimpo a fianco di Zeus e Apollo, Eracle ed Asclepio.
Il Demonio era indubbiamente rassicurato dall’aver elegantemente chiuso quella imbarazzante parentesi di Dio in terra con il solito trucco: facendolo cioè, ironia della sorte, ammazzare proprio da coloro che Egli era venuto ad ammaestrare. Lucifero aveva visto con soddisfazione scuotersi le fondamenta stesse della terra al seguito del più grande atto blasfemo della storia, aveva provocato l’uccisione dell’Innocente, di Dio, non l’ennesimo innocente della lista, che andava solo ad ingrassare le presenze agli inferi.

Il Diavolo, dicevamo, dopo aver contemplato con soddisfazione l’oscura fine di quell’orrido esperimento che aveva messo in dubbio il suo stesso dominio, [45] venne bruscamente risvegliato dalla notizia che il giorno di sabato provenne dal Regno Eterno: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea.” [46]

Improvvisamente intuì ciò che Paolo scrisse successivamente nella lettera ai Colossesi: “Egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce.” [47]

Satana comprese con rabbia il vero trionfo: romano, militare, della Domenica di Pasqua. Beffato e sconfitto veniva trascinato per le strade del mondo, per le strade della Storia. La menzogna propagandata da principati e potenze finalmente veniva disvelata di fronte agli occhi di tutti: il Demonio, nudo, mostrato come una scimmia  alla berlina dei suoi sudditi. Tutto ciò che aveva faticosamente costruito nel passato era svelato nella sua menzogna, tutto ciò che avrebbe potuto architettare nel futuro, descritto nell’intimo del suo perverso meccanismo.

La vittima immolata è innocente! Qualunque vittima sia mai stata o sarà mai immolata di fronte al desiderio degli uomini è stata e sarà sempre innocente! Nella vittima immolata, Dio.

Nessuna falsa mitologia avrebbe potuto trionfare poiché, con l’aiuto di Dio, la notizia doveva essere destinata ad essere scritta e tramandata; a poco sarebbero valsi i goffi tentativi di corrompere col denaro le guardie per addossare una nuova menzogna sui discepoli: lo sporco segreto di Satana veniva ora gridato dai tetti e Lucifero, pura intelligenza, comprese nella sua ira che la notizia, come una freccia, avrebbe presto fatto il giro del mondo. [48]

Di lì a poco, il tempo per le donne di raggiungere Pietro e Giovanni e di radunare tutti i discepoli, accadde proprio ciò che Satana aveva intuito:

“Il terzo giorno dopo la Passione, tuttavia, i discepoli dispersi si riuniscono di nuovo attorno a Gesù, che essi vedono come resuscitato. Avviene in extremis qualcosa che nei miti non avviene mai: fa la sua comparsa una minoranza contestataria, che risolutamente insorge contro l’unanimità persecutoria, la quale in tal modo non è più che una maggioranza, sempre schiacciante dal punto di vista numerico, ma ormai incapace, come sappiamo, di imporre a tutti la sua ‘rappresentazione’ di ciò che è successo.” [49]

Come in un racconto di Flannery O’Connor, la Grazia opera, misteriosamente, nel territorio del Diavolo; entra prepotentemente nella storia operando la conversione di coloro che cercano Dio. [50] Gesù Cristo ha compiuto il miracolo:
per la prima volta, la Storia la scrivono i vinti. [51]

Pensate allo scorno del Demonio che aveva inconsapevolmente provveduto a preparare la sua stessa disfatta, aveva firmato la sua stessa condanna inchiodando alla croce la prova delle sue menzogne, era stato battuto al suo stesso gioco.
Se avesse potuto intuire prima la beffa cui andava incontro, non avrebbe mai

lasciato crocifiggere quel Galileo. [52]

Il mondo non è più lo stesso: Satana scatenato

“Qui non c'è motivo di dubbio. Ricevere la luce di Dio, conoscere quello che Dio vuole da noi e non farlo, è un grande oltraggio alla Maestà di Dio. Una tale anima merita che Iddio l'abbandoni completamente; è simile a Lucifero, che ricevette tanta luce, ma non eseguì la volontà di Dio. Una misteriosa tranquillità è entrata nella mia anima, quando ho considerato che, nonostante le grandi difficoltà, ho sempre seguito fedelmente la volontà di Dio da me conosciuta. O Gesù, concedimi la grazia di attuare la Tua volontà da me conosciuta, o Dio.” (suor Faustina Kowalska, diario, + 29 giugno 1936)
“Qui non c’è motivo di dubbio. Ricevere la luce di Dio, conoscere quello che Dio vuole da noi e non farlo, è un grande oltraggio alla Maestà di Dio. Una tale anima merita che Iddio l’abbandoni completamente; è simile a Lucifero, che ricevette tanta luce, ma non eseguì la volontà di Dio. Una misteriosa tranquillità è entrata nella mia anima, quando ho considerato che, nonostante le grandi difficoltà, ho sempre seguito fedelmente la volontà di Dio da me conosciuta. O Gesù, concedimi la grazia di attuare la Tua volontà da me conosciuta, o Dio.” (suor Faustina Kowalska, diario, + 29 giugno 1936)

Ora che la menzogna sottostante al meccanismo vittimario è stata svelata, il mondo non può più essere identico a prima. [53] La norma antropologica che regolava la società umana fin dal suo sorgere è radicalmente mutata poiché la malvagità, l’ingiustizia, insita nell’assassinio rituale, è emersa alla luce e non può più essere ignorata. Prima di Cristo la vittima veniva identificata con il colpevole e l’umanità era giustificata di fronte a dio e agli uomini per la violenza perpetrata. L’accusa del mondo era sufficiente a rendere colpevole la vittima e la pace scaturita dal sacrificio della vittima era la controprova della sua stessa colpevolezza.

Dall’annuncio del sacrificio di Cristo in poi, ogni volta che l’uomo verrà chiamato a sacrificare una vittima nell’interesse della comunità, saprà che essa è innocente e il persecutore colpevole, saprà di commettere un peccato che grida al cospetto di Dio.
Dalla morte di Cristo il mondo entra nell’apocalisse, nel processo di disvelamento del Cristo nella storia fino al momento della sua nuova venuta. [54] Ormai Satana è svelato e il meccanismo di autoregolazione della violenza disinnescato.

L’uomo ormai si trova da solo di fronte alla propria responsabilità e violenza, senza più la possibilità di ricorrere alla grande narrazione mitica, all’escamotage che aveva garantito per millenni il riciclaggio delle coscienze. [55] Il desiderio, la violenza desiderante, la concorrenza, non può più essere assopita nemmeno per un momento dal balsamo della falsa religione.

Per questo motivo il mondo, una volta liberato dalla schiavitù dei miti e dei riti, non giunge ad una pacificazione ma ad un nuovo livello di consapevolezza militante. Dalla resurrezione di Cristo in poi coloro che non riconoscono la vera religione saranno condannati, impossibilitati come sono a ricorrere a riti sacrificali catartici, ad una duplice condanna.

La prima deriva dall’esponenziale crescita dell’uniformità degli attori sociali: il mimetismo ancora presente nel tessuto umano infatti non può limitare se stesso e la concorrenza fra i doppi mimetici cresce parallelamente alla crescita dell’uniformità tra gli stessi. Il rischio è quello di una perdita di differenze e senso della gerarchia con il conseguente acuirsi di invidie ed odi reciproci. Tutti saranno contemporaneamente nemici e perfette copie gli uni degli altri. Il mondo dunque non potrà più pacificarsi, nemmeno temporaneamente.

Da qui, per i singoli, deriva anche la condanna alla consapevolezza che qualsiasi desiderio non può sopravvivere alla conquista dell’oggetto desiderato e che dunque, per sopravvivere, il desiderio sarà costretto a rincorrere se stesso in una corsa infinita verso il nulla: ogni desiderio porta in sé la propria frustrazione. [56] Per questo il desiderio moderno, declinato nella sua semplice sfera materialistica e consumista, si è contratto fino a risiedere non tanto nell’ottenimento dell’oggetto o del prodotto desiderato quanto nel disfarsi, nel sacrificare, il prodotto già posseduto sull’altare di quello che ancora dobbiamo possedere.

Il momento del vero godimento, del soddisfacimento del desiderio non sta nel comprare la nuova versione di un prodotto, quanto nel gettare via quella vecchia. La cultura dello scarto si è elevata a nuovo, perennemente insoddisfacente, meccanismo di controllo sociale. [57] La modernità si ritrova così in un accanito processo rivoluzionario di creazione, presto abortita, di capri espiatori successivi; nell’ individuazione ed eliminazione costantemente frustrata dei colpevoli del male nel mondo.

“Nel Vangelo di Luca Cristo vede Satana ‘cadere dal cielo come la folgore’. Evidentemente, il diavolo cade sulla terra, dove non resterà inattivo. Non è la fine immediata di Satana che Gesù annuncia, o almeno non ancora, è la fine della sua trascendenza menzognera, del suo potere di riordinamento. Per designare le conseguenze della rivelazione cristiana il Nuovo Testamento dispone di una vasta gamma di metafore.

Si può dire, come ho già fatto, che Satana non può più scacciare se stesso, o che non può più incatenarsi, il che in fondo equivale a dire la stessa cosa. Siccome i giorni di Satana sono contati, egli ne approfitta più che può e, in modo assolutamente letterale, si scatena.” [58]

Il mondo non è più lo stesso: l’imitazione di Cristo

“Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far NULLA. (Gv 15:5)
“Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far NULLA. (Gv 15:5)

Se l’imitazione è l’essenza dell’umano, l’unica alternativa alla violenza mimetica, all’imitazione del prossimo e dunque alla sottomissione al meccanismo satanico è l’imitazione di Cristo.

Se infatti in conclusione non si presentasse anche un’alternativa alla dinamica violenta, la nostra potrebbe essere al più considerata una digressione antropologica disperata e anche un po’ luterana utile solo ad ammuffire nel risentimento.
Eravamo partiti da una domanda: il cristianesimo non è troppo simile a tante, troppe, altre religioni per essere vero? Se diamo fiducia a quanto sostenuto finora dobbiamo concludere che, nella totale singolarità dell’evento cristiano, tutti i caratteri di somiglianza con altre religioni devono essere considerati come elementi di rafforzamento della singolarità dell’evento cristiano stesso.

Possiamo dunque distinguere le religioni in due grandi gruppi:

A) Le religioni nate e fiorite al fine di perseguire il controllo sociale attraverso la normazione del desiderio mimetico tramite l’omicidio più o meno rituale. Le false religioni.

B) Le religioni che spezzano il meccanismo mimetico mostrando l’innocenza della vittima. Le vere religioni.

Lungi dall’essere una religione come un’altra il cristianesimo è l’unica religione che presenta le caratteristiche della vera religione. Il cristianesimo è l’unica religione che mostra un oggettivo e scientificamente dimostrabile elemento soprannaturale entrare nella storia dell’uomo. [59]

Se la mimesi, l’imitazione, è una caratteristica antropologica costitutiva dell’uomo, a fronte dell’imitazione del doppio mimetico che propone il mondo si pone dunque un solo altro tipo di imitazione: l’imitazione di Cristo. Entrambe le imitazioni presentano dinamiche di intensità crescente, vere e proprie escalation ma se la prima è un’escalation di violenza, la seconda è escalation di amore: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” qualunque altro modello si rivela, presto o tardi, un falso idolo, un concorrente da abbattere.
L’ imitazione dell’altro si contrappone all’imitazione di Cristo in una vera e propria “antropologia della conversione”.

Ad oggi la strategia di Satana consiste nell’obliare e confondere l’unicità del messaggio di Cristo. Se infatti la verità dell’innocenza del capro espiatorio non può più essere cancellata tuttavia può essere posta nell’oblio, al fine di tentare la restaurazione, in sistemi chiusi di dimensioni minori, del meccanismo violento pagano. [60]

In alternativa si può confondere in un calderone indistinto, in una notte in cui tutte le vacche sono grigie, l’incredibile novità cristiana, appiccicando un generico messaggio di amore anche a tutte quelle religioni che non lo portano in sé ma lo derivano dal cristianesimo stesso. [61]

Entrambi gli approcci, invece di contribuire alla verità, tentano di ristabilire un fideismo volto al controllo sociale dell’imbecille collettivo, [62] teso ad individuare la prossima vittima tra i possibili capri espiatori (chi preferite? cristiani, ebrei, musulmani, immigrati, negri, cinesi, fascisti, tedeschi, statunitensi, iraniani, capitalisti, comunisti, politici, evasori,  …).

Il cristianesimo è l’unico che si fonda su ragione e fede e in cui l’unica via di salvezza sta nella sequela di Colui che ha fatto sì che il segreto di Satana, nascosto sin dalla fondazione del mondo, fosse gridato sui tetti: la vittima delle false religioni degli uomini è innocente. [63]

Tutto il resto è connivenza con il potere di Satana, menzogna, cedimento alla prima tentazione: “adorami, e ti darò tutti i regni della terra”. [64]

Cristo venne a sconfiggere la morte e redimere gli uomini dal peccato, Egli non venne a farsi crocifiggere ma accettò la crocefissione come unica via di salvezza per noi; altre volte avevano tentato di ucciderlo ma egli se ne era andato anche usando mezzi non convenzionali: “passando in mezzo a loro”.

La sequela di Cristo non consta dunque, come molti predicatori moderni dell’ammore con due “m” vanno insegnando, nel farsi sopraffare dai propri nemici, ma nel combattere il peccato restando nella Verità, anche al prezzo della propria vita, poiché nessuno, agli occhi di Dio, sarà mai un eroe anonimo.

Da qui a buttarla in politica, il passo è breve. Abbiamo visto come il messaggio di Cristo ha contemporaneamente una valenza personale ed una sociale, inscindibili l’una dall’altra.

Sostenete questa tesi, ora: sostenete che tutte le religioni sono uguali e magari portano anche a trovare Dio.

La nostra condotta di vita si suddivide in due sole categorie: la sequela come imitazione di Cristo e la sequela come imitazione del Demonio.

Regoliamoci di conseguenza.

“Io non penso che si possa mettere tra parentesi una fede che è responsabile del meglio che c’è nel mondo moderno. Questo appare totalmente artificiale. Io non penso che tu possa mettere tra parentesi nessuna idea o ideale che davvero sostieni – o che ti sostiene. Se tu metti tra parentesi qualcosa che è centrale per la tua vita, tu diventi un’ombra di te stesso e la tua intelligenza non è efficiente. Non c’è scienza senza fede. Ogni cosa grande è sempre questione di fede… Se credi che la fede cristiana è verità, incluso la verità sulla società, tu non raggiungerai la verità mettendola tra parentesi» [65]

 

 

NOTE

[1] “È una strana e lunga guerra quella in cui la violenza tenta di opprimere la verità. Tutti gli sforzi della violenza non possono indebolire la verità, e non servono che a innalzarla maggiormente. Tutti i lumi della verità non possono nulla per arrestare la violenza, e non fanno che irritarla di più. Quando la forza combatte la forza, la più potente distrugge la minore; quando si oppongono i discorsi ai discorsi, quelli che sono veri e convincenti confondono e dissipano quelli che hanno soltanto vanità e menzogna: ma la violenza e la verità non possono nulla l’una sull’altra. Da ciò non si pretenda però di concludere che le cose siano uguali; perché vi è questa estrema differenza, che la violenza non ha che un corso limitato dall’ordine di Dio, il quale ne conduce gli effetti alla gloria della verità che essa assale; mentre la verità sussiste eternamente, e trionfa infine dei suoi nemici, perché è eterna e potente quanto Dio stesso” B.Pascal,Le Provinciali.
[2] “Il desiderio utilizza sempre ai propri fini il sapere che acquisisce di se stesso; pone la verità, insomma, al servizio della sua menzogna, ed è sempre meglio armato per distruggere tutto ciò che a lui si abbandona, per mobilitare tutto, negli individui e nelle comunità, a vantaggio del “double bind” costitutivo, per sempre più sprofondare nel vicolo cieco che lo definisce. L’idea del demonio porta-luce va molto più in là di tutta la psicoanalisi. Il desiderio è portatore di luce, ma di una luce messa al servizio della sua stessa oscurità. Questo carattere propriamente luciferino spiega il ruolo del desiderio in tutte le grandi invenzioni della cultura moderna, nell’arte e nella letteratura.” René Girard, delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo.
[3] “L’errore è una verità impazzita, contiene una parte di verità, ma questa parte pretende di essere la verità assoluta” GK Chesterton, Eretici.
[4] Interventi su due blog che non meritano l’onore della citazione, ne troverete a bizzeffe anche recandovi al bar…
[5] «Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro.» (Giov., 8, 43-44).
[6]http://www.perfettaletizia.it/archivio/infomazione/miti/krishna.htm
[7] Cfr http://www.apologeticacattolica.it/ges%F9_mitra.htm; Proceedings of the First International Congress of Mithraic Studies. G. Bardy La conversione al cristianesimo nei primi secoli
[8] http://dallaragioneallafede.blogspot.it/2009/11/gesu-non-e-la-copia-di-divinita-egizie.html. Rodney Stark, Il trionfo del cristianesimo
[9] Messori, ipotesi su Gesù
[10] Giustino, I Apologia XLVI, 44.
[11] Tertulliano, “certamente dal diavolo, il cui ruolo sta nel pervertire la verità, poiché tramite i misteri degli idoli imita le stesse realtà dei sacramenti. Anch’egli battezza alcuni, ossia i suoi credenti e fedeli; promette loro la liberazione dei delitti una volta usciti dal lavacro; e, se mi ricordo ancora di Mitra, là egli segna sulla fronte i suoi soldati. Egli celebra anche l’oblazione del pane, presenta un’immagine della resurrezione e, su una spada, riceve una corona. (…) Non è evidente che il diavolo ha imitato la minuziosità della legge giudaica? Egli ha cercato con tanta emulazione di riprodurre nei riti dell’idolatria gli stessi gesti con cui si compiono i sacramenti di Cristo, e certamente l’ha fatto con identica accortezza e ha potuto adattare a una fede profana e nemica gli strumenti delle cose divine e delle sante realtà cristiane, traendo cioè il loro significato da quei significati, le loro parole da quelle parole, i loro simbolismi da quei simbolismi.” De praescr. 40, 2-7: CCL 1, 220, cf. PL 2, 54-55
[12] R. GIRARD, L’envers du mythe, in Celui par qui le scandale arrive, p.168-178
[13] Quando queste cose cominceranno. Conversazioni con Michel Treguer. R. GIRARD, The Girard Reader,
[14] “L’idea di fondo è che “in principio era il desiderio”! “L’uomo è un essere che desidera”, e fin qui niente di nuovo; anche per Freud l’uomo è caratterizzato dalla “libido”, cioè dal desiderio. Ma per Freud il desiderio, in linea con tutta la tradizione filosofica bimillenaria, a partire da Platone, si appunta sempre ad un oggetto particolare, in una concezione essenzialmente individuale. Girard trova invece chiaramente espressa nella grande letteratura una verità più profonda, la verità del desiderio mimetico. La verità antropologica è che “l’uomo è un essere che desidera secondo l’altro”. Tra “il desiderio dell’uomo” e “l’oggetto del suo desiderio” c’è “il desiderio dell’altro”. L’antropologia è quindi triangolare: l’essere desiderante che sono io, l’essere desiderante che è l’altro, l’oggetto del desiderio, che io imito nell’altro e che l’altro finirà di imitare in me, fino a far prevalere più che la relazione io-oggetto, la relazione io-altro in una escalation in cui il “modello” finisce con il diventare il “rivale” poiché finiamo con il contendere il medesimo oggetto. In questo modo dal triangolo (io-altro-oggetto) si passa alla rivalità dei doppi (io-altro) che genera concorrenza per lo stesso oggetto e quindi violenza. Più i soggetti si invischiano nelle imitazioni reciproche, più si genera rivalità e la rivalità sfocia nella violenza generalizzata.” DAL SACRIFICIO ‘ARCAICO’ AL ‘SACRIFICIO’ DI CRISTO. Per una antropologia della conversione in René Girard. Franco Pignotti, 2004. Cfr. R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca
[15] DAL SACRIFICIO ‘ARCAICO’ AL ‘SACRIFICIO’ DI CRISTO. Per una antropologia della conversione in René Girard. Franco Pignotti, 2004. Cfr. R. Girard, La violenza e il sacro
[16] http://www.filosofico.net/edipresofocle42.htm
[17] DELLE COSE NASCOSTE SIN DALLA FONDAZIONE DEL MONDO
[18] Alla pubblicazione di ‘La Violence et le Sacré’ (1972, premio dell’Accademia francese) l’antropologo GeorgesHubert De Radkowski ebbe a scrivere su Le Monde : «L’anno 1972 dovrebbe essere contrassegnato in modo particolare con una croce bianca negli annali delle scienze dell’uomo: ‘La Violence et le Sacré’ di René Girard è non solo un gran bel libro, ma un libro unico. Unico, perchè ci offre finalmente la ‘prima teoria’ realmente atea del religioso e del sacro» http://www.zikomo.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/Dal-sacrificio-arcaico-al-sacrificio-di-Cristo-Estratto.pdf
[19] «Smascherando i modi della presenza della violenza nell’esistenza umana e raccogliendone la sfida, René Girard non ha solamente elaborato una dottrina originale, egli ha posto un interrogativo fondamentale che finisce per costituire un ultimatum. Si tratta di un invito alla conversione» W. AVITAL, René Girard et saint Augustin. Anthropologie et théologie, in «Recherches Augustiniennes» Paris 20 (1985) pp. 257-303
[20] Vedo Satana Cadere come la folgore
[21] “La violenza, in qualsiasi forma essa si esprima, esclusione, emarginazione, sopraffazione, è a fondamento delle relazioni umane, di quel “mimetismo” che attraversa “me” e “l’altro”. E’ certo poco rassicurante credere, con Girard, che l’odio verso il rivale nasconda il desiderio di essere al suo posto, e che siano solo i nostri stessi desideri ad alimentare la violenza. Eppure, è solo attraverso la tragica consapevolezza di questa condizione, e cioè dell’impossibilità di sottrarci alla spirale della violenza, che può prendere corpo la possibilità della non-violenza, la possibilità, scrive Girard, dell’amore.” Girard, intro il risentimento
[22] L’ipotesi mimetica si riassume nell’espressione desiderio di “essere secondo l’altro”. Si tratta di riconoscere in ciascuno di noi un essere costitutivamente mancante, che non è autonomo né autosufficiente, ma che viene formandosi e trasformandosi attraverso l’altro, nel corso delle incessanti interazioni umane. Questa nostra incompiutezza non è tuttavia segno di «kantiana» minorità, di una maturità a venire, ma una condizione generativa, espressione di apertura e di potenzialità, come suggerisce d’altra parte la parola «desiderio». Girard il risentimento
[23] Forte dell’acquisizione della teoria mimetica, egli si rivolge ora alla mitologia delle religioni arcaiche, all’enorme mole del materiale etnografico, alle tragedie greche. Userà la teoria mimetica come chiave ermeneutica per rileggere la mitologia. La teoria del desiderio mimetico conduce direttamente, come abbiamo visto, ad una nuova comprensione dei rapporti umani minacciati costantemente dalla violenza, la quale appare sempre come elemento presente nella mitologia e soprattutto in quell’elemento della realtà mitologica generalmente trascurato che è il sacrificio. Analizzando una mole enorme di materiale etnografico troviamo che tornano sempre, alle più disparate latitudini e longitudini, gli stessi elementi ricorrenti: inizialmente una violenza e disordine generalizzati (peste, incesti, parricidi, ecc.); la delineazione di un colpevole; l’eliminazione del colpevole tramite un sacrificio; la ricomposizione dell’ordine e la riappacificazione della comunità; il ritorno sacralizzato della vittima in veste positiva. A questo punto Girard ha gli elementi per proporre una nuova teoria del sacrificio. La struttura antropologica umana basata sul desiderio mimetico conduce diritto ad una violenza generalizzata. All’inizio della storia, le prime comunità umane devono aver sperimentato in maniera distruttiva l’escalation della violenza generata dall’escalation dei desideri mimetici tra i membri della comunità. Poco alla volta queste comunità primitive hanno cominciato a sperimentare che alcuni fatti erano in grado di riportare la pace azzerando la violenza indiscriminata: quando la violenza indifferenziata di tutti finiva per coalizzarsi contro un membro della comunità che casualmente, per certe sue caratteristiche, finiva al centro dell’attenzione violenta di tutti. Avviene, in questo modo, una specie di transfert: la vittima che casualmente era finita al centro dell’attenzione violenta, aveva finito per polarizzare la violenza di tutti contro di sé, diventando la somma di tutti i mali e funzionando come una specie di parafulmine per tutti gli altri. La vittima finiva distrutta, ma la comunità si ritrovava momentaneamente sollevata dalla minaccia della violenza indiscriminata. Entra allora in funzione un secondo transfert: la ritrovata solidarietà viene accreditata alla vittima, la quale, se prima appariva come la somma di tutti i mali, ora appare come la causa della pacificazione. Da questi eventi spontanei, pian piano si generano i riti: per prevenire l’insorgere della violenza si cominciò a ripetere l’evento che aveva riportato la pace, tramite una specie di simulazione dell’evento fondatore: il sacrificio, che doveva essere tanto più correttamente ripetuto quanto più da esso dipendeva l’ordine e la pace sociale. Tutta una serie rigorosa di regole e di divieti (i tabù) delimitano tempo e spazio del sacrificio della vittima, i quali assicuravano così pace e prosperità alla comunità. Nasce in questo modo “il sacro”. Dalle vittime nascono le divinità ed è così spiegata la loro strana ambivalenza tra il malefico e il benefico. Il sacrificio diventa quindi la pietra angolare della cultura umana: esso è all’inizio l’unica possibilità di contenimento dei processi di violenza indiscriminata; esso è l’unico responsabile della generazione delle differenze all’interno della comunità che sono in grado di conservare l’ordine sociale; da esso nascono le varie espressioni culturali: il sistema politico (il potere della vittima differita), il sistema giudiziario (basato sulla regolazione della vendetta), il sistema economico (l’addomesticamento degli animali come vittime sostitutive), ecc.
[24] “L’iniziazione [alla religione animista] potrebbe sembrare positiva; ma, in realtà, questo rito è un inganno, una dissimulazione che utilizza la menzogna, la violenza e la paura. Le prove fisiche e le umiliazioni sono tali che non portano ad una vera trasformazione né ad una assimilazione libera degli insegnamenti da cui l’intelligenza, la coscienza e il cuore dovrebbero venire sollecitati. Vi si coltiva una sottomissione servile alle tradizioni per paura di essere eliminati nel caso in cui non ci si conformi alle prescrizioni. Durante il rito di iniziazione, i guardiani delle usanze fanno credere alle donne che il giovane adolescente muore e rinasce a un’altra vita. L’iniziato sarebbe mangiato da uno spirito, il “nh’emba” e, in base alle credenze animiste, è restituito alla società con uno spirito nuovo. La cerimonia di ritorno al villaggio è particolarmente solenne, perché il giovane appare per la prima volta pretendendo di essere fisicamente un uomo diverso, dotato di nuovi poteri nella società. L’iniziazione è un rito obsoleto, incapace di rispondere alle domande fondamentali della nostra esistenza e di mostrare come l’uomo guineiano possa integrarsi nella maniera giusta in un mondo pieno di sfide. Infatti, una società che non favorisce la capacità di progredire, di aprirsi ad altre realtà sociali per accogliere serenamente la propria trasformazione interiore, si chiude in se stessa. Ora, l’iniziazione ci rende schiavi del nostro ambiente, rinchiusi nel passato e nella paura. [R. Sarah, Dio o niente, p 21]
[25] “Le persecuzioni che ci interessano si svolgono di preferenza durante periodi di crisi che comportano l’indebolimento delle istituzioni normali e favoriscono la formazione di “folle”, cioè di assembramenti popolari spontanei, suscettibili di sostituirsi interamente a istituzioni indebolite o di esercitare su queste una pressione decisiva. […] Il crollo delle istituzioni cancella o comprime le differenze gerarchiche e funzionali, conferendo a ogni cosa un aspetto insieme monotono e mostruoso […] La folla tende sempre verso la persecuzione perché le cause naturali di ciò che la sconvolge, di ciò che la trasforma in “turba”, non possono interessa rla. La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause na turali. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza. I membri della folla sono sempre dei persecutori in potenza, perché sognano di purgare la comunità dagli elementi impuri che la corrompono, dai traditori che la sovvertono.” Girard, il risentimento
[26] “La figura del “capro espiatorio” è complessa. Per un verso, indica una vittima innocente che, polarizzando attorno a sé e su di sé gli odi reciproci, i veleni insidiosi della mimesi, salva la comunità dalla “crisi” interna, generata dagli effetti distruttivi delle rivalità che alimentano il desiderio unanime e indifferenziato di vendetta. La violenza sulla vittima sacrificale limita una violenza maggiore. Senza l'”intervento correttivo” del capro espiatorio si porterebbe all’eccesso la crisi interna alla comunità. Per un altro verso, la vittima espiatoria, con la propria stessa morte, traccia una differenza incolmabile tra sé e i propri persecutori. In quello spazio vuoto si realizza la catarsi della comunità. In essa irrompe il sacro. I sopravvissuti rimangono attoniti di fronte al prendere corpo – al posto delle molteplici narrazioni parziali l’una contro l’altra – di un’unica grande narrazione che iscrive la vittima nella sfera del sacro attraverso il suo sacrificio. Chi, se non proprio colui che, secondo questa narrazione totalizzante, ha generato il caos può essere all’origine del nuovo ordine? Chi, se non la vittima, sarà consacrata eroe del mito, e commemorata attraverso il rito e i divieti che esso sancisce? Per Girard, la storia dell’umanità inizia dunque con la figura simbolica di un omicidio fondatore, che i sopravvissuti raccontano nei loro miti e rivivono ciclicamente nella pratica rituale (7). Le società arcaiche, figlie di quell’assassinio, ossessionate dal rischio del dilagare della violenza, hanno cercato in ogni modo di prevenire le forme di rivalità mimetica: hanno perfezionato I divieti, canalizzato il desiderio conflittuale attraverso il sacrificio rituale e consolidato l’ordine sociale nei miti che raccontano in modo camuffato quell’assassinio, come dimostra l’analisi girardiana di tutti i testi mitici della tradizione occidentale (8).[1]” Girard il risentimento
[27] “Una volta in possesso di questo filo conduttore costituito dalla “mimesi” e dalla vittima espiatoria, ci si accorge immediatamente che solo la nostra ignoranza può ricondurre i divieti primitivi alla pura superstizione o ai fantasmi: il loro oggetto infatti è reale, ed è la “mimesi” desiderante stessa, con tutte le violenze che l’accompagnano.” R. Girard, Il Risentimento.
“Molti indizi teorici, testuali e archeologici suggeriscono che nei primordi dell’umanità le vittime erano soprattutto umane. Con l’andar del tempo gli animali hanno sostituito in misura crescente gli uomini, ma quasi ovunque le vittime animali passano per essere meno efficaci delle vittime umane. In caso di estremo pericolo, nella Grecia classica, si ritornava al sacrificio umano. Se dobbiamo credere a Plutarco, alla vigilia della battaglia di Salamina Temistocle, sotto la pressione della folla, fece sacrificare dei prigionieri persiani.”R. Girard Vedo satana cadere come la folgore p. 116
[28] La gente cominciò prima a rendere onore ad un luogo, e poi guadagnò gloria in suo nome. Gli uomini non amarono Roma perché era grande. Roma fu grande perché gli uomini l’avevano amata» Ortodossia Chesterton
[29] “Apollonio di Tiana era un celebre guru del secondo secolo dopo Cristo, e, negli ambienti pagani, i suoi miracoli erano ritenuti di gran lunga superiori a quelli di Gesù. Il più spettacolare di questi miracoli è certamente l’aver salvato la città di Efeso da un’epidemia di peste, avvenimento di cui possediamo un resoconto grazie a Filostrato, scrittore greco del secolo successivo che ha composto una “Vita di Apollonio di Tiana” (1). Gli Efesi non riuscivano a liberarsi di questa epidemia. Dopo aver tentato molti rimedi inutili, si rivolsero ad Apollonio, che, con mezzi soprannaturali, si recò da loro in un batter d’occhio, dando l’annuncio che il male sarebbe subito cessato: ««Fatevi coraggio, perché oggi stesso metterò fine a questo flagello». E con tali parole condusse l’intera popolazione al teatro, dove si trova l’immagine del dio protettore. Lì egli vide quello che sembrava un vecchio mendicante, il quale astutamente ammiccava gli occhi come se fosse cieco, e portava una borsa che conteneva una crosta di pane; era vestito di stracci e il suo viso era imbrattato di sudiciume. «Apollonio dispose gli Efesi intorno a sé, e disse: ‘Raccogliete più pietre possibile e scagliatele contro questo nemico degli dèi’. Gli Efesi si domandarono che cosa volesse dire, ed erano sbigottiti all’idea di uccidere uno straniero così palesemente miserabile, che li pregava e supplicava di avere pietà di lui. Ma Apollonio insistette, e incitò gli Efesi a scagliarsi contro di lui e a non lasciarlo andare. «Non appena alcuni di loro cominciarono a colpirlo con le pietre, il mendicante che prima sembrava cieco gettò loro uno sguardo improvviso, mostrando che i suoi occhi erano pieni di fuoco. Gli Efesi riconobbero allora che si trattava di un demone, e lo lapidarono sino a formare sopra di lui un grande cumulo di pietre. «Dopo qualche momento, Apollonio ordinò loro di rimuovere le pietre e di rendersi conto di quale animale selvaggio avevano ucciso. Quando dunque ebbero riportato alla luce colui che pensavano di aver lapidato, trovarono che era scomparso, e che al suo posto c’era un cane simile nell’aspetto a un molosso, ma delle dimensioni di un enorme leone. Esso stava lì sotto i loro occhi, spappolato dalle loro pietre, e vomitando schiuma come fanno i cani rabbiosi. A causa di questo la statua del dio protettore, Eracle, venne posta proprio nel punto dove il demone era stato ammazzato»(2). Questo è dunque l’orrendo miracolo. Se l’autore fosse cristiano lo si accuserebbe senza alcun dubbio di calunniare il paganesimo. Ma Filostrato era un pagano militante, ben deciso a difendere la religione dei suoi antenati, e la storia di questo assassinio premeditato gli pareva adatta a rinfrancare i suoi correligionari, e a dar nuovo vigore alla loro resistenza contro il cristianesimo. Sul piano che oggi noi diremmo «mediatico» egli di sicuro non si ingannava: la sua opera ebbe un tale successo che Giuliano l’Apostata la rimise in circolazione nel quarto secolo, durante quello che è stato l’estremo tentativo di salvare il paganesimo.” R. Girard, Vedo Satana cadere come la folgore.
[30] “Il mondo moderno è come il Niagara. E’ splendido, ma non è forte. E’ debole come l’acqua, come il Niagara. L’obiezione a una cascata non è che è assordante o pericolosa o anche distruttiva, è che non può fermarsi […]lo Stato è improvvisamente e tranquillamente impazzito. Dice assurdità e non può fermarsi […] non che una cosa simile non gli era mai passata per il cervello. Eppure pochi giorni è che accetta ciò che è abnorme ma che non può recuperare ciò che è normale […]la definizione di ogni crimine è diventata sempre più vaga e si diffonde come una nube che si spalma e si rarefà su paesaggi sempre più ampi” Chesterton, eugenetica e altri malanni.
[31] “Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina, e ogni casa divisa contro se stessa crolla. 18 Se dunque anche Satana è diviso contro se stesso, come può durare il suo regno?” Luca 11,14-23
[32] «Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina; ed ogni città o casa, divisa contro se stessa non può durare. 26 Ora, se Satana scaccia Satana, egli è diviso contro se stesso, come dunque può durare il suo regno?” Matteo 12,22-32
[33] “Satana è il mimetismo nel suo potere più segreto, quello di generare false divinità in mezzo alle quali sorgerà il cristianesimo” R. Girard Vedo Satana Cadere come la folgore. P. 100
[34] Remo venne ucciso poiché aveva effettivamente violato il confine tracciato dal fratello
[35] “Ogni volta che Marsiglia, una tra le più antiche e splendide città greche, era infestata da una pestilenza, un uomo delle classi povere si offriva come capro espiatorio. Per tutto un anno veniva mantenuto a spese pubbliche. Allo spirar dell’anno, veniva vestito con abiti sacri, ornato di sacri rami e condotto per tutta la città, mentre si innalzavano preghiere perché tutti i mali del popolo ricadessero sulla sua testa. Alla fine lo cacciavano dalla città oppure il popolo fuori delle mura lo lapidava a morte.” E ancora “Gli Ateniesi mantenevano regolarmente un certo numero di creature degradate e inutili alle spese dello Stato, e quando cadeva sulla città qualche calamità, come pestilenze, siccità o carestie, sacrificavano come capri espiatori due di questi infelici. Ma tali sacrifici non erano limitati a straordinarie occasioni di pubbliche calamità; sembra che ogni anno alla festa delle Targelie, a maggio, si portassero fuori di Atene e si uccidessero per lapidazione due vittime, una per gli uomini e una per le donne’’ James George Frazer, Il Ramo d’Oro
[36] “Ogni anno, il 14 marzo si portava in processione per le vie di Roma un uomo vestito di pelli, il quale, dopo essere stato battuto con lunghi bastoni, si cacciava via dalla città. Quest’uomo si chiamava Mamurio Veturio, ossia ‘il vecchio Marte’, e poiché la cerimonia aveva luogo il giorno avanti il primo plenilunio di marzo nell’antico anno romano (che cominciava il primo marzo) l’uomo vestito di pelli doveva rappresentare il marzo dell’anno vecchio che veniva cacciato via al principio dell’anno nuovo” James George Frazer, Il Ramo d’Oro
[37] Giovanni 8,37-44
[38] Louis Charbonneau-Lassay, The Bestiary of Christ. Translated and abridged by D.M. Dooling. P. 83
[39] Giovanni 11,45-53
[40] “Tutti erano contro di lui. Tutti volevano la sua morte. È strano. Mondi che di solito non erano insieme. Il governo e il popolo. In modo che il governo gliene voleva come l’ultimo dei carrettieri. Tanto quanto l’ultimo dei carrettieri. E l’ultimo dei carrettieri come il governo. Tanto quanto il governo. Era essere sfortunati. Quando si ha l’uno per sé, l’altro contro di sé a volte se ne scampa. Ce la si cava. Si può cavarsela. Si può scamparla. Ma lui non se la sarebbe scampata. Sicuramente non se la sarebbe scampata. Quando si hanno tutti contro di sé. Cosa aveva dunque fatto a tutti. Ve lo dirò: Aveva salvato il mondo.” C. Peguy, Il mistero della carità di Giovana d’arco.
[41] “Bad men need nothing more to compass their ends, than that good men should look on and do nothing” John Stuart Mill, Inaugural Addresse, Delivered to the University of St. Andrews: Feb. 1st 1867
[42] “Nella “Chute”, Albert Camus fa osservare al suo personaggio principale che l’«Eli, Eli, Lama Sabachtani» è stato «censurato» da due Vangeli su quattro (17). Come si rivela più profonda Simone Weil nel giudicare la presenza di questa frase negli altri due Vangeli come un segno palese della loro origine soprannaturale: per assumere così radicalmente il carattere naturalistico della morte, il testo evangelico deve poggiare sull’incrollabile certezza di una trascendenza estranea a questa morte.“ [delle cose nascoste fina dalla fondazione del mondo, p. 128]
[43] Vedo Satana cadere come la Folgore
[44] “La produzione desiderante è l’utopia di un mondo senza conflitti, una grande nube d’inchiostro destinata a nascondere una capitolazione senza condizioni.” Il risentimento
[45] “La frenesia mimetica sembra pronta a risolversi, come sempre, in unanimità. Se questa si fosse prodotta, se il mimetismo violento avesse veramente trionfato, non vi sarebbe stato alcun Vangelo, non vi sarebbe stato in pratica che un mito di più.” Vedo Satana cadere come la folgore
[46] “Perché abbia luogo la rivelazione evangelica, è necessario che il contagio violento contro Gesù sia e nello stesso tempo non sia unanime. Esso dev’essere unanime, affinché il meccanismo si verifichi, e non dev’essere unanime, affinché il meccanismo possa venir rivelato. Queste due condizioni non sono raggiungibili simultaneamente, ma possono realizzarsi in momenti successivi, ed è quanto è avvenuto, con ogni evidenza nel caso della Crocifissione, permettendo finalmente la rivelazione del meccanismo vittimario.” Vedo satana cadere come la folgore
[47] Col 2 14-15 (?)
[48] “Girard ci mostra come con Gesù Cristo sia avvenuta una trasformazione radicale delle modalità del processo vittimario. Cristo ha proclamato l’innocenza della vittima e ha svelato i «meccanismi» che conducevano all’«antica via degli empi» (9). Cristo, vittima prescelta di una comunità in crisi, invece di riconciliare tra loro i suoi persecutori, li ha sconvolti, consegnati alla luce insostenibile di una dolorosa rivelazione. Siamo noi uomini, rivela Cristo-Paracleto, responsabili della nostra stessa violenza, della condanna e della morte degli eroi dei miti, dei martiri, e di tutte le altre vittime innocenti. Cristo ha così messo a nudo la nostra tragica incapacità di riconciliarci senza uccidere.” Il risentimento
[49] Vedo Satana Cadere come la Folgore
[50] «Recentemente Schwager ha sottolineato che, dal mio punto di vista, la conversione era una condizione preliminare per la conoscenza. Io dico effettivamente che per conoscere la vittima emissaria occorre una specie di conversione, poiché significa riconoscersi come persecutore» R. GIRARD, Celui par qui le scandale arrive, p. 99
[51] “Il disvelamento del meccanismo sacrificale, secondo Girard, avviene senza più alcuna sbavatura nella Passione di Cristo68. Nei racconti evangelici della passione, la similarità al mito appare schiacciante: l’ennesimo “sacrificio arcaico” eseguito da una folla unanime su una vittima creduta colpevole. Drammatico appare la descrizione del contagio mimetico che trascina nel vortice anche i discepoli e in particolar modo Pietro69. Ma come non si stanca di dirci Girard, accanto a queste innegabili somiglianze, una grande differenza: nel mito la vittima è sempre ritenuta colpevole. In questi racconti invece la Vittima appare essere l’Innocente per eccellenza: i racconti sono stati composti in ordine alla perpetuazione della memoria dell’innocenza della vittima. Ma questi testi sono testi post-pasquali, sono illuminati dalla luce della Pasqua e della Pentecoste. Cioè alla luce del fatto che un piccolo gruppo di persone che “si è ravveduto”, ha trovato la forza di uscire dal cerchio e costituire un piccolo resto che contesta la versione della folla. Pietro, per poter annunciare la resurrezione di Cristo, ha dovuto sottoporsi ad un processo di conversione. È attraverso l’esperienza di conversione che si è arrivati alla possibilità della nuova lettura della passione di Cristo. Senza la conversione di Pietro e degli altri discepoli, i vangeli per assurdo non sarebbero stati scritti. Avremmo avuto al loro posto un mito in più. Ecco dunque di nuovo tornare la centralità del processo di conversione al cuore stesso della fede” http://www.zikomo.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/Dal-sacrificio-arcaico-al-sacrificio-di-Cristo-Estratto.pdf
[52] Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; [7]parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. [8] Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.(1Cor 2 6-8)
[53] La passione di Cristo ce lo insegna, e ce lo dice a chiare lettere: Gesù è una vittima innocente sacrificata da una folla che gli si rivolta unanimemente contro dopo avrlo osannato solo qualche giorno prima. E per nessuna ragione particolare. Questo tipo di coscienza porta alla rottura di quel meccanismo di misconoscimento, di copertura cognitiva che era alla base dello schema mitico: d’ora in poi non possiamo più far finta di non sapere che l’ordine sociale viene costruito sulla pelle di vittime innocenti. Il cristianesimo ci priva di quel meccanismo che stava alla base dell’ordine sociale e religioso arcaico, introducendoci in una fase nuova della storia dell’uomo. Una fase che possiamo legittimamente chiamare “moderna”. Tutte le conquiste della modernità per me partono da lì, da quella presa di consapevolezza interna al cristianesimo. [R. Girard, Verità o fede debole?]
[54] Nella rivelazione troviamo un altro titolo di Gesù che chiede un momento di meditazione: Gesù è o erchomenos, il “veniente”, “colui che verrà”, o, forse meglio, “colui che è in atto di venire”. Gesù è sempre donato dal Padre al mondo, perciò è sempre in atto di venire. Riconoscenti per questa donazione noi, con le folle della domenica degli ulivi, diciamo in ogni celebra<ione eucaristica: “Benedetto colui che viene” (Mc 11,9). Il Figlio di Dio è sempre in atto di venire a noi: quando i nostri occhi si apriranno, noi , come Stefano morente, lo percepiremo in questa sua condizione di veniente. Allora sarà la fine e comincerà il “dopo”. […] Così è della Parusia cristiana: Gesù dopo aver vinto il mondo (Gv 16,33) e dal momento che il capo avversario, “il principe di questo modno, è stato giudicato” (Gv 16,11), si appresta adesso a celebrare la sua vittoria. Il tempo che noi stiamo vivendo è appunto quello che corre tra la battaglia vittoriosa e la celebrazione del trionfo. E’ interessante notare come il nuovo Testamento non parli ai di un “ritorno” di Cristo, evitando così di contrapporre troppo recisamente una seconda a una prima venuta. Piuttosto tende a sottolineare l’unità di tutto l’avvenimento salvifico e quindi dell’avvento del figlio di Dio. Gesù, che è venuto a salvarci attraverso la croce, con la risurrezione ha portato a compimento la sua vittoria e ha già dato inizio alla sua “parusia”, che perciò è al tempo stesso una realtà già in atto e una realtà del futuro. [G. Biffi, Linee di escatologia cristiana, p25-26]
[55] “Nelle società precristiane il gioco delle interferenze mimetiche, come abbiamo detto, è controllato dal sacro: i riti, i passaggi di iniziazione, e i divieti. Ma dopo che il messaggio cristiano ha svelato lo stretto e vizioso legame fra violenza e ordine sacro le istituzioni hanno perso progressivamente il loro alone sacro. Nel mondo moderno privato della sorgente rigenerativa che era garantita dal processo vittimario, si fa strada un’attenuazione di quei divieti assoluti e di quelle differenze che erano consacrate durante il rito; in altre parole, avviene una liberazione del desiderio mimetico.” Il risentimento
[56] “Per Girard, la rivelazione cristiana segna così una metamorfosi decisiva delle dinamiche interattive e sociali, che si trovano obbligate a ripiegare su se stesse: la modernità vive il dilatarsi di una crisi mimetica schiacciata dall’impossibilità di trovare una catarsi attraverso il capro espiatorio. Nel nostro universo il desiderio, privo dei chiari divieti istituiti dal rito, si vuole illimitato, cioè ha imparato che non può sopravvivere alla conquista di un oggetto; quindi, deve scegliere oggetti sempre più inaccessibili: «il desiderio diventa un (quasi) soggetto interessato all’autoconservazione, e sempre catturato nella trappola di una strategia di autosconfitta» (15). Paradossalmente, come testimonia emblematicamente il caso dell’anoressia analizzato da Girard nell’ultimo saggio di questa antologia, solo attraverso un’irrimediabile condanna di sé alla sconfitta, il desiderio può sfuggire all’automatica e dolorosa conversione di ogni vittoria in frustrazione.” Introduzione a R. Girard, Il risentimento
[57] Cfr. Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori.
[58] R. Girard. Vedo satana cadere come la folgore. P 241 (ggiungere il dopo?)
[59] “Girard sottolinea con insistenza il carattere strettamente scientifico del suo lavoro, crede di aver raggiunto un principio di spiegazione universalmente e definitivamente valido per l’insieme dei fenomeni umani. “Sembra che in tal modo Girard ritorni all’ideale della ‘scientificità oggettiva’ in un contesto sociologico-funzionalista, in cui ci si interessa soprattutto alle azioni, al comportamento, all’intreccio dei bisogni e alla trama dei significati in parallelo con la vita rituale”. La critica è divisa rispetto a questa pretesa scientificità di Girard: c’è chi la avvalora, come A. Carrara79, e chi la respinge, tra questi il P. Valadier. Secondo la Bortolotti, la pretesa scientifica di Girard si rifà a quella concezione della scienza basata sulla riduzione di fenomeni complessi ad elementi più semplici di tipo causativo nel campo della psicologia, fisiologia, biologia. Il vero dibattito é quello su “spiegare” o “comprendere” la religione, atteggiamento positivista o atteggiamento ermeneutico. Chi difende la “spiegazione” cerca quella scientificità che si basa sui concetti di regolarità universale, ripetitibilità e controllo sperimentale che consentono di “fare previsioni” e quindi di sottostare alla falsificabilità; chi difende la “comprensione” si rifà all’ermeneutica contemporanea e cerca soprattutto la questione del senso. Come afferma A.N. Terrin, “Entro tale problematica è possibile riconoscere, nella ipotesi sociologica funzionalista girardiana, una spiegazione di tipo causale, in quanto il rapporto causa-effetto è visto nella relazione inconscia del comportamento che ‘sacrifica’ per mantenere o riportare l’ordine sociale, in un rigido rapporto di causazione”. F. Pignotti, DAL SACRIFICIO ‘ARCAICO’ AL ‘SACRIFICIO’ DI CRISTO.
[60] “Nel corso di questa evoluzione la credenza nelle forze occulte si indebolisce. Più tardi ci chiederemo il perché. La ricerca dei colpevoli si perpetua, ma esige dei crimini più razionali; cerca di darsi un corpo materiale, di arricchirsi di sostanza. Per questo, penso, sfocia frequentemente nel tema del “veleno”. I persecutori sognano concentrati talmente velenosi che quantità molto ridotte basterebbero ad avvelenare intere popolazioni. Si tratta di zavorrare di materialità, cioè di logica ‘scientifica’, la gratuità ormai troppo evidente della causalità magica. La chimica sostituisce il demoniaco puro e semplice.Lo scopo dell’operazione resta lo stesso.” R. Girard, Il Capro espiatorio
[61] http://www.vitomancuso.it/wp-content/uploads/2009/11/4991852.pdf
http://www.vitomancuso.it/wp-content/uploads/2009/11/4991895.pdf
[62] http://www.etimo.it/?term=imbecille. Si definisce invece imbecille collettivo colui che non è in grado di reggersi in piedi senza l’aiuto del bastone d’appoggio fornito dal pensiero collettivo.
[63] Il papa ci ammonisce sul fatto che la ragione greca sta per scomparire, e che la sua scomparsa è destinata a lasciare campo libero ad un irrazionalismo scatenato. Così facendo mette il dito su un punto essenziale. Il disprezzo del religioso da parte del razionalismo non solamente innalza la ragione a religione, ma apre la strada ad un religioso degenerato. Noi conosciamo la guerra della ragione contro la fede, e abbiamo visto che non ha trionfato, che la fede ancora resiste. Ma non conosciamo che i prodromi della “patologia della religione”, della risposta violenta della fede predicata a “fil di spada”. Il dibattito con l’Islam non può quindi avere luogo che su basi contemporaneamente teologiche e antropologiche. L’unica maniera di non bandire qualche nuova crociata, di uscire dalla reciprocità violenta fra i due universi che tutto avvicina e oppone allo stesso tempo, è di non cedere ad un certo tipo di razionalità […] poi sottolinea l’analogia che sussiste tra ragione umana e ragione divina: “il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore” (Discorso di Benedetto XVI a Ratisbona) [R. Girard, Portando Clausewitz all’estremo]
[64] “Dunque, la complessa «danza» dei rapporti umani, secondo Girard, può sempre generare la tragica e insensata deriva della rivalità e della violenza. Le spiegazioni correnti delle origini della violenza si rivolgono alla dimensione psicologica interiore dell’individuo, o alla sua natura biologica, oppure ancora all’ambiente familiare, al mercato o ad altre istituzioni sociali, ovvero, più in generale a “fattori a monte”, che operano “dietro” i comportamenti violenti che intendono spiegare. La matrice delle dinamiche stesse della violenza è individuata in un estrinseco “altrove” rispetto alle relazioni umane [4]. Secondo Girard, questa ricerca si rivela come un modo per misconoscere la violenza stessa. Un modo per ritrarre lo sguardo di fronte a una verità sconcertante: la funzione “costitutiva” che la violenza svolge nella costruzione dell’ordine simbolico, a livello sia microsociale sia macrosociale. La violenza, in qualsiasi forma essa si esprima, esclusione, emarginazione, sopraffazione, è a fondamento delle relazioni umane, di quel “mimetismo” che attraversa «me» e «l’altro». E’ certo poco rassicurante credere, con Girard, che l’odio verso il rivale nasconda il desiderio di essere al suo posto, e che siano i nostri stessi desideri ad alimentare la violenza. Eppure, è solo attraverso la tragica consapevolezza di questa condizione, e cioè dell’impossibilità di sottrarci alla spirale della violenza, che può prendere corpo la possibilità della non-violenza, la possibilità, scrive Girard, dell’amore.” Introduzione a R. Girard, il risentimento.
[65] R. GIRARD, The Girard Reader, pp. 287-288

Francescanesimo e Massoneria: la bufala di “confratello” Francesco

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Di san Francesco è stato detto molto, forse tutto. Ma considerarlo “indiscutibilmente vero e perfetto Libero Muratore”, sembra davvero azzardato. Eppure questa insostenibile considerazione è stata fatta e data per scontata in un convegno di massoni svoltosi in Assisi, diversi anni fa. Le conclusioni ivi espresse, infondate dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, sono state come ratificate dall’entusiasmo del Gran Maestro del GOI, G. Raffi

 

Giancarlo Infantedi Giancarlo Infante

Tra i santi apprezzati dalla massoneria, oltre a S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista, festeggiati dalla liturgia cattolica in prossimità dei solstizi estivo ed invernale, segue san Francesco, il poverello di Assisi, il santo che arso dall’amore di Cristo ricevette le stimmate della Passione, la cui festa è celebrata il 4 ottobre.

Pretese della Libera Muratoria

statua di s.francesco in meditazione

Illustri massoni affermano addirittura l’esistenza di una certa affinità nelle opere e nelle intenzioni di questo Santo con i principi e le finalità perseguite dalla variegata e sfuggente corporazione, fondata come è noto sui principi di libertà, uguaglianza, fraternità. Corporazione iniziatica che postula la formazione dell’individuo su linee laiche, estranee a quelle “dogmatiche” e “gerarchiche” proprie del cattolicesimo, utilizza giuramenti di segretezza e che si è posta su posizioni decisamente anticlericali, fin dal suo esordio ufficiale, nel 1717, a Londra.

Con il passare del tempo, la massoneria ha tuttavia cambiato atteggiamento nei confronti della Chiesa Romana. Non più scontri diretti e polemiche controproducenti, ma ricerca di eventuali zone di contatto all’interno delle quali elaborare possibili interazioni. Una di queste riguarda il rapporto della Libera Muratoria con il Francescanesimo: «Ordine che non si limitò a predicare ma concretamente visse i principi della fratellanza, della solidarietà, della Libertà nella ricerca… e concretamente visse altresì l’esperienza, audace e storicamente mancata, della ordinazione non canonica dei laici, cioè di una “iniziazione” non filtrata dai poteri della Curia Romana»[1].

San Francesco, perfetto muratore?

Sogno di Innocenzo III ed Approvazione della Regola di Onorio III. Francesco "ripara" la chiesa. Basilica di Assisi
Sogno di Innocenzo III ed Approvazione della Regola di Onorio III. Francesco “ripara” la chiesa. Basilica di Assisi

La stima che la Framassoneria nutre per il Santo d’Assisi si è riversata, come di riflesso, anche su Papa Francesco, al quale il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, in occasione della sua elezione al soglio Pontificio, ha rivolto un positivo augurio pubblicato sul sito ufficiale del GOI. Infatti, senza esimersi dall’indicare la via che il Santo Padre avrebbe dovuto seguire, per non deludere le aspettative delle maestranze massoniche, Gustavo Raffi auspicava che: «il pontificato di Francesco, il Papa che “viene dalla fine del mondo” possa segnare il ritorno della Chiesa-Parola rispetto alla Chiesa-istituzione, promuovendo un confronto aperto con il mondo contemporaneo, con credenti e non, secondo la primavera del Vaticano II».

Il G. M. Raffi dà per scontato che vi siano due chiese (istituzionale e carismatica) in opposizione tra loro all’interno della Chiesa Cattolica, la quale invece è sempre Una, Apostolica e Romana. Come se fosse possibile all’apostolo San Giovanni opporsi a San Pietro, determinando così la divisione e la rovina interna del Regno di Cristo, peraltro tanto auspicata dalle consorterie iniziatiche.

Sulla scia di questo equivoco di antica data, un’analisi «innovativa e progressista» della figura di S. Francesco, è stata sviluppata dalla Loggia dell’Antico Rito di Memphis e Misram (GOI), in due convegni svoltisi ad Assisi, nel 1986 e nel 1998, su «Francescanesimo e Libera Muratoria». In tale occasione il gran maestro di Loggia, Giancarlo Seri, nella seconda presentazione degli Atti, ha ribadito una sua opinione, forte e senza fondamento, riguardo al Santo di Assisi. Ossia, che: «Francesco, sia sul piano simbolico sia sul piano operativo, fu, indiscutibilmente, un vero e perfetto Libero Muratore (sic!)».

Quest’assurdità troverebbe ragione nel fatto che S. Francesco nel riedificare chiese abbandonate, avrebbe perseguito le stesse finalità, avrebbe utilizzato regole e strumenti operativi (squadra, compasso, ecc.) tipici dei maestri comacini, precursori dei Liberi Muratori. Secondo il Gran Maestro, infatti, S. Francesco: «poté conquistare le più sublimi vette dell’iniziazione e della reintegrazione spirituale nell’unità divina primigenia. Mai vi fu al mondo un più fulgido esempio di santità e perfezione laica»[2].

Per trovare improbabili punti di incontro tra il Poverello e l’istituzione massonica, il gran Maestro – tralasciando il fatto che Giovanni di Bernardone non fosse un laico, avendo emesso i tre voti religiosi, vivendo in comunità religiosa ed essendo diacono –, prosegue la sua esposizione analizzando in chiave esoterica il simbolo francescano del «Tau».

Numerologia

s. francesco e gatto neroÈ nota infatti l’affezione di san Francesco per questa lettera, comune all’antica lingua ebraica ed a quella greca e che in ambito spirituale assume il significato di salvezza e salute dell’anima. Tommaso Celano nel «Trattato dei miracoli», del 1225, scrive che: «fra le tante lettere, gli era familiare la lettera Tau, con la quale firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle… con lo stesso sigillo san Francesco firmava le sue lettere, tutte le volte che per necessità o per spirito di carità, spediva qualche suo scritto»[3].

Anche san Bonaventura conferma che «Francesco venerava questo segno e gli era molto affezionato, lo raccomandava spesso nel parlare, con esso dava inizio alle sue azioni». Tali asserzioni sono comprovate in modo diretto dallo stesso Santo, il quale nella cosiddetta «Chartula di Francesco», conservata nel Sacro Convento di Assisi, impartisce la sua benedizione a frate Leone, per sollevarlo da una profonda crisi spirituale.

Il Santo scrisse la Chartula due anni prima della sua morte, dopo il ritiro sul sacro monte della Verna, sul quale si trattenne nel 1224, dalla festa dell’Assunzione a quella di S. Michele Arcangelo, ed in occasione del quale venne insignito delle «stimmate» da parte di un serafino con sei ali, «tanto luminose quanto infocate». Spiega S. Bonaventura che: «Il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato»[4].

Ebbene, il gran maestro di Loggia esperto di simbologia e di esoterismo ricama riflessioni di stampo iniziatico circa questa “dedica”, prendendo spunto dal fatto che, il Tau segnato da S. Francesco, sembra fuoriuscire dalla bocca di un viso d’uomo stilizzato. Questo segno attraversa poi il nome di frate Leone dividendolo in due parti. La prima con la parola frate più due lettere del nome Leone, cioè «frateLe». la seconda a destra contiene le rimanenti tre lettere «one».

Dal punto di vista numerologico, rileva il G. M., la parola “frate” contiene 5 lettere. La parte del nome “Le”, 2. In tutto 7 lettere. Invece le ultime lettere del nome “one” sono 3. Sommando tutti questi valori si ottiene il 10.

Nell’arte regia, che secondo Giancarlo Seri il Poverello avrebbe conosciuto ed applicato, questi numeri trovano i seguenti significati: il 5 rappresenta il pentalfa o stella fiammeggiante. Il 2 la binarietà del mondo visibile. Il 7 la realizzazione della cosiddetta grande opera. Il 10 l’irreversibile “salto nell’abisso” dell’adepto che ha conseguito la «grande opera». Inoltre, il segno di separazione in due parti del nome, significa esotericamente la separazione fra il denso e il sottile, l’ordine dal caos, il bianco dal nero. Senza questa fase non sarebbe possibile avviare alcuna trasmutazione spirituale iniziatica[5].

Trecento cubiti di altezza

san francesco e animaliA questo punto, ci permettiamo di osservare che S. Francesco d’Assisi, del tutto rapito dall’amore in Cristo, avrà certamente sperimentato che «lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2, 10). Pertanto, la sua conoscenza derivava dalla scienza infusa dall’alto grado di grazia perseguita, non certo da discutibili e sotterranee nozioni esoteriche scovate chissà dove. Il Poverello, attento scrutatore e conoscitore della Parola di Dio, non poteva ignorare il valore soteriologico che la Bibbia ascrive alla lettera «Tau».

È il profeta Ezechiele ad attestare, dopo aver visto l’abominio nel Tempio, che «circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio e la faccia a oriente che, prostrati, adoravano il sole» (Ez 8, 16), il Signore disse: «Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna con un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono» (9, 4). Questo brano biblico segnerà la tradizione, consentendo il passaggio dal Tau-croce al 300-croce, poiché Tau=300.

San Girolamo (+420) affermava che presso gli antichi ebrei, Tau, ultima lettera dell’alfabeto, ha la forma di quel segno di croce che i cristiani tracciano sulla loro fronte ed utilizzano come firma manuale. Questo segno veniva interpretato anche come conclusione e compimento della Parola rivelata.

Origene riteneva che l’antico modo di scrivere il Tau accentuava la sua forma di croce e che una profezia risiedeva in questo segno, il quale sarebbe stato perciò impresso dopo sulla fronte dei cristiani. “Portare la propria croce” secondo le indicazioni di Gesù, veniva così interpretato anche letteralmente, come il portare esternamente il carattere interno della Croce[6].

Come dicevamo, dal punto di vista numerologico, il Tau viene posto in corrispondenza con il numero 300, ed è inteso come segno di salvezza. Questo numero infatti compare già nella Genesi (6, 14-15), quando Dio disse a Noè: «Fatti un’arca di legno di cipresso … Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza».

Origene spiega ancora che l’arca raffigura la croce redentrice, poiché 300 corrisponde alla lettera Tau, all’albero della nave col suo pennone, alla croce (Homelia in Genesin 2, 5). Questa corrispondenza era celebrata liturgicamente nell’Analecta Hymnica, ove è contenuto l’antico inno cantato anche da S. Francesco: «Ligno crucis fabricatur / Arca Noe qua salvatur / Mundus a miseria» (Con il legno della croce venne fabbricata l’arca di Noè che salvò il mondo dalla miseria).

Intransigenza francescana

Peter Paul Rubens Flemish, 1577-1640, S. Francesco
Peter Paul Rubens Flemish, 1577-1640, S. Francesco

Al di là di queste brevi osservazioni, ci sembra giusto sottolineare che San Francesco, essendo una persona carismatica, come tutti i fondatori ha vissuto il rapporto carisma-istituzione non senza problemi e fraintendimenti. Ma come tutti i santi fondatori si è indirizzato lungo la linea ecclesiale indicata da San Paolo, il quale esorta i Corinzi ad amministrare i doni dello Spirito Santo per l’edificazione della Chiesa, senza lasciar spazio a nessuna autonomia. San Giovanni si ferma davanti al sepolcro vuoto, per fare entrare per primo Pietro, il capo degli Apostoli.

È comunque certo che il Santo serafico, che ripristinò la stretta osservanza religiosa, che si spogliò di tutto per amore di Cristo crocifisso, che indicò la via della penitenza per conseguire la vera pace, esercita ancora oggi un grande fascino su credenti e non credenti. Sono quindi comprensibili i tentativi di interpretazione ed “affiliazione” della sua figura che si sollevano anche da parti estranee alla sua cultura, alla sua religiosità. È però anche probabile che egli si sarebbe svincolato da molti di questi. Egli infatti era intransigente circa l’osservanza e la totale sottomissione alla Curia Romana. Egli non puntò il dito sulla corruzione esistente nel Clero, ma cercò di ripararla innanzitutto nella sua persona, attraverso la via della penitenza e della continua conversione a Cristo.

Nella Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, ad esempio, egli dichiara di non volere ritenere come cattolici coloro che non dicono l’ufficio divino o vogliono mutarlo, e perciò rifiuta anche di vederli e di parlare con loro[7]; così pure di quelli che vanno vagando incuranti della disciplina della Regola. E nel suo Testamento ribadisce e chiarisce ancora questa sua netta disposizione[8].

Il “grande Santo” quindi non si sarebbe affatto sentito «in stretta comunione spirituale con molti di coloro che praticano la Libera Muratoria Universale», come invece sostiene il G. M. Giancarlo Seri. Francesco infatti non aveva «come suo unico bagaglio, una sacca contenente gli strumenti dell’Arte Regia: la squadra, il compasso, la cazzuola, il filo a piombo, il mazzuolo, la riga e lo scalpello»[9], ma semplicemente il Vangelo e Cristo crocifisso nel suo corpo.

Restaurazione della romanità

san francesco e la tortoraQuando restaurò con le proprie mani la Chiesa di S. Damiano, fra il 1206 ed il 1208, se anche utilizzò per necessità strumenti tipici dei muratori, lo fece con tutt’altro scopo da quello perseguito dai Liberi Muratori. Egli non si atteggiò mai a capomastro o a direttore dei lavori materiali o spirituali, ma si considerò sino alla fine un «uomo inutile e indegna creatura del Signore Iddio»[10].

Alla misteriosa voce che gli disse: «“Francesco, va, ripara la mia casa, che, come vedi, va tutta in rovina” … dapprima rimase atterrito; poi, colmo di gioia e ammirazione, prontamente si alzò, e si impegnò totalmente a compiere l’incarico di riparare l’edificio esterno della chiesa: ma l’intenzione principale della Voce era diretta alla Chiesa, che Cristo acquistò con lo scambio prezioso del suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe insegnato ed egli stesso in seguito avrebbe raccontato ai suoi intimi»[11].

La missione e l’intenzione che i veri seguaci di San Francesco perseguono è quella di mantenere viva la sua opera di pacificazione e restaurazione della Romanità, dai sempre altrettanto vivi tentativi di corruzione provenienti dall’interno e dall’esterno, proprio ad opera delle consorterie iniziatiche che tanto bramano di instaurare un dialogo con la Chiesa di Roma. Per realizzare questa missione ecclesiale, non occorrono strumenti particolari o segreti simbolismi, ma la grazia che santifica la vita quotidiana e lega sempre più l’anima a Cristo povero e sofferente. Proprio questa pacificazione dell’anima è espressa come sintesi e lascito della dottrina spirituale di Francesco d’Assisi al termine della sua Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, che riportiamo in conclusione. Se i Liberi Muratori, non essendo più tali, potessero davvero condividere pienamente questa lode al Dio Trinitario, senza fini occulti ed interpretazioni raffinate ed originali ordinate ad improbabili accezioni esoteriche del pensiero e dell’opera del Poverello, allora forse sarebbe possibile un costruttivo confronto con essi, sempre in vista della comune, totale conversione e sottomissione di ogni persona, istituzione e dell’intero mondo al Signore Gesù Cristo:

«Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e, con l’aiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen»[12].

 

NOTE

[1] A. A. Mola, I Francescani in Massoneria e per la Massoneria, in, a cura di G. Seri, Francescanesimo e Libera Muratoria, Arktos, Carmagnola 1998, p.76.

[2] Ibid. p. 7.

[3] In Fonti Francescane, Ed. Messaggero Padova, 1990, Sez. Seconda, Cap. II, 827, p. 740.

[4] Ivi, Leggenda maggiore di S. Bonaventura di Bagnoregio, n. 1228, p. 948.

[5] G. Seri, a cura di, Francescanesimo e Libera Muratoria, cit., pp. 9-12.

[6] Cfr. D. Vorreux, Tau simbolo francescano, EMP, Padova 1994.

[7] «Quei frati poi che non vorranno osservare fedelmente queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati: io non li voglio vedere, non ci voglio parlare finché non abbiano fatto penitenza», F. F., cit., VI, 229, p. 166.

[8] «E se si trovassero dei frati che non recitano l’Ufficio secondo la Regola o volessero comunque variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, appena trovato uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo dove l’avessero trovato. E il custode sia tenuto fermamente per obbedienza, a custodirlo severamente come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano, finché personalmente lo consegni nelle mani del suo ministro», F. F., cit., 126, p. 133.

[9] G. Seri, cit., pp. 94 e 14.

[10] F. F., cit., VI, 229, p. 166.

[11] F. F., cit., L. V, 1334, p. 1022.

[12] F. F., cit.,  VI, 229, p. 167.

Da Imperatrice a sguattera del secolo. Ipotesi sul declino politico della Chiesa

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«Negli anni da poco passati i militanti, i vertici politici della sinistra letteralmente avevano terrore degli alti prelati. Soprattutto temevano il cardinale Ruini: era il loro incubo; un suo pubblico intervento gli toglieva il sonno. Erano anni quelli che tra le macerie delle vecchie ideologie la chiesa sembrava trionfare sulla mondanità, tant’è che i leader radicali come Rutelli correvano a farsi sposare in chiesa e benedire da tanto di cardinale “amico” di Curia. La sinistra temeva la Chiesa e “il Vaticano” come la morte. Oggi accade il contrario. La domanda è: cosa è successo nel mentre? »

roberto buffagnidi Roberto Buffagni

Queste mie righe nascono da una domanda, complessa e semplice insieme, che un più giovane amico, ex militante di sinistra, mi ha posto. Vale la pena riportarla per intero.

«Negli anni da poco passati, ti posso garantire per esperienza diretta che i militanti, i vertici politici della sinistra letteralmente avevano terrore degli alti prelati. Soprattutto temevano il cardinale Ruini: era il loro incubo; un suo pubblico intervento gli toglieva il sonno. Erano anni quelli che tra le macerie delle vecchie ideologie la chiesa sembrava trionfare sulla mondanità, tant'è che i leader radicali come Rutelli correvano a farsi sposare in chiesa e benedire da tanto di cardinale "amico" di Curia. La sinistra temeva la Chiesa e “il Vaticano" come la morte. Quest’ultimo specialmente. Era percepito come un alieno che si era incarnato sulla terra, una qualcosa di sconosciuto, inconoscibile, misterioso, altro da se stessi: perciò spaventava. Soprattutto, sembrava organizzato, più della sinistra. E in effetti bastava un ordine di Ruini e tutti i parroci e le monache e le associazioni del Lazio votavano e facevano vincere uno Storace alla presidenza della regione. Ora tutto questo è cessato: la gerarchia, semmai, suscita compatimento, tant'è che s'è messa lei a rincorrere le sinistre, e avendone timore reverenziale, mal ricambiati ad ogni modo:  quando smettono di strumentalizzare “i preti”, non cessano di guardarli con disprezzo. La gerarchia non fa più paura a nessuno, i cattolici poi... c'è libertà di caccia al cattolico. Dare del "cattolico" a qualcuno, se non è sarcasmo è un modo per azzopparlo: gli stessi cattolici si sbrigano a rinnegare ogni cosa e a prestare giuramento sulla bandiera arcobaleno, se si tratta di essere "candidati" a qualcosa, così come un tempo la sinistra giurava sulla bibbia per candidare un cattolico, così purificandosi; non osava nemmeno, lei “non cattolica”, immaginare di candidarsi in prima persona a qualcosa che prevedesse il consenso degli italiani, sperando di vincere;  remissiva abdicava  per “un cattolico”, mediocre quanto si vuole come politico e specialmente come cattolico, ma era l’unica soluzione vincente a suo parere. Tanto era quella certa… non dico vergogna, ma imbarazzo che la sinistra provava per gli esiti della sua storia remota e recente. 

Oggi accade il contrario.

La domanda è questa: cosa è successo nel mentre? »

L’anima imperiale

chiesa crisiSe non altro uno ci può provare, a spiegare.                    

E’ successo che la Chiesa forse è ancora cattolica, ma non è più romana. Il papa, anzi i papi, abitano ancora nel luogo geografico designato dalle coordinate Latitudine: 41°53′30″ N/Longitudine: 12°30′40″ E. Quel che non abita più nella Chiesa è l’anima romana, “di quella Roma onde Cristo è romano”: l’anima imperiale.

E’ una cosa seria, l’anima imperiale, perché fornisce un prodotto di prima necessità, la Giustizia/Civiltà, ricavandolo da materie prime pericolose, inquinanti, altamente instabili: la barbarie, la primitività, gli istinti, le forze ctonie (terra terra: la violenza, il sesso, la libido dominandi). Per trasformarle in Giustizia/Civiltà bisogna anzitutto evitare i seguenti errori:

1) negare che esistano, e/o negare che siano forze immense e necessarie

2) pensare che sia facile addomesticarle e processarle in fabbriche modello in regola con le normative di sicurezza UE

3) credere che basti fargli imparare a memoria il codice della strada perché se ne restino buone buone nella carreggiata di destra, senza superare i limiti di velocità.

Questi errori, la Chiesa ex romana degli ultimi decenni li ha fatti tutti e tre, e il papa attuale, con l’entusiasmo che lo contraddistingue, rincara ottimisticamente la dose.

Per trasformare la materia prima “Barbarie/Forze Ctonie” nel prodotto finale “Giustizia/Civiltà”, l’anima imperiale  si deve sporcare le manine. Purtroppo, non esiste né mai esisterà il sistema industriale avanzato che ti consente di inserire a un capo della linea di produzione la Barbarie e ti sforna all’altro capo la Civiltà, mentre gli operatori dirigono la produzione in camice bianco, da postazioni ben illuminate e climatizzate. Bisogna sporcarsi le manine, e non svenire o licenziarsi quando i semilavorati presentano un aspetto rozzo, spigoloso, pieno di sbavature: per esempio quando la Forza, che tiene a bada la Violenza, sembra somigliarle come una sorella.

La Barbarie e le Forze Ctonie vanno riconosciute, accettate con rispetto, e condotte (e-ducate) verso un respiro più largo, verso la luce, la parola, l’umano: verso la Giustizia e la Civiltà. Il “padre de li Santi”[1], per esempio, non si può modernizzare con i predicozzi femministi  politically correct: perché o si rompe e non funziona più, o reagisce, e presentandosi nel suo aspetto più primitivo, barbarico, ctonio, stupra allegrissimo. Perché possa diventare padre dei Santi, a Priapo va indicata la via verso la luce dell’individuazione del desiderio, poi l’altopiano dell’amore coniugale, e infine la vetta dell’amore paterno, che al contrario dell’amore materno è tutto cultura e zero istinto.

L’anima imperiale della Chiesa, quando la Chiesa era romana, questo lo sapeva molto bene. Sapeva che non è per niente facile, e sapeva che il primo passo, il passo essenziale, è guardarle in faccia, le forze ctonie della barbarie, riconoscerle, e trovare il linguaggio giusto per comunicare con loro. La bella leggenda di San Francesco che parla agli animali –  passeri o lupi che siano – è questo, che ci racconta.

Era l’anima imperiale della Chiesa Romana, che la vecchia sinistra riconosceva e rispettava. Perché chiunque faccia politica sa, per esperienza diretta dei fatti reali, contro i quali non valet argumentum, che senza anima imperiale non c’è civiltà, e punto. Poi magari il politico non la chiama così, magari si dichiara superdemocratico, superegualitario, supernonviolento: ma anche se non lo dice, anche se non se lo dice, lo sa. Il cardinale Ruini fu l’ultimo, l’ultimissimo legato romano della Chiesa imperiale. Un impero ormai sbrindellato, con pochissima forza, pochissimo prestigio, e tutta la gloria in un passato sempre più lontano; costretto a surrogare una grande strategia assente con una tattica minuta, estenuante, umiliante; ma ancora un impero, o almeno la traccia mnestica, la nostalgia di un impero.

Quando finisce l’impero inizia la mafia

A girl arrives with a giant cut-out featBe’, adesso è finita. La Chiesa non è più romana, anzi Romana. L’anima imperiale lì dentro non c’è più. Resta però il guscio imperiale, l’istituzione Chiesa cattolica ex romana. Sant’Agostino, che l’Impero Romano lo conosceva di persona, dice: “remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia?” Se togli la giustizia, i regni non sono altro che grosse bande criminali.

Che è come dire, se togli l’anima imperiale che trasforma la Barbarie/Forze Ctonie in Giustizia/Civiltà, resta solo il guscio dell’impero, e il guscio dell’impero è una banda malavitosa. Ecco: oggi, la Chiesa cattolica ex romana è, sotto il profilo istituzionale e politico, una banda “malavitosa”, se capite che voglio dire. (Poi, certo, c’è la Chiesa invisibile, la Ecclesia triumphans, etc.: ma di queste non mi occupo, il tema è over my paygrade).

La Chiesa cattolica ex romana è dunque una banda “malavitosa”, ed è una banda “malavitosa” debole in mezzo  a bande mafiose molto più forti. Sono bande mafiose nel senso di Agostino, infatti, cioè prive di anima imperiale, anche l’attuale Stato italiano, l’Unione europea, e in generale i powers that be della ex Cristianità, con l’eccezione della Russia, che l’anima imperiale pare averla ritrovata. In generale, le bande mafiose rispettano solo la forza. La Chiesa cattolica ex romana di forza ne ha quasi niente. Ecco perché le altre bande mafiose non la rispettano più, la deridono, la punzecchiano, di tanto in tanto le fanno trovare una pallottola nella casella della posta, un processo per pedofilia, il cane morto ammazzato in giardino, una testa di cavallo nel letto, un vescovo querelato per omofobia…

I capimafia della Chiesa cattolica ex romana, che ancora si credono chissà chi, tra sconcerto e sgomento cercano il compromesso, la trattativa, l’armistizio; moltiplicano le aperture, protestano disponibilità, affettano modestia, tributano lodi non richieste, con crescente frenesia si identificano con l’aggressore e lo turibolano a tutto spiano…

Eh! Hai voglia a bruciare chili d’incenso in onore di Pannella, della Bonino, della Merkel, di Obama… ne possono bruciare a tonnellate, ma i capimafia della mafie più forti hanno l’odorato finissimo, come gli squali: lo sentono a chilometri di distanza, l’odore della paura; e gli mette appetito, fame di carne cruda, sanguinante. Non compassione.

Ma Roma non muore

Dopo che avevo affermato queste cose, un’amica molto cattolica e molto praticante, Dorotea, mi ha fatto i seguenti appunti, che vi riporto, perché certamente rappresenteranno il punto di vista di molti lettori:

Il mio punto di vista è diverso. Sì, in linea generale vedi giusto, ma resta il catastrofismo penalizzante la Chiesa che in quanto Sposa del Cristo, e lo affermiamo nel Credo, è sempre una, santa e cattolica.

Pur avendone capito l’accezione, non parlerei di "impero", la Chiesa non ha mai e dico mai  tentato di assoggettare tutti al proprio spirito imperiale... Lo dimostra la libertà che imperatori e re alla fine esercitavano sui propri regni nonostante avessero, loro, giurato fedeltà al Papa di turno.... E' più corretto parlare di "societas christiana" o di "Regnum Christi", questa è sempre stata la missione della Chiesa soprattutto con l'arrivo dei… Gesuiti. Sì, grazie a sant'Ignazio e alla sua prima Compagnia, il mondo di allora conosciuto, si può dire, divenne davvero Cristiano... I problemi iniziarono dopo la loro riabilitazione sotto Pio VII. I rapporti più veri e più sinceri con il papato, si erano inesorabilmente incrinati e la Rivoluzione Francese aveva fatto il resto, sì, ma anche per la rottura di questa forza cooperativa che infatti, non dimentichiamolo, fu distrutta apposta (…) Nell'800 si era già infiltrato nella Compagnia il veleno della cessazione del potere temporale, ma conveniva anche a loro che il Papa giungesse, dentro la Chiesa, al dogma dell'infallibilità in vista proprio della perdita degli Stati Pontifici. Per fartela breve: Ruini è stata solo una pedina di quel periodo che certamente determinerà la fine di un sistema gerarchico che Paolo VI aveva già iniziato a logorare con la questione della “collegialità dei vescovi”. 

Infine e senza dubbio c'è molto di vero nelle tue affermazioni, solo che la visione di un cattolico...  è più rosea. Non bisogna temere il cambiamento esteriore, della forma del papato; che questo cambi è naturale, noi eravamo fermi al protocollo tridentino... e rinascimentale fin poco fa.  Il problema come stiamo vedendo non è l'imperialismo o le cappe magne, ma la dottrina... Montini, che pure è stato il padrino, volente o nolente, del catto-comunismo italiano, diventato Papa, però, mise dei freni e dei paletti, anche se oramai non servirono più a nulla, i buoi erano scappati dalla stalla. La DC nata da Montini nelle sacrestie vaticane quando operava nella segreteria di Stato sotto Pio XI e poi Pio XII, cesserà con la morte sua e di Moro, dopo aver seminato gli errori peggiori a livello politico e pastorale nella Chiesa Romana di Roma.

Sì, da una parte è finita, ma non la Chiesa Cattolica Romana, pena sarebbe dover dire che Gesù o ha fallito, o ci ha mentito. Diverso è parlare di una Chiesa "parallela" (vedi la presenza di due Papi, fatto unico nella sua storia). E dunque che cosa è finito? Non la Chiesa, ma il modo di gestirla... In questo passaggio che stiamo vivendo e in cui la confusione è quasi totale, non mancano voci coraggiose di cardinali e vescovi che stanno facendo capire che a tutto si può cedere, fuorché sulla dottrina... Ed io credo fermamente che, passato questo tempo, ritorneremo con un solo Papa e una sola (e solita) dottrina, ma con una gestione del papato diversa.

Non è più in grado di fungere da Katechon

crocifisso in penombraCosì replica la nostra amica, che ci parla, diremo, dall’alto della sua fede quotidianamente vissuta e praticata. Cosa che però non posso dire di me stesso. Faccio allora tre puntualizzazioni, da laico e da cattolico non troppo assiduo.

1) “Anima imperiale” è una metafora, non la descrizione di una funzione della Chiesa canonicamente riconosciuta. Ho letto Dante, so che Chiesa e Impero hanno funzioni diverse, nella filosofia e nella teologia cristiana. Però vedete, il Sacro Romano Impero non c’è più: l’ultimo suo vestigio è finito nel 1918, con l’ultimo imperatore d’Austria e Ungheria (proclamato beato). Dai e dai, a forza di frequentarsi e vivere in simbiosi, magari litigando ma in simbiosi, la Chiesa ha assimilato alcuni dei tratti essenziali dell’Impero. In particolare, la capacità di legittimarsi e organizzarsi politicamente allo scopo di adempiere la missione imperiale, che è proprio quella di trasformare la barbarie in civiltà per mezzo della giustizia (giustizia umana, eh? Quindi con tante sbavature e tante terribili ingiustizie). E’ grazie a questa assimilazione dei tratti imperiali che la Chiesa ha potuto, in molte occasioni storiche, esercitare la supplenza dell’Impero. Quando l’Impero non c’è o è troppo debole per agire, interviene la Chiesa. E’ successo anche di recente, pensate al secondo dopoguerra italiano.

Pensiamo invece alla Chiesa di oggi. Sarebbe capace di esercitare la supplenza imperiale? Io scommetto la casa che no. Per riuscirci, la Chiesa deve presentare almeno due requisiti che oggi non ha, o non ha in misura sufficiente. Uno, sapere come sono fatti gli uomini nella realtà (come si presenta nella realtà effettuale la natura umana). Due, sapere quali sono i limiti e le regolarità fondamentali della politica. Secondo me, oggi questi due requisiti la Chiesa proprio non li ha più (parlo delle gerarchie ecclesiastiche e dell’istituzione, non dei singoli religiosi o laici). L’immagine dell’uomo che presenta è grossolana, edulcorata, infantiloide (non infantile), meno aderente al vero di quella che presenta il nemico, che almeno sa far leva sulla forza del desiderio e della paura. Il punto è che la Chiesa ex romana attuale non ha niente di interessante da dire sul male o sul Male. E siccome sul piano dell’esistenza umana male e bene sono indissolubilmente legati nel mistero del libero arbitrio e del rapporto tra natura e grazia, l’attuale Chiesa ex romana non ha niente di interessante da dire neanche sul bene, o sul Bene.

Quanto alla politica, se la Chiesa sa sul serio quali sono le sue regolarità e i suoi limiti e ciononostante continua a invitare all’accoglienza indiscriminata e totale degli immigrati, allora è diretta da criminali politici che lavorano per la guerra civile e la dissoluzione degli Stati e dei popoli europei, e/o da agenti dell’Anticristo. Quindi preferisco attribuirle una incompetenza colossale, un’epidemia di analfabetismo di ritorno, un attacco di Alzheimer collettivo.

Per concludere: oggi la Chiesa (parlo sempre della Chiesa visibile) è in grado di esercitare la funzione imperiale di katechon, di ultima difesa contro il dilagare delle forze della dissoluzione e del male? Secondo me, no.

2) Portae inferi non praevalebunt. Ci spero, nei momenti buoni ci credo anche, ma non avendo informazioni privilegiate e non essendo un mistico preferisco guardare la Chiesa come guarderei qualsiasi altra grande istituzione. Se poi c’è il salvataggio in the nick of time, benissimo. Non mi pare però consigliabile farci conto: sennò, a mio modesto avviso, si casca nella terza tentazione diabolica a Gesù, “Gettati da questa torre e gli angeli ti sorreggeranno”. Vista come una normale istituzione, la Chiesa è sull’orlo dell’implosione tipo URSS, perché una istituzione in grave crisi endogena e sotto attacco del nemico che

a) cede e tratta sui fondamentali

b) si mette in casa due sovrani assoluti creando un precedente devastante

c) non individua chiaramente il nemico,

è condannata a una brutta fine. Io, da cattolico poco assiduo, da laico, la vedo così. Ripeto: parlo solo della Chiesa visibile, nel suo aspetto istituzionale, e basta.

E poi un’altra cosa. Due papi che si riconoscono a vicenda la piena investitura papale implicano uno scisma latente che può da un momento all’altro diventare patente. La Chiesa è una monarchia assoluta elettiva. Il monarca può essere uno solo. I casi di papa/antipapa non fanno testo, perché l’uno disconosceva l’altro: il papa vero è il papa che vince. Due papi uguali sono incompatibili con la forma istituzionale della Chiesa. Provate a immaginare che cosa succederebbe se uno contraddicesse pubblicamente l’altro, o se Ratzinger si mettesse a dare ordini, scrivere encicliche, o semplicemente diffondesse un comunicato in cui contraddice Bergoglio su un punto qualsiasi di dottrina. Non ci sta, è impossibile. Non esistono procedure per dirimere i conflitti d’autorità, come c’erano ad esempio a Sparta, dove i re erano due e non facevano le leggi.

3) Ruini non era Giulio II, era un normale politico democristiano. Però se lo metti a confronto – come politico – agli attuali gerarchi, sembra Machiavelli. In realtà era solo un politico di media levatura dotato di buonsenso ed esperienza. Fregarlo non era facile, e dunque gli avversari lo rispettavano e lo temevano. Gli attuali invece stanno affannosamente cercando di accreditarsi come utili alleati presso i loro nemici politici e culturali, per cui lavorano per segare il ramo su cui stanno – e stiamo – seduti.

note

[1]  Definizione mutuata da un sonetto di Gioacchino Belli, riferito all’apparato genitale maschile
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