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Il peccato del vicino è sempre più “verde” del nostro

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I tempi sono sempre più cupi. Avremmo bisogno di unità piuttosto che di divisione. Eppure troviamo sempre il modo di puntare il dito contro il peccato degli altri, e con maggior soddisfazione se si tratta di altri cattolici. Perché Gesù, come è noto, nel Vangelo, parla sempre degli altri, mai di noi…

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Claudia C.di Claudia Cirami

Pare che, negli ultimi anni, il nostro sport prediletto sia diventato la caccia all’eretico e/o al peccatore. Parlo di noi, cattolici italiani: sembra sia così anche all’estero ma ognuno guardi al suo praticello. Nonostante le atroci stragi dei migranti, la ripresa-ma-anche-no dalla crisi e le notizie tagliagoliste che arrivano da luoghi sempre più prossimi, l’unica prossimità di cui ci importa è il peccatore della porta (e del profilo social) accanto, tanto più se in odor di eresia. A lui (o lei: qui la parità è pienamente raggiunta) cerchiamo di estrarre evangelicamente la pagliuzza dall’occhio, e chissenefrega della limpidezza del nostro sguardo. Gesù, da sapiente conoscitore dell’animo umano, trovò un termine sublime da opporre a pagliuzza: trave. Noi, dunque, quasi del tutto ciechi, l’altro invece con un minimo di fastidio all’occhio. Però il Nazareno, si sa, quando predica, anche se sembra proprio riferirsi a noi, in realtà allude sempre agli altri…

Così, sgranando nomi come fosse un rosario – marcionismo, gnosticismo, etc. fino alle moderne deviazioni – da parte nostra è tutto un cercare indizi di traviamento e colpa nei comportamenti e nelle parole altrui.

Tutto concorre… ad inchiodare l’altro.

Il nostro motto, non tanto inconscio.

Il nostro motto, non tanto inconscio.

Accade sempre più spesso che, brandendo come un’arma il Vangelo o il Catechismo o i Dieci Comandamenti o il Codice di Diritto Canonico o chissà che altro, mettiamo il prossimo con le spalle al muro. Con versetti della Scrittura assolutizzati che nemmeno i protestanti, canoni del Diritto Canonico ad hoc che nemmeno i canonisti, encicliche a menadito che nemmeno i Pontefici che le hanno scritte. Parafrasando (e stravolgendo) San Paolo, tutto concorre… ad inchiodare il fratello alle sue responsabilità. Senza dimenticare, come corollario, un proferire di insulti, minacce più o meno apocalittiche, ban reali o virtuali come se piovesse. Soprattutto se il malcapitato è ritenuto eretico. Lo stesso, però, succede per il comune peccatore, quello che, nella nostra magnanimità, non tacciamo anche d’eresia: il suo peccato è sempre più peccato del nostro.

Pazienza, se poi, tra noi, zelanti difensori del cattolicesimo apostolico romano, ci sono impenitenti lussuriosi, iracondi professionali, seriali bugiardi, invidiosi cronici (solo per citare alcuni tra i vizi capitali). O se è probabile che il male, come scriveva Gadda, possa affiorare “a schegge, imprevisto, orribili schegge da sotto il tegumento, da sotto la pelle delle chiacchiere… da sotto la copertura delle decenti parvenze, come il sasso, affiora…“. Tanto che San Giovanni Climaco ci ammonisce: “Non ti dimenticare di questo, e certamente starai bene attento a non giudicare chi pecca: Giuda faceva parte della cerchia dei discepoli, e il buon ladrone della schiera degli assassini; ma è straordinario come in un solo istante essi si sono scambiati di posto!. No, niente di tutto questo ci importa. L’importante per noi è esercitare le nostre grandiose capacità mnemoniche. Che siano a corrente alternata – ricordano solo quello che della Dottrina e della Scrittura fa comodo a noi – è solo un volgare dettaglio. Il nostro compito è troppo vitale per perdersi in sottigliezze. Alla nostra trave penserà poi il Giusto Giudice. Sempre se ci degneremo di farLo parlare.

Ma grano e zizzania non dovevano crescere insieme?

Parabola del seminatore di zizzania. Domenico Fetti, XVII d.C.

Parabola del seminatore di zizzania. Domenico Fetti, XVII d.C.

Perché, diciamolo, il Giusto Giudice dovrà pure stare ad ascoltare noi, efficienti ricercatori di miscredenza, infaticabili scopritori di perversioni, quando Gli spiegheremo il bene che abbiamo fatto al mondo. Con i nostri Luminol dottrinali, i nostri radar scritturistici, i nostri rilevatori catechistici, siamo in grado di scoprire anche il più nascosto “atomo opaco di male”, il più infinitesimale filamento di paganesimo. Stranamente, però, non scorgiamo in noi le tracce di manicheismo, l’antica religione persiana che suddivide in bene e male tutta la realtà. Tanto che manicheismo oggi vuol dire anche: “tendenza a contrapporre in modo rigido e dogmatico principî, atteggiamenti o posizioni ritenuti inconciliabili, come fossero opposte espressioni di bene e male, di vero e falso” (dizionario Treccani). Che non è roba attinente al Cristianesimo.

Perché ai servi che subito vorrebbero separare il grano dalla zizzania, il padrone della parabola (cfr. Mt 13, 24-30) risponde: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». Noi no, siamo furbi e portiamo avanti il lavoro: è meglio allontanare prima la zizzania, estirparla subito, raderla al suolo. Che non contamini la nostra presunta purezza.

Ma nelle lettere di Giovanni si dice che…

Più volte, Papa Francesco si è definito "peccatore". Anche i Papi hanno coscienza dei loro peccati. Noi, spesso, no.

Più volte, Papa Francesco si è definito “peccatore”. Anche i Papi hanno coscienza dei loro peccati. Noi, spesso, no.

Del resto, in nostro soccorso arriva la seconda lettera di Giovanni: “Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse” (2 Gv 1, 9-11). C’è poi anche il brano sulla correzione evangelica (Mt 18, 15-17). Ma a parte, dicevamo, la discutibile capacità di ognuno di noi di giudicare colpe e deviazioni altrui, la nostra non dovrebbe essere una lettura di tipo protestante, per cui i versetti vanno presi separatamente.

Deve essere invece una lettura cattolica, che tenga insieme tutto. Per esempio, perché non considerare anche quello che viene detto nella Prima Lettera di Giovanni? “Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1Gv 2, 3-4). Oppure la già citata parabola del grano e della zizzania, che non è stata certo raccontata a caso. Forse perché Qualcuno aveva già previsto i nostri furori nel perseguire errori&mancanze degli altri e lo stupefacente aplomb con cui sorvoliamo sui nostri? Probabile: ci conosce bene. Fin dall’eternità, dice.

La Verità non è a compartimenti stagni

L'adultera? Probabilmente l'avremmo lapidata.

L’adultera? Probabilmente l’avremmo lapidata.

E ha ragione a diffidare di noi se si considera il modo in cui dimentichiamo, più o meno regolarmente, che non ci muoviamo nell’ambito della verità umana, citata nel film L’attimo fuggente, come di coperta che ti lascia scoperti i piedi, per cui possiamo continuare a peccare allegramente, lapidando l’altro per i suoi peccati.

No, si tratta, invece, della Verità con la maiuscola, cioè Cristo, che ci investe totalmente, e non a compartimenti stagni. Perciò coltivare, più o meno privatamente, i nostri vizi e pretendere, contemporaneamente, di condannare gli altri è tutto fuorché cristiano. Lo ha da poco ribadito anche il Papa: “Possiamo portare il Vangelo agli altri se esso permea profondamente la nostra vita”. E la Scrittura? Il Catechismo? Tutto il Magistero? Il Codice di Diritto Canonico? Come utilizzarli ora che li abbiamo imparati così bene? Nessun problema. Abbiamo un campo vastissimo su cui applicarli: noi stessi. Poi penseremo anche agli altri.

 


Il marchio della bestia. La fede low cost, la religione commercializzata

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Analisi di una strategia di marketing. La Chiesa trasforma se stessa in un brand commerciale e diventa un prodotto di largo consumo tra jeans, filmetti, cellulari e caffè nasce la fede low cost.

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Marco Sambruna

di Marco Sambruna

Il cristianesimo costa troppo e nessuno lo vuole più comprare, è troppo faticoso vivere da cattolici e nessuno vuole più esserlo. Le esigenze della Chiesa impongono l’arresto della continua emorragia di fedeli che pare irreversibile. Come insegnano le regole del mercato s’impone l’aggiornamento di un prodotto diventato obsoleto: essere cattolici oggi è come pretendere di essere alla moda girando per strada con parrucconi settecenteschi.

Nasce così una strategia di marketing all’insegna dell’innovazione: semplificare, aggiornare, bonificare la fede significa facilitarne l’ingresso nel circuito commerciale e renderla più invitante per i fedeli. Tuttavia per rilanciare la fede occorre prima svalutarla. Il cristianesimo costa troppo, è necessario diventi più economico, quindi occorre privarlo della sua aura sacra, renderlo non più faticosa conquista, ma preteso diritto di tutti e trasformarlo in un prodotto di facile accesso come si farebbe con qualsiasi altro prodotto di largo consumo.

Occorre creare un nuovo brand o marchio che riqualifichi la Chiesa: in primo luogo occorre profanare il sacro, poi dissacrare il profanato, infine sottoporre il dissacrato a una campagna pubblicitaria di marketing. Il risultato è un cristianesimo trasformato in prodotto,  in un articolo di largo consumo con tutte le caratteristiche necessarie per conquistare il mercato: un prodotto universale, low cost, aggiornabile e con un packaging adeguato cui si può accedere in modo facile, semplice, veloce.

Esistono molte strategie per rendere il cristianesimo un’esperienza comune: non esiste solo la persuasione occulta tesa a trasmettere un messaggio sottotraccia che sia fruito in modo più o meno inconsapevole. Esiste anche una persuasione manifesta, alla luce del sole, chiarissima nei suoi intenti, ma non per questo meno efficace e pervasiva. Anzi.

Nascita di un brand

Romano Guardini. Già parlava di chiesa devastata.

Romano Guardini. Già parlava di chiesa devastata.

Noi viviamo in un’epoca devastata. Le cose dello spirito e le cose della salvezza non hanno più una propria sede.

Tutto è buttato sulla strada. (Romano Guardini).

Profanare significa rendere profano ciò che è sacro. L’etimologia stessa del termine “profano” deriva da “pro” (=davanti) e “fanum” (=tempio) ossia porre innanzi al tempio o fuori di esso alla mercé del pubblico, a disposizione di tutti. Ciò che è sacro deve quindi essere profanato ossia essere semplificato e reso alla portata di tutti, deve trasformarsi da esperienza di pochi a faccenda di molti.

La dissacrazione blasfema del laicume che ride sgangheratamente delle vignette di Charlie è stata preparata e anticipata dalle tendenze profananti inaugurate dalle correnti progressiste della Chiesa. Senza la previa profanazione della liturgia, del papa, del sacerdozio, senza l’abolizione del giuramento antimodernista e la deposizione della tiara, oggi non avremmo probabilmente la dissacrazione laicista che dilaga ovunque.

Questa profanazione clericale che ha facilitato la dissacrazione laicista ha potuto giustificarsi agli orecchi delle folle grazie a uno dei tanti slogan collettivi propagati dai mass media, cioè nel nome immortale della libertà.

Alcuni interpreti della Chiesa postconciliare (per comodità chiameremo in seguito Chiesa progressista l’insieme di questi interpreti) per rilanciarsi hanno deciso di accodarsi al laicismo in ascesa e di rinfrescare l’ immagine della Catholica. Per farlo occorreva dotarsi di un nuovo brand che richiedeva innanzitutto quel processo di profanazione / desacralizzazione che i mass media stavano chiedendo a gran voce col pretesto che l’uomo moderno aveva bisogno di una Chiesa moderna. Come dice Vito Mancuso dopo Auschwitz non si può più credere come si credeva nel Seicento.

Queste profanazioni hanno un'origine: la desacralizzazione progressista.

Queste profanazioni hanno un’origine: la desacralizzazione progressista.

Il progressismo cattolico pensava così di saldare il conto del “ritardo culturale” che separava la cattolicità così retriva dal resto del mondo così avanzato. Come se la Chiesa, vergognandosi della sua tradizione davanti alla modernità, avesse maturato un penoso complesso d’ inferiorità per risolvere il quale è ricorsa alla cosiddetta modalità adattiva:  ha scimmiottato il laicismo per rendersi un po’ più uguale a lui così come certe femministe scimmiottano l’uomo nei suoi aspetti peggiori vergognandosi della propria femminilità.

La Chiesa progressista si è illusa di poter ricondurre a equilibrio una relazione squilibrata a causa di un latente complesso di inferiorità e per giunta, in quanto inconfessato a se stessi, di matrice schizoide. Succede quando si afferma di credere a qualcosa che nei fatti si dimostra di non credere più; pensiero e azione si contraddicono perché l’azione non è più la proiezione coerente  del pensiero.

Una creativa messa progressista.

Una messa progressista, molto creativa.

La guarigione allora consiste nel conformare il pensiero alla parola e questa all’azione. E’ circa quello che è avvenuto: il pensiero teso a profanare ha trovato riscontro in discorsi tesi a profanare che sono sfociati infine in azioni tese a profanare. Così finalmente il pensiero liberato dal fardello dei secoli si è sincronizzato all’azione.

Ma come sempre la Chiesa progressista è in ritardo di decenni rispetto alle conquiste laiciste. Infatti una volta profanata/desacralizzata la liturgia, il papa, il sacerdozio e forse la famiglia la Chiesa progressista si è accorta dell’inganno in cui è caduta perché nel frattempo il laicismo si è spinto molto più avanti, ha già superato un’altra linea di demarcazione non prevista: quella che separa la profanazione dalla dissacrazione.

Non è la stessa cosa: mentre profanare o desacralizzare significa rendere ordinario qualcosa di straordinario, dissacrare significa volgere in ridicolo l’ordinario rendendolo grottesco. Accade che la Chiesa progressista, che si era cullata nell’illusione di aver recuperato la salute, ossia la stima di se stessa, colmando il divario che la separava dal mondo, si trovi nuovamente a soffrire di quel complesso d’inferiorità che pensava di aver superato.

E’ solo desacralizzante mentre il mondo è già dissacrante.

Inserimento del sacro nel circuito commerciale

Televisione: la desacralizzazione è servita.

Televisione: la desacralizzazione è servita.

La dissacrazione laicista inizia dove la profanazione catto progressista finisce. La profanazione scandalizza, la dissacrazione deride: consiste nel tradurre in termini contorti, deformi, ridicoli ciò che una volta era stato sacro e poi profanato. Impadronirsi di qualcosa, un’idea, un concetto e denudarlo, mostrare le sue vergogne a un pubblico guardone che ammicca sogghignando eccitato.

La televisione, ancora lei, ha rotto il ghiaccio per prima: non ha fatto altro che dare visibilità alle dicerie popolari sulla corruzione del clero divulgandone l’idea. Corruzione che c’era e che c’è, beninteso, ma che non riguarda la maggior parte degli uomini di chiesa. Occorreva dare la percezione al pubblico che la corruzione clericale emersa alle cronache fosse solo la punta dell’iceberg e che la lussuria e l’avidità del clero fossero generalmente diffusi.

E’ stato possibile rappresentare tutto questo con i famosi filmetti anni 70 che fin dal titolo invitano a spiare dal buco della serratura per vedere cosa succede dietro le mura di un monastero o l’ingresso di un chiostro. Storia di una monaca di clausura, Le monache di Sant’Arcangelo, La bella Antonia prima monaca e poi dimonia, La Novizia, Confessioni proibite di una monaca adolescente, etc. Titoli così ridicolmente riusciti che anch’io rido mentre li scrivo.

Fino a questo punto grazie ai filmetti a essere dissacrata erano gli ordini religiosi. Tema non nuovissimo in verità perché riprendeva alcune suggestioni boccaccesche. Tuttavia ora la dissacrazione della vita religiosa esce dalla reticenza e dall’ allusione e si fa proclama manifesto.

Poi tocca all’escatologia e ai simboli

Uno spot che ironizza sul tema dei Novissimi

Uno spot che ironizza sul tema dei Novissimi

Un secondo aspetto consiste nel ridicolizzare l’eternità: con le pubblicità della Tim e della Lavazza ambientate in un inferno e un paradiso macchiettistico gli stessi destini eterni dell’uomo sono stati deformati in modo grottesco. Non più così trascendenti e misteriosi, ma finalmente alla portata di un pubblico infantilizzato, ridotto alla psiche di un adolescente grasso, pigro e un po’ beota così come deve essere il consumatore ideale: capriccioso, volubile, disarmato e possibilmente single.

Ossia deresponsabilizzato cioè senza obblighi familiari che lo inducano a risparmiare anziché spendere per una quantità immane di beni voluttuari.

"Religious", il film che ridicolizza i credenti.

“Religious”, il film che ridicolizza i credenti.

Dopo i religiosi e l’escatologia cristiana a essere dissacrati sono stati i simboli della religione trasformati in accessori moda che potessero conferire un’identità posticcia a chi ne è privo. I simboli religiosi anche tatuati sono stati travisati in oggetti cool per un certo tipo di cultura dark diafana, amebica e fondamentalmente priva di vitalità esattamente come le scarpe Doc Martens qualificano orientamenti punk e anarchici o il Monclair l’atona e cinica gioventù dorata.

Nel settore cinematografico le tendenze desacralizzanti dei filmetti anni 70 evolvono nella dissacrazione a tutto campo, totalizzante e totalitaria la cui summa è condensata nel film Religious di Bill Maher un ebreo ex cattolico diventato ateo. Il dissacrante Bill incontra una serie di persone normali dalla fede semplice e solida, spesso di umile condizione sociale e pone delle domande al fine di ridicolizzare la loro religione: com’ è possibile Giona sia rimasto tre giorni nel ventre di una balena? Com’ è possibile partorire restando vergine? Perché fino al IV secolo i preti potevano sposarsi mentre ora non possono? Perchè i gay sembrano così felici di essere tali mentre i cristiani sembrano così malinconici ?

I cristiani così provocati, privi di istruzione filosofica o teologica restano imbarazzati non sapendo cosa rispondere. E Bill Maher rivolgendosi al pubblico chiede se non è veramente ridicola questa religione che chiede di credere in cose assurde.

Psicologismo e complottismo 

Paulo Coelho, uno dei più noti rappresentani del trand psicologista.

Paulo Coelho, uno dei più noti rappresentani del trand psicologista.

Collaterali alla dissacrazione sono lo psicologismo riduzionista e il complottismo.

Lo psicologismo applicato alla fede tende a ridurre a fenomeni intrapsichici con qualche sfumatura residuale di mistero l’esperienza religiosa. Su questo fronte ha conosciuto larga fortuna l’editoria legata al tema dell’evoluzione spirituale come emancipazione dalla fede tradizionale.

I campioni di questo trend psicologista sono autori come Carlos Castaneda, Anthony de Mello, Isabella Allende, Paulo Coelho: nei loro libri tutto ciò che appartiene alla sfera dello spirito assume i caratteri di un’esperienza intima in cui entrano in gioco teorie esoteriche di derivazione gnostica, la sapienza attinta grazie alla riscoperta di antiche e sepolte conoscenze, l’intuizione irrazionale colta grazie al ricorso a facoltà medianiche.

La pseudo storiografia complottista ha conosciuto enorme successo grazie a una serie di prodotti audiovisivi come il documentario Zeitgeist, lo spirito del tempo largamente diffuso su You Tube e i libri di autori come David Icke attraversati da suggestioni ufologiche e soprattutto quelli di Dan Brown la cui caratteristico stilistica principale peraltro è quella di essere di una noia mortale.

In tutte queste ricognizioni pseudo scientifiche la tesi portante è che la chiesa cattolica abbia secretato per secoli la vera storia dell’umanità il cui sviluppo è stato conculcato tramite la leggenda cristiana inventata ad arte da un’oscura centrale di potere guidata e diretta principalmente dalle gerarchie religiose. Per attingere alla conoscenza della vera natura dell’uomo occorre rimuovere l’ostacolo costituito dalla chiesa cattolica la quale a questo punto è parificata a una struttura anticristica che ha mineralizzato con le sue menzogne lo sviluppo spirituale dell’uomo al fine della conservazione del potere.

Strategie di brand marketing

Più simpatici, più cattolici?

Più simpatici, più cattolici?

Una volta profanato e poi dissacrato tramite il grottesco, il riduzionismo psicologista e il complottismo, il cristianesimo è pronto per uscire dalle nicchie specialistiche e diventare un prodotto di largo consumo. Occorre organizzare prima una campagna di brand marketing che conferisca al nuovo prodotto che sta per essere lanciato sul mercato le caratteristiche necessarie per avere successo. Occorre informare il pubblico che il nuovo prodotto è di facile, semplice e veloce accesso. Facile, perché è friendly ossia di agevole utilizzo; semplice perché è immediatamente comprensibile senza troppi misteri; veloce, ossia non richiedere più lunghi e penosi processi di conversione.

Sul fondamento di questi presupposti il prodotto deve quindi avere almeno altri quattro requisiti “tecnici”: deve essere universale, low cost, soggetto a periodici restyling e avere un buon packaging.

La Messa "divertente".

La Messa “divertente”.

Per essere universale deve essere transculturale, incontrare i gusti dei consumatori del sacro sempre e ovunque. Deve quindi perdere le sue caratteristiche peculiari che lo rendono troppo legato alla cultura cattolica. Deve essere poco papista per compiacere protestanti e ortodossi,  poco trascendente per compiacere i laicisti, poco dogmatico per adattarsi alle esigenze di tutti.

Inoltre deve essere low cost, cioè acquistabile a una cifra modesta. Il che significa che non deve impegnare troppo in lunghi e difficoltosi cammini di conversione e revisioni dello stile di vita che implichino una dolorosa messa in discussione delle proprie precedenti certezze. Queste possono ora permanere perché sono perfettamente conciliabili col nuovo prodotto.

Deve essere soggetto a periodici restyling per evitare che diventi obsoleto e quindi passi di moda. Deve mettersi alla scuola della storia umana, leggerne le tendenze e adattarsi alle nuove congiunture culturali o mode che di volta in volta si affermano.

Infine deve presentarsi con un packaging adatto, cioè deve avere una confezione che identifichi immediatamente il prodotto. Il suo involucro deve quindi essere attraente, accattivante, deve sedurre il consumatore. Al contempo deve essere sobrio, austero, quasi squallido per non apparire il prodotto di lusso che non è e scoraggiare gli acquirenti. Tutto ciò che rimanda alla maestà deve quindi diventare spartano, la solennità deve essere spogliata dagli orpelli, le chiese stesse assomigliare più a un fabbricone dismesso che a un luogo di culto.

E com’è il nuovo tipo di credente?

Per il nuovo tipo di credente tutto deve essere a misura sua: anche Dio.

Per il nuovo tipo di credente tutto deve essere a misura sua: anche Dio.

In definitiva abbiamo ora un prodotto flessibile a buon mercato che può essere fruito in tempi brevi: i sacramenti possono essere assunti anche senza previa confessione, i matrimoni senza vincoli sacrali troppi impegnativi, l’esperienza religiosa deve appiattirsi a livello di produzione nel sociale. Soprattutto il “prodotto cristianesimo” per essere appetibile dal cliente/consumatore non deve intralciare la propria visione del mondo e dell’uomo: gli affari sono affari e Dio è Dio. E’ bene questi due aspetti siano ben distinti e separati: si potrà quindi essere cristiani e abortisti, cristiani e divorzisti, cristiani e laicisti, cristiani atei perfino.

Modellato il prodotto religioso occorre poi modellare il consumatore del prodotto stesso: occorre trasmettere la convinzione secondo la quale è perfettamente legittimo pretendere dalla fede tutto e subito. Il credente deve diventare una sorta di adolescente piagnucoloso e ostinato che non fa altro che volere un prodotto religioso che si adatti non alle sue esigenze, ma alle sue voglie.

Il credente moderno deve essere accontentato qualsiasi cosa chieda, non educato, né tanto meno responsabilizzato; occorre dargli subito ciò che gli si insegna a chiedere e non educarlo a domandare ciò che sarebbe opportuno chiedere. Non deve volersi impegnare al fine di soddisfare un bisogno reale, ma deve pretendere l’immediata soddisfazione di un bisogno indotto.

Comunione per tutti.

Comunione per tutti.

Se vuole accedere ai sacramenti in stato di peccato grave, se vuole perseverare negli eccessi, se vuole essere corrisposto in tutte le sue voglie, deve essere soddisfatto. L’autentica coscienza che si esplicita nel chiedere ciò che sarebbe opportuno chiedere per la propria salute spirituale deve essere oscurata e scalzata dalla falsa coscienza di una volontà capricciosa ed eterodiretta, che si placa solo se viene saturata in modo effimero e senza sforzi ogni voragine esistenziale.

Un modo per sopravvivere ancora un po’ in attesa della prossima crisi, un farmaco che serve solo a superare le fasi acute della malattia senza guarirla. Del resto come insegna uno dei più celebri slogan di mercato “il cliente ha sempre ragione”.

Un cristianesimo artefatto si sovrappone così al cristianesimo autentico, un cristianesimo di facile accesso scalza il cristianesimo che passa per la porta stretta, il cristianesimo mass mediatico rimpiazza il cristianesimo del catechismo. Un cristianesimo liscio, levigato e smussato deve sostituire il cristianesimo ruvido, esigente e fastidioso che pretende di porsi non come diritto, ma come conquista.

Quell’assordante silenzio

La pubblicità dei jeans Jesus: la prima delle più irriverenti.

La pubblicità dei jeans Jesus: la prima delle più irriverenti.

Nel 1973 le città italiane furono tappezzate dai manifesti della pubblicità dei jeans “Jesus” accompagnati dallo slogan “Non avrai altro jeans al di fuori di me”. I manifesti furono tolti dall’autorità pubblica dopo un articolo di lamentela apparso sull’“Osservatore Romano”.

Allora Pier Paolo Pasolini scrisse uno dei suoi più efficaci articoli dal titolo “Analisi linguistica di uno slogan” in cui lo scrittore denunciava l’errore storico compiuto dalla Chiesa la quale pensava di potersi servire del regime liberale come si era servita del fascismo. Cioè, secondo Pasolini, la Chiesa aveva concluso con lo stato borghese una specie di baratto: in cambio dell’avallo morale al regime liberale, questo stesso regime, tramite l’autorità pubblica, si impegnava a difendere la religione.

E infatti prontamente i manifesti furono rimossi. Astutamente peraltro lo stato liberale poté eseguire la rimozione senza subire troppe critiche dal momento che la colpa di tanta arretratezza culturale venne fatta ricadere sulla Chiesa e il suo vecchio e anchilosato moralismo.

Pasolini rimproverava alla Chiesa la sua alleanza con il regime liberale.

Pasolini rimproverava alla Chiesa la sua alleanza con il regime liberale.

Tuttavia, concludeva Pasolini, il ghiaccio era ormai rotto: lo stato liberal borghese ormai era pronto per reggersi sulle sue gambe senza necessità di appoggiarsi alla stampella della Chiesa. La rimozione dei manifesti era solo uno degli ultimi gesti di tutela della religione tramite vecchi uomini d’apparato ormai in declino che stavano per essere scalzati dai rampanti “tecnici” della nuova società industriale come Oliviero Toscano, ideatore della campagna dei jeans “Jesus”.

Quella profezia si è avverata: nessun organo di stampa cattolico si è minimamente scandalizzato, ad esempio, per la pubblicità della Tim o della Lavazza. E’ stato pacificamente accettato da parte cattolica che si potessero trasformare i cardini della fede in articoli di largo consumo esattamente come molti altri prodotti che intasano il mercato.

D’altra parte anche a livello di omelie il tema della trascendenza è stato discretamente accantonato come si farebbe con un oggetto di cattivo gusto in un salotto di prestigio. Il capitalismo commerciale del resto, almeno per ora, ha  ancora un residuo d’interesse per il sacro a fini di sfruttamento lucrativo più o meno come si fa con una miniera in via di esaurimento da cui sia ancora possibile estrarre un po’ di minerale.

Entrati nel circuito commerciale non se ne esce 

L'ultimo baluardo che si tenta di distruggere: la famiglia.

L’ultimo baluardo che si tenta di distruggere: la famiglia.

La Chiesa peraltro non ha scelta: nemmeno se volesse ora è in grado di attivare quei vecchi magistrati o poliziotti o politici cattolici che una volta l’avrebbero difesa per l’ottimo motivo che quei vecchi esponenti che vicariavano il potere temporale della Chiesa, cui la Chiesa stessa ha rinunciato, non ci sono più. La Chiesa ora, nuda e indifesa, è costretta a giocare a carte col diavolo e accettare il ruolo subalterno in quella che possiamo definire una brutale amicizia col regime consumistico, ossia uno di quei rapporti dalla vaga connotazione sado – maso o vittima – carnefice che lega un soggetto dominante a uno soggiacente.

Una volta fatta entrare la vita religiosa, l’eternità, i simboli sacri e perfino la vita biologica nel circuito commerciale tramite la profanazione e la dissacrazione, l’ultima battaglia che il consumismo deve vincere prima di commercializzare definitivamente la fede in tutti i suoi aspetti e quindi massimizzare il profitto è quella contro la famiglia.

Si tratta di una strategia liquidatoria odiosa, ma non irragionevole: il consumismo deve stimolare ai consumi il segmento potenziale di mercato costituito da coloro che fino a ieri disponevano di una visione del mondo alternativa, almeno in occidente, modellata dal cristianesimo.

Oggi sembra necessario ribadire l'ovvio.

Oggi sembra necessario ribadire l’ovvio.

L’ethos cristiano, infatti, sia nella sua confessione cattolica che protestante, ha sempre promosso la sobrietà nello stile di vita, la capacità di compiere rinunce e sacrifici, un certo distacco dai beni materiali. Inoltre la famiglia cristianamente configurata implica sacrificio, risparmio, riduzione dei consumi per i beni voluttuari (ossia quasi tutti), accantonamento delle risorse economiche per progetti a lungo termine.

Mentre il mercato ha bisogno di edonismo, prodigalità, incremento dei consumi e quindi di single capricciosi e immaturi che vogliono spendere quello che risparmierebbero se avessero famiglia,  guidati dall’impulso compulsivo a fare shopping, perfettamente omologati in un eterno presente caratterizzato dal mito giovanilistico costruito artificiosamente per cui occorre essere arroganti, aggressivi, goderecci, stracolmi di status symbol spesso costosi da esibire per avere una identità sociale. Identità sociale non più conferita dalla religione, ma dal brand cui si aderisce il quale non è più un semplice logo, ma un sistema di valori che si decide di sposare.

Il nuovo totalitarismo del brand lascia libero il corpo e imprigiona direttamente l’anima.

Insomma i cristiani, più di un miliardo di potenziali e renitenti consumatori, devono diventare come tutti gli altri, adeguarsi allo shopping per noia e disperazione. Per raggiungere questo obiettivo la strategia di marketing più performante consisteva nel dissacrare la religione e provocarne il declino nella sua forma storica e brandizzare in sua sostituzione una versione accomodante e funzionale alle esigente del mercato ossia dei consumatori.

Depotenziato l’antidoto anche ai cristiani mancano gli anticorpi. E l’infezione dilaga.

 

 

La fiera delle vanità. EXPO 2015 di Milano

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E perciò bisogna credere (ce la faremo), combattere/garantire/promuovere, ma soprattutto obbedire a chi sta guidando il carrozzone. Noi, scrivono i citoyens, crediamo un sacco di cose giuste, che nessuna persona di buon senso metterebbe mai in discussione. Ma i citoyens pare vivano su Marte, credono a valori e ideali, alla forza dell’inerzia dei buoni propositi, ma poi, tuttavia, sono appecoronati dietro a gente che li ha condotti lì dove sono, cioè mooolto lontani da quello in cui dicono di credere con tanta fede nelle proprie capacità e impegno.

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La mail di

Ruggero*

*(è un lettore di PP, di vasta cultura, filosofo, che spesso ci invia mail con considerazioni molto argute sugli accadimenti di certe giornate. Abbiamo deciso di pubblicarne qualcuna, d’ora in poi, presentandolo solo come “Ruggero”, dal momento che preferisce mantenere riservato il suo nome. Le pubblicheremo ogni volta così, senza un vero apparato grafico, con la dicitura “la mail di Ruggero”)

Gli affamati li avrete con voi fino alla fine del mondo

expo-2015-milano

Mi sono chiesto, da cristiano, che documento è la “Carta di Milano”?

Sicuramente materialista e futurista, che mira alla prosperità che appaga e ad espandere le libertà umane. Nell’equità… C’è in gioco un futuro da salvaguardare, lo sviluppo nel 21° secolo…

Quante libertà umane esistono? Tante quante le voglie di ciascuno? E di quale equità si parla? E di quale realtà? In un modo di megalopoli da 10 milioni di abitanti, il cibo a “Km zero” lo produrranno sul balcone (chi ce l’ha) o nello spartitraffico dell’incrocio più vicino?

La risposta è una risposta con la prima persona plurale, non il plurale maiestatis, ma dei “cittadini”. Questo essere citoyens ricorda subito un’esperienza rivoluzionaria fondativa del mondo com’è e come vorrebbe essere, sempre di più. Perciò ecco subito un “diritto”: al cibo. Non mangiare è una violazione alla dignità dell’uomo.

Non fa una grinza, visto come sono goloso, quante volte mangio e quanto apprezzo la qualità… Ma certamente ricorderete Qualcuno che ha detto “i poveri, e duquqe gli affamati, li avrete con voi sino alla fine del mondo”, e ha aggiunto “non di solo pane…” eccetera. Ma è un fuori trend.

Insomma la prosperità dell’uomo non è solo libertè, egalitè, fraternitè, con la felicità sullo sfondo del pensiero che conduce alle magnifiche sorti e progressive dell’uomo che si salva da solo.

La forza dell’inerzia dei buoni propositi

Mentre “l’energia per vita” fa cantare l’inno italiano cambiando le parole del finale… mentre “l’albero della vita” pare conquistato da chi evita accuratamente di fare i conti con la scorrettezza nei riguardi di quello “del bene e del male”… mentre le borse speculano sul cibo, i ricchi arricchiscono, le corporations mettono le mani sui beni pubblici (l’acqua) e le multinazionali imperversano con gli OGM e il cibo industriale, qui non solo si scrive che si ha diritto al cibo, ma pure “sano”. Lo chiedono i citoyens, lo chiede la mitologica “società civile”.

Eh già, perché in un mondo mai così insozzato dal peccato, dallo spregio al Creatore, le creature vogliono essere belle, sane, nutrite ma “fit”, ricche ma solidali, soprattutto “pulite”.

E perciò bisogna credere (ce la faremo), combattere/garantire/promuovere, ma soprattutto obbedire a chi sta guidando il carrozzone. Noi, scrivono i citoyens crediamo un sacco di cose giuste, che nessuna persona di buon senso metterebbe mai in discussione. Ma i citoyens pare vivano su Marte, credono a valori e ideali, alla forza dell’inerzia dei buoni propositi, ma poi, tuttavia, sono appecoronati dietro a gente che li ha condotti lì dove sono, cioè mooolto lontani da quello in cui dicono di credere con tanta fede nelle proprie capacità e impegno.

Perciò, mentre chiedono cibo ed equità, chiedono regole severe, ma poi chiedono libertà; chiedono opportunità (tutto fa brodo nel minestrone: un pizzico di femminismo, un po’ di solidarietà), ma bisogna tutelare la biodiversità, che se un contadino ammazza un qualche predatore, apriti cielo!

Dunque la Carta meneghina avrebbe potuto dire: sia chiaro che tra i diritti del contadino e quelli della cavalletta ha ragione il contadino… E invece il contadino deve stare attento alla biodiversità del suo campetto.

Ora: che il suolo e il mare siano sfruttati è vero. Che ci sia spreco pure. Ma sfruttamento e spreco sono figli di un sistema globale. Nelle “filiere brevi” gli sprechi sono meno e il suolo è più garantito che da avidi speculatori con abbastanza funzionari pubblici e politici compiacenti per poter ottenere quanto aggrada.

Ed ecco i citoyens intrepidi: stessi diritti, sia come piccoli imprenditori sia come grandi imprese.

Vitelli d’oro e altre illusioni

Sarà che tra gli sponsor di Expo 2015 c’è la Coca Cola, che ha inventato Babbo Natale, con renne, vestito rosso, barba bianca, cappello a pon pon e vocione… Chi crede a Babbo Natale può credere a quello che credono di poter fare i citoyens  credendo e combattendo, mentre obbediscono alla dittatura che li innesca. Siamo noi, solo noi, come una curva da stadio, inneggiante ciascuno i nostri idoli in campo con la casacca del cuore. Con una differenza: in curva sanno che c’è un avversario. Qui sembrerebbe che i citoyens giochino da soli, anche se stiamo perdendo. Com’è possibile? Forse qualche peccato? Forse un peccato, originale, per cui non ci sarà menù che ci sfamerà? Non ci sarà pozzo d’acqua che estinguerà la sete? Eh sì, cari citoyens e caro Babbo Natale, è dura…

In quanto membri della famosa “società civile”, noi ci impegniamo a far sentire la nostra voce a tutti i livelli decisionali, ma sarebbe il caso di ascoltare una vocina che ricorda che manca Qualcuno nell’elenco.

Tutelare i lavoratori, informare i consumatori, promuovere la ricerca, preservare il “benessere degli animali” (dal tonno destinato alle lattine, al pollo ingrassato in 9 giorni, al vitello che darà cotolette…), ridurre gli imballaggi per non dover smaltire il pattume… Certo, una bella pianificazione, l’ingegno, l’organizzazione, la tecnologia, le leggi… NON salvano!

E, tanto per stare in Europa, le cervellotiche leggi comunitarie sono un mal di testa per molti cibi sani…

I citoyens del pianeta, convenuti a Milano per redigere la carta sembrano un tantino tentati dal menu di Santo Stefano: un bel riciclo di avanzi ideologici (globalisti, terzomondisti, liberisti, sessantottini, animalisti, femministi, ambientalisti, vegani e chi più ne ha, aggiunga pure, Babbo Natale incluso). E’ sintomatico che si parli di “sovranità alimentare” in un mondo che vuole abolire ogni sovranità locale a beneficio dei burattinai che tirano i fili sopra ogni frontiera. Nelle scuole verrà dato cibo biologico… si sa, le scuole possono permettersi il meglio, almeno fino alla mensa. Poi, per la carta igienica, ci pensino i genitori.

In un contesto abbastanza piatto e noioso, il finale è divertente:

«Poiché crediamo che un mondo senza fame sia possibile e sia un fatto di dignità umana, nell’Anno Europeo per lo sviluppo e in occasione di Expo Milano 2015, noi ci impegniamo ad adottare i principi e le pratiche esposte in questa Carta di Milano, coerenti con la strategia che gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno elaborato per sradicare il problema della fame entro il 2030».

I citoyens credono a quello che hanno scritto. Adotteranno i principi (le ovvietà) esposte, coerenti (? pensate per esempio al TTIP…) con le strategie elaborate. Chi ha fame si attrezzi per una quindicina d’anni. I citoyens hanno bisogno di tempo. Non fanno miracoli. Anzi, li escludono.

Da ultimo: interessante l’elenco dei firmatari. C’è un certo marchio di fabbrica. Inconfondibile.

Amen.

PS: non sono contro l’Expo, che ritengo un bene e una bella occasione.

Ma contro la retorica e gli idoli è sempre bene attrezzarsi. Babbo Natale NON ESISTE.

Marciare per non marcire, su Roma. Per la vita

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Domenica 10 maggio, ore 14, da Castel Sant’Angelo partirà la marcia in difesa della vita, che va rispettata in quanto tale sin dal concepimento. Almeno i cattolici, se ci sono, si facciano avanti.

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 Alessandro Eliadi Alessandro Elia

Il 10 maggio a Roma si terrà la Marcia per la Vita, una manifestazione in difesa del diritto a vivere che fu cancellato con l’entrata in vigore della 194, legge che permette la soppressione del feto (o dell’embrione: chiamano così la vita umana, perché nessuno s’impressioni) nei primi tre mesi di gravidanza. Gli odierni “paladini della libertà”, cui è tanto cara questa legge omicida, sono gli stessi che sostengono che vi debba essere il diritto di morire (eutanasia) ma non il diritto di nascere (come prevede la 194, appunto). Tutti coloro che sono stati ingannati e credono che non si tratti di soppressione della vita, lo vadano a dire ai (circa) 5 milioni di innocenti ammazzati tramite l’aborto terapeutico dal 1978 (anno in cui è stata istituita la 194) ad oggi.

Fra i tanti incoraggianti messaggi di adesione alla manifestazione, vi è anche quello del presidente del Pontificium Consilium Pro Familia, monsignor Vicenzo Paglia, che ha scritto: “Marciare per la Vita è, un po’, marciare per tutti coloro che non possono marciare da soli, perché ancora troppo piccoli o già troppo malati e deboli”.

Una società fallita quella che favorisce l’aborto

locandina-page-001Sia chiaro che la Marcia non ha lo scopo di condannare le madri che hanno abortito, ma semplicemente di evitare che molti altri bimbi siano soppressi senza nemmeno poter venire al mondo. Le madri non sono assassine e non vanno giudicate, ma vanno comprese, aiutate e sostenute, esattamente al contrario di quanto avviene con la 194, che invece è una scaltra maniera per scaricare tutto il peso e le responsabilità sulla donna, a scapito suo e del figlio. Abbiamo veramente fallito come società se la soluzione che offriamo a una donna in stato di gravidanza in difficoltà è di sopprimere proprio figlio, che è il dono più bello che si possa ricevere (anche quando non è pianificato).

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” (art.3). Come attesta l’embriologia moderna, al momento del concepimento si forma un nuovo essere umano fornito di una propria struttura e distinto dall’organismo della madre, da cui dipende. La scienza dice che il feto è, a tutti gli effetti, un individuo umano contraddistinto dalla madre, perciò la legalizzazione dell’aborto terapeutico vìola uno dei diritti principali, cioè quello alla vita. La donna ha diritto sul proprio corpo ma non su quello del figlio, il diritto alla vita di quest’ultimo deve venire prima di quello della madre di abortire.

L’aborto nessuna differenza con l’eutanasia neonatale

aborto2Non c’è da sorprendersi se alcuni abortisti sono anche in favore dell’eutanasia neonatale. E, paradossalmente, questa posizione è molto più coerente rispetto a quella di chi è in favore  dell’aborto ma non dell’eutanasia neonatale. Se infatti il feto può essere soppresso, perché, non avendo le capacità funzionali di una persona, non può essere considerato tale, allora anche i neonati non dovrebbero essere considerati persone per lo stesso identico motivo. Le capacità funzionali non possono qualificare in alcun modo un soggetto. Lo stesso abisso di funzionalità che c’è tra un feto e un neonato, sussiste anche tra un neonato e un adulto. E poi questi grandi sostenitori della “qualità dell’esistenza” guardano solo la crema dentro il pasticcino, dimenticando che essa non esisterebbe senza la pasta sfoglia che la sorregge; così gridano ai quattro venti che ciò che è fondamento della vita non è vita e negano che la crescita dell’essere umano sia una fase della vita in se stessa.

Molti si scandalizzerebbero se passasse una legge per regolamentare l’eutanasia neonatale, mentre per l’aborto, siccome la cultura dominante lo ha fatto passare per un diritto, nessuno si indigna, malgrado sia una pratica criminale.

Ciò che accade oggi con la legittimazione dell’aborto, altro non è che un ripetersi della Storia, in cui il più forte traccia il confine tra vita e non-vita, decretandolo a proprio piacimento secondo una logica di potere. Un tempo i neri non erano considerati persone umane, così da poterli rendere schiavi. Allo stesso modo, oggi i feti sono considerati solo degli insignificanti “agglomerati di cellule”. In Spagna addirittura un feto umano ha meno diritti di alcuni feti animali; gli scimpanzé, ad esempio, sono protetti sin dalla fase embrionale della vita.

I dati manipolati per avvalorare l’aborto

abortoCertamente capita che le madri si trovino veramente in difficoltà e proprio non se la sentono di tenere il bimbo. Il problema è che il più delle volte si affronta la questione senza tenere in considerazione il feto, che anch’esso merita attenzione, oltre alla madre. Sbarazzarsene non è certo la soluzione. Inoltre, bisogna tenere conto che la legge fa cultura, non si possono assolutizzare alcuni casi specifici. L’aborto terapeutico, per esempio, con l’attuazione della legge 194, non solo è stato reso lecito, ma è anche stato promosso, giacché, essendo legale, ha conquistato la pubblica accettazione.

Per accertarsi che venisse approvata la 194, furono spudoratamente manomessi i dati riguardanti il numero di aborti clandestini e di morti da essi causate. Gli abortisti s’inventarono la “modica” cifra di 20 mila donne morte per colpa degli aborti clandestini l’anno (c’era perfino chi diceva 25 mila). Tuttavia, l’Annuario Statistico del 1974 riporta che le donne decedute in età feconda (dai 15 ai 49 anni) nell’anno 1972, cioè prima della legge 194, furono solamente 15.116. Attenzione: 15.116 sono le donne che morirono per qualsiasi causa, di queste una piccolissima percentuale è morta per aborto clandestino. In pratica, secondo le “inattaccabili” statistiche degli abortisti, nel 1972 sono morte 15.116 donne in età feconda, di cui 20 mila per aborto clandestino. Logico (?)

Oltre ai poveri bimbi abortiti ancor prima di nascere, le grandi vittime dell’aborto sono indubbiamente le donne. L’impatto che ha avuto la 194 sul mondo femminile è stato struggente.

Dolori addominali, nausea, mal di testa, vomito, diarrea, vertigini, sono solo alcuni degli effetti causati dall’aborto. Le conseguenze più gravi, quelle che permangono a lungo termine, sono di natura psichica: bassa autostima, senso di colpa, senso di alienazione, vergogna, isolamento, rabbia, difficoltà nel concentrarsi, episodi di pianto, incubi, pensieri di suicidio, ecc.

Secondo uno studio condotto dalla dottoressa Priscilla Coleman della Bowling Green State University dell’Ohio, pubblicato nel 2011 dall’autorevole rivista scientifica “British Journal of Psychiatry”, nelle donne che si sono sottoposte all’aborto la probabilità che si manifestino tendenze suicide aumenta del 155 per cento. La ricerca ha coinvolto circa 877.000 donne, appurando che le madri che avevano vissuto il dramma di un aborto erano rispettivamente 110 e 220 per cento più propense ad affidarsi all’uso di alcol e di droghe.

E menomale che la 194 aveva lo scopo di tutelare la salute delle donne…

Le migliori intenzioni per giustificare le peggiori cose

aborto (1)Infine, non si pensi che la 194 sia stata fatta in buona fede o per nobili cause. Dietro ad alcune apparenti ragionevoli motivazioni per supportare questa legge iniqua, in realtà si cela, come spesso accade di questi tempi, l’obiettivo di servire il dio denaro. La rivoluzione della sinistra sessantottina, paradossalmente, è risultata funzionale all’ultra capitalismo. Non si può tacere che le donne sono state ingannate con l’aborto e rese serve del capitale, che non vuole madri ma donne indipendenti; non vuole famiglie bensì atomi individualisti servi del consumismo. Per via del suo effetto di disgregazione della famiglia, e perciò stesso della creazione di una comunità non comunitaria, l’aborto terapeutico contribuisce a inserire la donna in una logica capitalistica che punta a far prevalere il dogma neo-liberista per cui non esiste una comunità, esistono solo individui.

Tanti cattolici, pur essendo rigorosamente contro la legge 194, si chiedono se sia giusto partecipare alla Marcia. In fin dei conti, si tratta comunque di un mezzo mondano, quindi la domanda è tutt’altro che stupida. Non potendo concordare con il relativismo di questo mondo, c’è sempre la tentazione di ridurre il cristianesimo a una battaglia contro qualcuno. Infatti, il cristianesimo non può e non deve divenire una negazione, perché Cristo è la più alta affermazione dell’uomo. È bene che l’annuncio e la testimonianza abbiano il primato sulla denuncia. Detto questo, la difesa dei principi non negoziabili esige una militanza. Specie se si tratta di un tema così delicato come la sacralità della vita nascente, bisogna opporsi con decisione, sfruttando tutti gli strumenti che Dio ci dona, anche una manifestazione. Non è possibile fare il bene senza anche occuparsi di contrastare il male. “Non basta asserire la verità, laddove è necessario, bisogna anche saperla difendere”, diceva Santa Caterina da Siena. La Marcia è una testimonianza pubblica, un segno visibile che riflette l’esortazione di Papa San Pio X: “Si deve combattere non con mezzi termini, ma con coraggio; non di nascosto, ma in pubblico; non a porte chiuse, ma a cielo aperto”.

Domenica 10 maggio, ore 14, da Castel Sant’Angelo partirà la marcia in difesa della vita, che va rispettata in quanto tale sin dal concepimento. Almeno i cattolici, se ci sono, si facciano avanti.

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Sic transeunt desideria mundi

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L’Irlanda: una sconfitta, un’altra. Altre ne seguiranno. Ma… ma io voglio rivelare alla Chiesa un piccolo segreto, nel quale ci metto tutto il mio disincanto, il cinismo e il realismo politico che ho imparato… Sai tu Chiesa perché ti odiano tanto? Perché sanno che dentro il tuo cuore custodisci le chiavi del regno. Sai tu Chiesa perché ti vogliono a tutti i costi o corrompere o abbattere? Perché sanno che senza il tuo permesso non possono mettere le mani sul tuo tesoro, le due chiavi del regno per chiudere il paradiso e aprire le porte dell’inferno affinché i demoni regnino sul mondo adorati “come Dèi”. Sai tu Chiesa perché sono resi sempre più nervosi dalle tue parole reiterate e ormai persino dai tuoi silenzi estenuanti? E infine, sai tu Chiesa qual è il segreto più grande di tutti e che li fa rabbrividire al solo pensiero che tu possa accorgertene?… Il grande segreto è questo, o Chiesa, sappilo: Roma deve resistere saldissima nel suo “Niet” a ogni prezzo ancora per un poco. Dopo avrà vinto. Perché le porte dell’inferno non avranno prevalso. Tu, Roma hai già vinto, e non lo sai…

Con nel mezzo un piccolo scambio di battute con Vittorio Messori

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P1190331-2di Antonio Margheriti
Mastino

Apro il giornale e la prima cosa sulla quale mi cade l’occhio sono due notizie: “Sì al referendum sul matrimonio gay in Irlanda”. Poi un altro: “Bambino ucciso e sepolto per gioco”. Giro pagina, ancora morti “per gioco”, innocenti. Segni dei tempi. È tutto un gioco, prima che la ricreazione finisca e suoni la campanella. E la resa dei conti.

Miglioria della morte

Mi racconta l’amico e collaboratore Nicola Peirce:

«E’ successa una cosa disgustosa: eravamo alla consacrazione nella messa per Santa Rita a Sant’Agostino, l’ingresso si trova nel porticato dove c’è anche l’ingresso del liceo Piccolomini, erano le 12:30 e un ragazzino, avrà avuto 16 anni, che usciva da scuola è entrato nella chiesa e fatti alcuni passi dentro ha urlato a squarciagola una bestemmia tremenda contro Dio …siamo rimasti tutti (in realtà 4 gatti) pietrificati, senza avere neanche il tempo di reagire e quello è scappato via ridendo con un gruppetto di sodali. Abbiamo seminato vento per troppi anni e ora è in arrivo l’uragano».

Lo sentiamo addosso, sulla pelle, chi conosce la storia e alla storia sa guardare con gli occhi della teologia della storia, chi conosce i dettagli del profetismo recente dove c’è una inquietante convergenza di tutte le descrizioni, chi conosce questo sa, sa che succederà: l’immane castigo divino che si abbatterà  sulla terra “come fumo e fuoco dal cielo per tre giorni, di grande buio”. Sa, o almeno lo sente, ne ha precognizione: tutto coincide. La speranza è che Maria mitighi il castigo, che almeno salvi chi non ha aderito, pur peccatore, alla follia del mondo alla rovescia che come in tutti i tempi “finali” della storia umana, detti “clima da Basso Impero”, conosce un ritorno carnevalesco alle antiche divinità pagane, ai fasti baccanti e orgiastici, ai suoi culti idolatrici e perversi; dove la femminilizzazione dei costumi e l’omosessualità prendono il sopravvento, in un clima festaiolo ma dal sottofondo macabro, da “crepuscolo degli dei” viscontiano. Però, nel momento stesso in cui raggiunge l’acme il clima festaiolo, tutto crolla. E i festanti restano sotto le macerie.

L’emergere endemico dell’omosessualità che sempre s’accompagna con un ruolo dominante della donna sull’uomo, fateci caso e mente locale, in tutta la storia umana ha significato sempre, inderogabilmente una cosa: che si è giunti al capolinea, e che una civiltà sta per crollare e proprio nel momento di massima baldoria carnevalesca e di completo rovesciamento della natura; un mondo sta per finire. Ma non quello di coloro che sono finiti calpestati dalla folla festante, no: quello dei festeggianti. Quel clima euforico e perverso, altro non è l’illusione crudele che nell’agonia si chiama “miglioria della morte”: il malato sembra sorprendentemente riprendersi dall’agonia, una riviviscenza fisica e morale, gli torna la parola, è euforico, vorrebbe persino alzarsi…  ma all’improvviso… crack! Stecchito. Miglioria della morte.

Ero ad un pranzo, la tv era accesa. Amici cattolici. Il tg mandava la “solita” notizia: “Centinaia di cristiani massacrati” dai musulmani. Portavo la mano alla bocca e facevo l’atto di baciare la terra, “sia ringraziata la Madonna”. Ma cosa stai dicendo?, mi chiedono. Rispondo:

«Quel sangue innocente e santo che quei cristiani versano, per volontà di Dio ricade sulle nostre teste malate e segnate dalla condanna, come le porte degli ebrei d’Egitto: lavano le nostre colpe, mitigano il castigo terrificante che sta per abbattersi sul mondo, dove nessuno di noi sa se si salverà. Ma se molti di noi si salveranno e vedranno la terra promessa, lo dobbiamo a quei cristiani d’Oriente che muoiono sotto la scure di Maometto, nel malcelato contento dei governi occidentali. Se non morissero loro, moriremmo tutti noi».

Tremate tremate le streghe son tornate!

Hillaru Clinton

Hillary Clinton

È un vero caso di lapsus freudiano: dove tanto stai concentrato a dissimulare la verità, che alla fine ti scappa di dirla non volendo. O almeno spero: perché a me è sembrata la sfacciataggine di chi ormai si sente tanto potente e intoccabile da non avere più resistenze di sorta. Parlo di quella strega della Hillary Clinton, che è la versione crudele di Obama. Ebbene, papalepapale, in pubblico, Crudelia Demon che vuol diventare presidentessa, l’ha detta tutta, tradendo le intenzioni che già denunciavamo appartenere ai signori del mondo, quelli che hanno scritto l’agenda liberal-radicale. E fa venire i brividi:

«I codici culturali profondamente radicati, le credenze religiose e le fobie strutturali devono essere modificate. I governi devono utilizzare i loro strumenti e le risorse coercitive per ridefinire i dogmi religiosi tradizionali».

Avete capito dove si vuol andare a parare? Ma con chi ce l’ha? I musulmani? Niente affatto, non metterebbero mai le mani in quel vespaio. Parla della Chiesa di Roma, che in America, insieme a qualche pentecostale, è rimasta l’unica resistenza contro la deriva e il predominio totale del Pensiero Unico.

Guerra alle parole

La rivoluzione è la distruzione di un ordine presente e la decostruzione delle fondamenta storiche e culturali sulle quali un mondo intero si reggeva, per costruire il suo “nuovo” ordine basato sull’odio verso qualcosa, che in un primo momento si chiama “amore” per gli sventurati, per poi farsi desiderio di “felicità” per tutti impartita ex lege e guai a chi si sente triste, e più tardi, infatti, si dirà solamente “terrore”.

Aveva ragione Kafka: la rivoluzione evapora presto, resta solo il limo di una nuova burocrazia. Ma è stato troppo ottimista: non ebbe la fortuna di sorbirsi a pieno il comunismo sovietico.

Le rivoluzioni si manifestano in primo luogo e invariabilmente come un dovere di “mutare le parole”, una guerra alle parole che secondo “lo spirito del tempo” e la nuova “sensibilità” che ispira, risulterebbero “scorrette”: vengono prima bandite, poi abolite, quindi proibite  – anche se sono il nome proprio delle cose – sostituendole con nuove, “politicamente corrette”.

Quando iniziano a verificarsi certe cose, e cioè la semantofobia, è la spia d’allarme che deve far rizzare i capelli: un mondo sta per essere distrutto, un nuovo ordine rivoluzionario con una violenza implicita che presto si farà esplicita sta per essere instaurato, il quale poi sarà rimpiazzato da un regime che evaporato lo spirito rivoluzionario si farà burocrazia brutale dalla quale neppure i rivoluzionari della prima ora si salveranno. Prima del grande crollo generale che precipiterà tutti quanti “nella morte avvinti”.

Infine la Rivoluzione uccide i suoi stessi figli

555300_239849266151190_51740472_nPur rimanendo nella mentalità successiva le scorie radioattive dell’epoca rivoluzionaria come bacilli capaci di sfidare dormienti le glaciazioni e i secoli in attesa del calore che un giorno li risveglierà, la nuova epoca che segue, chiusa la breve parentesi rivoluzionaria, non potrà che essere un recupero del passato, una restaurazione parziale di quello che era prima, semplicemente aggiornato.

Emblematico il caso della Russia, per dirne una, dove oggi assistiamo allo zarismo repubblicano di Putin, nuovo zar elettorale di tutte le Russie, in una pace clamorosa tra spada e croce sancita a furor di popolo e plebisciti: nell’ex Unione Sovietica questo, cioè il paese che fu “ateo” per legge, dove fu proclamata la morte di Dio e del Cristianesimo.

La Russia è il paese di domani. L’Occidente sta morendo, il vecchio ordine sta rendendo l’ultimo respiro; certo, siamo ancora ai sogni di gloria e all’utopia, dove si propongono apparenti “ragionevoli riforme” ma aleatorie su argomenti apparentemente scollegati tra loro e inoffensivi, ma che altro non sono che la miccia che farà saltare uno dietro l’altro i fuochi d’artificio, sino al colpo scuro;  è la rivoluzione che ancora non osa dire il suo nome, che si traveste da “riforma compassionevole” e  “costituzionale”, è cioè la fase della “Sala della Pallacorda”, la fase 1 della rivoluzione. Ma sta prendendo progressivamente piede la fase 2, la rivoluzione che presto svelerà apertamente il suo nome e scatenerà la sua violenza ancora appena mascherata dietro il legalismo autoritario e la parvenza parlamentaristica, e gettata la maschera del legalismo la infliggerà anche fisicamente in nome non più della “legge” ma di se stessa, unica fonte della legge, ai non allineati. A questa seguirà la fase 3, la morte e trasfigurazione della rivoluzione in una nuova burocrazia totalizzante la cui violenza nevrastenica non risparmierà nemmeno i rivoluzionari della prima ora, altrimenti nota come “terrore”; infine, la fase 4… fino alla “restaurazione” parziale dell’ordine precedente la rivoluzione, sotto le cui scure periscono i “terroristi” rivoluzionari.

Il piede di porco della rivoluzione: i gay

gesù2Non prendiamoci in giro, soprattutto non s’illudano i gay: sono soltanto il piede di porco che serve in questo momento ai nuovi rivoluzionari liberal-radicali per sfondare la porta di tutte le chiese e di tutte le nazioni – perché questa come tutte le rivoluzioni vuol essere internazionale e qualcosa di più stavolta: mondiale, intendendo per “mondo” l’Occidente più l’appendice psicolabile dei bastioni occidentali, l’America Latina.

Una volta sfondata la porta, a cosa serve più il piede di porco, i gay? Saranno un impiccio, i gay, e dovranno allinearsi pure loro, e la Rivoluzione, che è smemorata e non è riconoscente, conosce però il carico eversivo che con sé porta il sesso “libero”: farà cadere su di loro la mannaia dell’interdizione, perderanno non solo il “matrimonio” e i “nuovi diritti”, ma pure quelli vecchi, e con essi la licenza sessuale. Ogni rivoluzione parte eticista, sentimentalista e liberal-radicale e diventa moralista, glaciale e reazionaria.

Scusate: non successe così anche in Urss? Non fu Lenin a inaugurare il nuovo corso “radicale” con l’approvazione della sodomia, il divorzio, il “libero sesso”? E come finì quella storia? Con il moralismo più bieco reso più minaccioso dallo spionismo, dalla delazione che aveva un centralino in ogni condominio. La rivoluzione russa partì omofila e sessuomane e morì omofoba e bigotta… in Siberia sovente, dove accompagnò gli afflitti dal “vizio borghese”, la sodomia, almeno quelli che non contavano una mazza (pare che lo stesso Breznev talora lo praticasse); o nell’anonimato di qualche cella delle prigioni “del popolo”, ossia del Kgb, in un silenzio assordante, sanguinoso e mortale. Sic transeunt desideria mundi.

Ma interrompiamo il discorso pur affascinante con un intermezzo, dedicato alla cronaca. Poi riprenderemo, con un mio scambio di vedute con Vittorio Messori, poche ore fa.

Zeitgeist

Cosa sia stato il referendum per “decidere il nome” e solo quello dei già decisi nel parlamento irlandese sedicenti “matrimoni” gay, lo ha ben spiegato Massimo Introvigne (qui): un bluff, che ha fatto cadere l’ultima foglia di fico sull’istituto parlamentare, dopo averlo fatto cadere sulla democrazia elettiva, ormai svuotata dalla febbre del sovranazionalismo, delle burocrazie grigie e autoreferenziali che trovano in se stesse la fonte del loro potere e della sua legittimazione sine populo, ossia sulla “sovranità popolare” che quasi ovunque in Occidente è rimasta un guscio vuoto, tanto più che opposizioni e maggioranze governano insieme e pensano le stesse cose. Scrive il sociologo torinese:

«Ma il messaggio stava passando in Irlanda, come dovrebbe passare in Italia: attenzione, se al referendum vince il “sì” al matrimonio omosessuale – in Italia possiamo dire “se passa la legge Cirinnà” – arriveranno anche le adozioni e l’utero in affitto. E, siccome la maggioranza degli elettori in Irlanda era contraria alle adozioni, ogni persona convinta della verità di questa tesi diventava un votante per il “no”. Il governo irlandese – ed entrambi i principali partiti politici del Paese – erano tanto favorevoli al “matrimonio” omosessuale da espellere dalle proprie fila i contrari. Hanno pertanto trovato un metodo semplicissimo per garantirsi la vittoria al referendum: con la forza dei numeri in parlamento hanno introdotto l’adozione omosessuale prima del referendum. A tempo di record il governo ha introdotto nel gennaio 2015 una legge che consente alle coppie omosessuali – sposate o non sposate non importa, e all’epoca il “matrimonio” ovviamente non c’era ancora – il pieno diritto a ogni tipo di adozione, l’ha fatta approvare alla Camera in febbraio e al Senato in marzo. È diventata legge il 6 aprile 2015. Ecco dunque smontato il principale argomento della campagna contro il “sì” al “matrimonio” omosessuale: “volete votare no perché siete contrari alle adozioni? Ma le adozioni ci sono già, e continueranno a esserci comunque vada il referendum”.

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John Waters, scrittore irlandese

Questo era il primo dato. Ma ce n’è un altro: quello della Chiesa irlandese, che un po’ consapevole di quello che Introvigne dice sopra, ha del tutto rinunciato a combattere. E poteva essere persino plausibile, non fosse che hanno fatto lo sforzo opposto: non più di tre vescovi, in quel paese malato moralmente e non da mò…  da sempre a mio avviso, soltanto tre hanno tentato di annunciare battaglia, ma sono stati subito bruscamente zittiti dalla conferenza episcopale.

Non basta: i pezzi grossi dell’episcopato, a cominciare dall’arcivescovo di Dublino (qui), il primate, hanno detto – ma guarda un po’ che novità – che bisogna “dialogare coi gggiovani”. Ovverosia, ha spiegato dopo, occorre “prendere atto” della realtà. O per meglio dire, in soldoni: “adeguarsi allo spirito dei tempi” (ma lo aveva già anticipato in questo pensiero “originale” quell’altro smidollato del cardinale di Vienna, che lo disse papalepapale nel Duomo di Milano qualche mese fa). Spirito dei tempi, dicevo: il famigerato Zeitgeist hegeliano, miscelato poi dall’illusione marxistica del determinismo storico: la storia passata rappresentata come un regno oscuro e il perpetuarsi di un errore dal quale l’uomo ha cercato di affrancarsi, e, al contempo, vista come perpetuo inarrestabile progresso che si nutre del continuo superamento e dell’archiviazione dei dati passati in quanto “retrivi”. Una marcia verso le magnifiche sorti e progressive (già sentito, vero?) per arrivare infine non si sa dove: l’ultima volta fu a Occidente Hitler, a Oriente Stalin. Lo spirito del tempo è lo spirito del mondo. Ma lo “spirito del mondo”, dirà mi pare Gomez Davila, «altro non è che Lucifero».

Scrive un noto scrittore e giornalista irlandese, agnostico, John Waters (qui), radiato da tutti i giornali come “antidemocratico” (vi rendete conto di quanto poco conti ormai la logica?) e persino rinnegato dalla moglie quale “depresso che non sa d’esserlo”, come un pazzo dunque, per il solo fatto di essere anticonformista, ossia per non essersi piegato riverente e silente dinanzi allo Zeitgeist, e proprio per questo degno d’essere creduto avendo accettato di pagare con la sua pelle la libertà d’espressione, accettando il marchio d’infamia, scrive, dunque, quanto riporta Il Foglio, che ce lo presenta:

E’ stato piuttosto esplicito, durante la campagna, nel denunciare la timidezza della Chiesa Cattolica, ma mentre lo spoglio delle schede sancisce la vittoria del “sì” non cerca attenuanti, dice che la Chiesa è “fucking useless”, fottutamente inutile, “e citami pure, mi raccomando”. “I vescovi sono dei codardi, non hanno fatto praticamente nulla per fermare questa barbarie, e i due o tre che hanno fatto qualcosa sono stati pugnalati alle spalle dai loro superiori. Settimane fa ho implorato il nunzio in Irlanda di chiedere alla Santa Sede di prendere posizione, e non è successo nulla”. Certo, ammette Waters, la Chiesa irlandese ha pagato un prezzo enorme per il dramma degli abusi del clero, attorno al quale è stata montata una campagna denigratoria dei media che va molto oltre quel capitolo oscuro, “ma questa non può essere una giustificazione per rimanere in silenzio”. “I media irlandesi – conclude Waters – sono violentemente ostili alla Chiesa, vogliono distruggere tutto quello in cui crede, ma lo stesso i preti e vescovi vogliono blandirli, cercano di piacere loro, e hanno paura di dire la verità”.

Mi ricordo, me lo hanno raccontato perché non ero nato, che negli anni ’60 prendevano in giro compativano e un po’ brutalizzavano i militanti cattolici, perché rifiutavano, almeno prima del ’68, di piegarsi allo Zeitgeist di quel tempo marchiato dall’ottimismo cieco verso l’inarrestabilità del “progresso tecnologico” che ogni conflitto e bisogno avrebbe risolto (facendo, va da sé, evaporare Dio) e il cui antesignano era, ma guardate un po’!, l’Urss. Già, perché lo Zeitgeist di quel tempo era proprio il marxismo sovietico del quale celebrarono la definitiva “vittoria” sulla storia, poco prima che s’incapricciassero, gli intellettuali a la page e dunque conformisti come sempre, di quello cubano e poi di quello cinese finché il Muro di Berlino crollatogli sul muso non gli fece passare il capriccio. E passarono dall’ideologia rossa a quella verde… e poi, adesso, quella arcobaleno, così come, durante la guerra si erano lasciati prendere dalla febbre “bruna” e “nera”: conformisti come quelli che si vedono nel film di Totò Siamo uomini o caporali?

Due chiacchiere con Vittorio Messori

760_vittorio_Per carità, non voglio perdere ore preziose tolte al sonno, ai miei pensieri peripatetici andando per Roma, né ai miei solitari studi che si faranno saggi, né ai cazzeggi su fb, né alla poesia che cerco nelle cose per raccontare storie, non le voglio perdere queste ore nell’analizzare la situazione di quel rognone estratto dal corpaccione flaccido dall’Inghilterra puritana e corrotta – come per ogni paese protestante che si rispetti – che è l’Irlanda. Sarebbe più esatto dire il fegato cirrotico dell’Inghilterra, ne avesse ancora uno sia pure conservato sott’alcol. Ma qualcosa va detta.

Saputo dell’esito referendario in Irlanda, mando una mail a Vittorio Messori. E gli dico, linkandogli l’articolo su  John Waters:

IO:

In questo articolo c’è tutto, c’è anche quell’idea che fu sua, reiteratamente ripetuta e sempre presa sottogamba, dell’implicita debolezza delle cristianità, dei cattolicesimi “imperiali” e “patriottici”, che si sono vigorosamente tenuti in piedi aggrappati all’idea di nazionalità, di una certa idea di nazione, dove il nazionalismo si confondeva con la fede.

E inoltre, aggiungo io, il cattolicesimo irlandese altro non è stato che una strenua opposizione al dominio politico inglese e dunque anglicano, all’anglicanesimo non perché non romano ma perché inglese, resistenza dunque allo straniero barbaro e invasore che assumeva le sembianze stesse del Male. Venuto meno questo conflitto, è venuto meno anche il cattolicesimo irlandese. Ma soprattutto: gli irlandesi, beoni e sessuomani cronici (basti pensare ai Kennedy), mai furono veramente cattolici, sempre rimasero dei calvinisti, e questo fu l’andazzo nei suoi istituti religiosi ed educativi, la peggiore specie di puritani: doppi, bigotti, spietati. Ossessionati dalla stessa idea dei loro vizi endemici, il sesso e l’alcol in primis.

Per il resto, il silenzio totale della Chiesa irlandese durante i referendum, la dice lunga a cosa servono le campagne mediatiche sui preti “pedofili”: a condannarli alla morte sociale, a distruggerne le difese immunitarie, la capacità di reazioni, intimiditi dal complesso della vergogna. Che per giunta, nel caso irlandese, è del tutto giustificato, o quasi tutto.

MESSORI:

Sin da tempi non sospetti ho sempre guardato, e scritto, con diffidenza dei “Paesi cattolicissmi “: Spagna, Polonia, Irlanda, Québec canadese. Ci metta magari anche il Lussemburgo, primo al mondo ad avere un premier che ha sposato un altro maschietto. Il fatto è che conosco la storia e so come è andata.

Per stare all’Irlanda: quando giunsero i primi missionari (i benedettini mandati da Roma da Gregorio) non ci fu neanche bisogno di predicare, meno che mai di convincere il popolo. Il sistema sociopolitico era basato su un mosaico granitico di clan dove il Capo era onnipotente. Bastò convincere a battezzarsi  quello che stava a capo della piramide e tutti gli altri seguirono a cascata. La gente non fu mai interpellata e poco o niente catechizzata, nei secoli: bapteme pour tous

Prenda i polacchi : cattolicissimi? Certo, perché stretti tra Prussia luterana e Russia ortodossa. La religione ci entrava così poco che i più fedeli, sempre, a Napoleone furono proprio i volontari della legione polacca, pronti spesso e volentieri al saccheggio delle chiese e all’espulsione dei religiosi in tutta Europa.  Il tutto in nome della promessa del Bonaparte di concedere, chissà quando, l’indipendenza alla Polonia.

Non parliamo poi della Spagna, per carità non di patria ma di Chiesa: ne avrei da dirne, a cominciare dalla  leggenda della  Reconquista, una sòla come dite voi a Roma pari solo a quella della nostra Resistenza.

 IO:

Sto scrivendo un veloce articolo per il mio sito (ormai mi disturba interrompere il lavoro saggistico per dedicarmi agli articoli, il quotidiano al posto della storia… perché la vittoria cattolica la si vede solo “nella” storia, al presente è sempre una sconfitta), sto scrivendo, dicevo, un articolo sull’Irlanda, ha altro da dichiarare?

MESSORI:

A pensarci bene… ci metta questo, visto che mi cita il puritanesimo e le ossessioni sessuomani degli irlandesi e dei calvinisti in genere. I tèutoni alla Kasper, e alla Lutero, non hanno capito che la formula che ha permesso la durata e la grandezza della Chiesa – e che le ha permesso di diventare davvero cattolica – così suona: Saldi, anzi irremovibili, sui princìpi; tolleranti, comprensivi per l’uomo concreto. Proclamare sempre e comunque l’ideale ma non dimenticare mai le ferite che ci rendono infermi e spesso incapaci di seguire la Virtù. Solo la contraddizione è umana, la coerenza sempre e comunque è disumana e utopica.

IO:

Come sembra pensare il papa.

MESSORI:

In realtà non so se pensi questo, forse no. E stupisce che non l’abbia capito l’italo-sudamericano, per giunta gesuita, cioè formato al compromesso, all’inciucio, all’accomodamento.  Ma probabilmente lo ha ben capito però… almeno in certi discorsi, preferisce aggregarsi all’ondata egemone ossessionata dall’eticismo, della quale però si è già impossessato il Pensiero Unico con tutte le ipocrisie del caso…

IO:

Quindi il papa cerca funghi in un bosco dove già sono passati tutti i santoni del Pensiero Unico Dominante, non cavalca l’onda, semplicemente s’aggrega…

MESSORI:

Siamo comunque a dei paradossi. Nel sito di Repubblica, accanto agli esaltanti, per loro, risultati irlandesi, c’è l’omelia domenicale di Scalfari tutta tesa a dimostrare che oggi non c’è al mondo un uomo cui guardare con maggiore fiducia e da imitare per tutti come il papa. Un panegirico imbarazzante. Forse perché  papa Bergoglio sembra dargli ragione dicendo “buon pranzo” e “buongiorno”? Non del tutto, il problema è più complesso, direbbe un vecchio sessantottino.

IO:

Ma stiamo vivendo una rivoluzione, e il primo nemico della rivoluzione è la Chiesa: si può attaccarla oppure farsela amica.

MESSORI:

Quanto a questo, beh, ci vorrebbero libri. E alcuni li ho già scritti… Tenga presente che, nella storia, una sola rivoluzione ha avuto successo duraturo e crescente: quella sessuale. Che è anche questa. È chiaro: le altre fanno appello alle virtù, la rivoluzione sessuale al desiderio che diventa presto vizio. Per questo non poteva non vincere e passerà di trionfo in trionfo.

Termina lo scambio di vedute con Messori che mi dà delle “curiosità” sulla croce celtica degli irlandesi, che alla fine dopo tante ipotesi le più mistiche ed esoteriche, altro non risulta essere che una sintesi degli strumenti di navigazione che quel popolo di pescatori adoperava avventurandosi in mare. Tanto rumor per nulla…

Abbattere il Bastione

1431589851-11225542-808434149264210-2118744559-nIo so, io so come andrà a finire: so ma non voglio immaginare, epperò conosco troppo bene la storia e le sue costanti per non immaginare già. Io so. Ma soprattutto so chi è il vero nemico di tutti quanti, del quale non si osa ancora apertamente svelare il nome. Io so. Io so il nome del Bastione diroccato contro cui infine all’unisono tutti punteranno i cannoni per abbatterlo una volta per tutte, pur dipinto da tutti costoro come ormai socialmente irrilevante – e a guardare cattolici e gerarchia è così: irrilevante. Eppure tutti si stanno schierando misteriosamente contro a cannoni spiegati. Non è più questione di “se”, ma di “quando”. Quando si darà la parola d’ordine fatale: “fuoco!”. Come sarà? Ma intanto sappiamo cosa è: è una sfida a Dio per cancellarlo, una guerra totale alla sua incarnazione, Cristo e il cristianesimo per farne strazio, e alla sua sposa mistica, la Cattolica, per distruggerla. Sì, è lei il Bastione. Lei il nemico finale del quale ancora non si osa svelare il nome. È lei il “nemico pubblico n°1” dell’Occidente.

Basta dare un’occhiata a qualsiasi manifestazione per i “nuovi diritti”, ossia per le priorità dell’agenda liberal-radicale, pure un qualsiasi gay-pride, polli in batteria prediletti per le sperimentazioni ideologiche dei signori del mondo: anche se si svolge in un paese protestante, le invettive dei manifestanti, i cartelloni sono tutti rivolti con livore contro la Cattolica, contro i papi, che nessun potere hanno sulle loro vite e coscienze. Fateci caso e osservate: tutti i guru di queste genti, fossero anche star dello spettacolo, non fanno altro che esibire le immagini più sante e venerabili per i cattolici per profanarle e cospargerle di sacrilegi, sovente di liquami viscerali. Per far dispetto a chi?

La pietra angolare si fa pietra d’inciampo

402930_4049964899796_2087865239_nMa qualcosa ancora resiste dinanzi alla marcia trionfale del Pensiero Unico Dominante che non tollera dissensi, e questo è inaccettabile per l’establishment radicale che vuole regnare incontrastato sul mondo tant’è che ad uno a uno sta eliminando ogni corpo intermedio che li separa dalla vita e dalla coscienza delle persone: vuole governare oscuro e grigio direttamente sul corpo delle persone, sui pensieri, le opinioni, il sesso, il cervello, il cuore, la pancia: d i r e t t a m e n t e! E’ per definizione, secondo i tecnicissimi manuali di scienza politica, un nascente “totalitarismo”, non dispotismo, badate: TOTALITARISMO. Ossia annullare l’uomo così com’è e crearne uno tutto nuovo, l’uomo nuovo, ideologico, roboticamente funzionale ai piani della casta, della lobby, del pensiero dominate, del Grande Despota Senza Volto e Nome che va stagliandosi con la sua ombra grigia sull’Occidente, moderno Moloch. Ma c’è un “piccolo inconveniente” che gli sta facendo perdere tempo… un intralcio lungo il cammino dell’unanimismo!

Quella pietra angolare nel Bastione, che è la sua dottrina non ufficialmente smentita, è quella la pietra d’inciampo per i signori del mondo: costoro sanno che finché non sarà cavata via, bloccherà la loro definitiva vittoria, faranno capitomboli, perché un potere che vuol essere universale e regnare incontrastato sul mondo deve avere dalla sua parte tutte le opinioni, ogni consenso e nessun dissenso.

Cedute in Occidente l’una dietro l’altra tutte le dighe, a cominciare dalle denominazioni protestanti dissolte nell’acido della religione civile e ridotte a claque della secolarizzazione se non a sue avanguardie, c’è ancora però lungo il cammino trionfale che porta il Pensiero Unico verso l’Olimpo del ritorno agli antichi dèi pagani, quella sola pietra lì e non lo possono tollerare, onde il livore che schiuma bava velenosa: la dottrina cattolica. Che denuncia la loro orrenda contraddizione. Che sta lì incuneata nella terra a ricordargli di quanto sono vani e votati al disastro e poi al fallimento le rivolte dell’uomo contro Dio: la storia lo dice. La verità scomoda, va rimossa, come pietra d’inciampo.

La Grande Scimmia di sempre

satan_and_demon_babyNon gli interessa che ci sia una Chiesa e un papa, ci stiano pure, non ne sono turbati oltremodo: purché svuotati delle cose vitali, come un esotico e raro uccello eviscerato e impagliato nei musei naturalistici; non gli importa questo. Gli interessa il fatto clamoroso che questi papi, questa Chiesa, Roma all’interno preservino la purezza del Verbo, attraverso il Depositum: dottrina e magistero. E non lo mollino versandone il contenuto nelle fogne: finché qualcuno si rifiuta di riconoscere come errore o almeno come verità superata una Verità che si vuole assoluta ed eterna, le verità relative con le quali si vogliono rimpiazzarla non potranno mai avere tutto per sé il trofeo.

Ma Roma resiste come un Bastione diroccato, resiste da secoli misteriosamente, insieme ai più poveri figli della Chiesa e ai cattolici dell’ultima ora, i convertiti: i cattolici africani, qualche asiatico, gli orientali, resiste persino all’Islam a costo di versare il suo sangue. Lo zoccolo duro che manda in bestia il Pensiero Unico è questo. Resiste. È il solitario, residuale  dissenso – non della “Chiesa”, ché la “chiesa” in gran parte è omologata: di una frazione di essa, lo zoccolo duro appunto – che li separa dall’intronizzazione al posto del Dio detronizzato.

“Dio detronizzato”: bip-bip-bip, allarme allarme! Se c’è fumo c’è fuoco: capite? Capite ora che dietro tutto questo c’è Lui e solo Lui: l’Antico Avversario che vuol farsi Dio e non potendo conquistare i cieli vuole la terra per essere adorato nel disprezzo del vero Dio? E’ la Grande Scimmia di sempre, e tutto quel che fa è rivoltato, scimmiesco appunto, imitazione deforme di ciò che è stato creato da Dio: cos’è, ad esempio, il “matrimonio” gay se non l’imitazione scimmiesca e sacrilega del matrimonio tra “uomo e donna” sacramento di Dio?

Emblematiche le parole, e sarebbe da dire le profezie della più grande e completa testa femminile apparsa nella storia della Chiesa, Ildegarda da Bingen, mistica, veggente, profetessa, teologa, “alchimista”, erborista, medico… tutto: “E infine si arriverà a proibire il matrimonio cristiano”. Lo diceva quasi un millennio fa, guardando, lei che sapeva “vedere” lontano, ai secoli futuri. Presto, in Europa, si arriverà a questo, e poi ovunque.

Il “nemico del popolo”: la Chiesa

Pio VII, di Giovanni Gasparro

Pio VII, di Giovanni Gasparro

Ogni rivoluzione deve detronizzare e decapitare qualcuno, il capro espiatorio per poi giungere, quando si sentiranno abbastanza forti, al vero “nemico della rivoluzione” e “del popolo”: che è sempre uno: il Dio di Cristo, nella sua incarnazione terrena, la Chiesa di Roma. Pietro.

Fateci caso: le rivoluzioni partono “parlando d’altro” ma poi invariabilmente arrivano a quello che era il loro segreto e vero fine: sradicare il Cattolicesimo.

La prima rivoluzione fu quella Luterana, e quale fu il suo scopo?

La seconda fu quella Francese e dove andò a parare sino a Napoleone che rapisce persino due papi?

La terza fu quella comunista e contro chi si scagliò infine essendo che già nelle sue premesse si parlava di “religione come oppio dei popoli”?

Poi la quarta, quella sessuale, l’ultima, iniziata nel ’68 e che stiamo vivendo nel suo parossismo prossimo a diventare estremo: partita dalla demolizione della figura cristiana di donna esaltandone il modello opposto, sino al gesto emblematico della recisone del cordone ombelicale con l’aborto che nega alla radice la natura stessa della donna contrapponendo madre e figlio dopo che col divorzio si erano contrapposti uomo e donna, si è giunti infine al regolamento di conti che avevano in pectore sin dal primo momento: quel che resta della Chiesa Cattolica contro tutti quanti, Chiesa contro “popolo”, cattolicesimo contro “diritto”. Poco ore prima di affacciarsi alla Loggia, il cardinale Ratzinger l’aveva inquadrata con precisione chirurgica: Dittatura dell Voglie. E ne ha sperimentato sulla sua pelle, col martirio e l’oltraggio quotidiano, la sua violenza e potenza.

E non hanno, stavolta che sanno essere la battaglia campale e finale della quadruplice rivoluzione mirata alla scristianizzazione totale che dura da 500 anni il 2017, non hanno alcuna intenzione di perdere. E non risparmieranno di usare tutte le armi a loro disposizione: a Sud ci stanno riempendo di musulmani in nome dell’ “accoglienza” alla quale attivamente e senza discernimento collabora la Chiesa in disarmo; a Nord calano la scure del legalismo disegnato a loro immagine e somiglianza. Una incudine dentro la quale, secondo i loro propositi, a breve, Roma dovrebbe restare schiacciata. E capitolare.

Intanto se a Sud vibra la mannaia di Maometto, a Nord tintinnano le manette. Tra poco l’unico crimine internazionale sarà l’aderire pubblicamente al cattolicesimo, e questo va bene al Pensiero Unico Dominante, e al suo bestione da soma e braccio armato, l’Islam. L’Occidente non sottovaluta affatto la sua capacità di dissolvere nel solvente della secolarizzazione i giovani islamici che emigrano in Occidente: sa fin troppo bene l’occidentale che l’islamismo altro non è che un altro legalismo non una fede, e i principi dei legalismi agnostici sono gli occidentali: sanno quali tasti toccare per neutralizzarlo alla bisogna. Uno: corromperlo con i suoi vizi, e nessuno è più ricettivo ai vizi occidentali degli islamici.

Fiat!

tumblr_inline_mz1l5cbPn61r2ai2cFinché la Chiesa di Roma non smentirà in via ufficiale, attraverso i supremi vertici i suoi assiomi sulla morale, i suoi “dogmi” per dirla alla Clinton, non potranno montare quell’ultimo gradino che li separa dal più grande e assoluto dei poteri che supera ormai le antiche contrapposizioni partitiche sicché tutti, destra centro e sinistra, ci stanno dentro: manca solo lo zoccolo duro della Cattolica. Ecco perché con ogni mezzo blandiscono papa Francesco: sperano che da lui arrivi la “parolina” liquidatoria che agognano. E dipendesse da Bergoglio,  verrebbe anche magari – del resto sta venendo da tutti i suoi grandi elettori – ma ahiloro, dietro Bergoglio ci sono Gesù e Maria.

Gli serve una parolina soltanto da parte di Roma: “Fiat!”. Come per dire “avete vinto voi: sbagliavamo noi!”. Stanno portandosi dietro l’uno dopo l’altro i vescovi e cardinali di mezzo mondo, ma i vescovi sono solo colonnelli alla periferia dell’ex impero cattolico: gli servono i comandanti in capo. Quelli che hanno le mani sul Deposito esplosivo e possono farlo saltare in aria inserendo il codice che è la “parolina” chiave. È una guerra di logoramento per arrivare al centro della battaglia: Roma. Irrilevante, dicono. È vero. Irrilevante per l’opinione pubblica, certo, per i poteri forti, assolutamente! Ma nel suo scrigno conserva una misteriosa forza, una parola chiave capace di spalancare le ultime porte proibite laddove ci sono i liones, superati i quali c’è l’una e l’altra chiave del regno.

Lucifero, perché è di lui che stiamo parlando, offre alla Chiesa come offrì a Gesù nel deserto la gloria del mondo, in cambio di un atto di adorazione, di un “fiat”. Ma Gesù scelse la croce. È l’unica strada per la Chiesa.

Il grande Segreto

11147854_10205540460008618_2825908524474088850_nMa io voglio rivelare alla Chiesa un piccolo segreto, nel quale ci metto tutto il mio disincanto, il cinismo e il realismo politico che ho imparato (ma guardate un po’!) proprio alla scuola radicale, durante la mia lunga militanza a sinistra, le rivelo questo segreto sperando che qualcuno ne faccia tesoro.

Sai tu Chiesa perché ti odiano tanto? Perché sanno che dentro il tuo cuore custodisci le chiavi del regno.

Sai tu Chiesa perché ti vogliono a tutti i costi o corrompere o abbattere? Perché sanno che senza il tuo permesso non possono mettere le mani sul tuo tesoro, le due chiavi del regno per chiudere il paradiso e aprire le porte dell’inferno affinché i demoni regnino sul mondo adorati “come Dèi”.

Sai tu Chiesa perché sono resi sempre più nervosi dalle tue parole reiterate e ormai persino dai tuoi silenzi estenuanti? Perché sanno inconsciamente che il tempo stringe prima che il mondo si stanchi e solo tu puoi pronunciare la famosa “parolina” magica, poiché in definitiva a Pietro è stata data facoltà di legare e sciogliere, ma anche perché con la resistenza di una particola soltanto del tuo santo corpo sei testimonianza vivente delle parole terribili che fanno tremare i demoni, “non prevalebunt” e se Pietro non fa l’atto di “adorazione” che Cristo stesso rifiutò, tutto presto per loro sarà perduto; certo, ci sarà un calvario, crocifissione, ma sarà solo la rabbia e la vendetta trasversale per il presagio di resurrezione inscritto in ogni globulo rosso versato dai cristiani, non un sadismo di vincitori.

E infine, sai tu Chiesa qual è il segreto più grande di tutti e che li fa rabbrividire al solo pensiero che tu possa accorgetene? È resistere, resistere, resistere, contro tutto e tutti. Perché, paradossalmente e misteriosamente, sei a un passo soltanto dalla vittoria proprio nel momento in cui sembra che si sfiori il fondo dell’abisso: la vittoria dei tuoi nemici, del Pensiero Unico Dominante, sta tutta lì, nell’ottenere un “fiat” da te, un solo atto di adorazione, una parolina basta, prima che sia troppo tardi per loro. Il riconoscimento. Questo vogliono. Senza il tuo riconoscimento non avranno pace, perché persino nella loro coscienza è inscritta la nozione di bene che si manifesta trasfigurata e deformata sotto sembianze di odio anticattolico, di persecuzione, perché solo così possono ancora convincersi che sei tu a sbagliare, che non è male ma “bene” quel che hanno in testa. E’ un meccanismo ossessivo-aggressivo di rimozione il loro: nemmeno loro, che hanno ceduto a Satana, signore del mondo, sono del tutto perduti. Satana si sta giocando il tutto per tutto, persino i suoi stessi volenterosi operai e carnefici.

Il grande segreto è questo, o Chiesa, sappilo: Roma deve resistere saldissima nel suo “Niet” a ogni prezzo ancora per un poco. Dopo, avrà vinto. Perché le porte dell’inferno non avranno prevalso. Tu, Roma, hai già vinto, e non lo sai…

Ma quanto costa la vittoria, o Dio che sposti sempre gli ostacoli e ci fai nomadi e perseguitati, traditori e martiri, apostati e confessori della tua Verità, Giuda e Pietro e Giovanni!

Il cuore mi dice nell’Anno 2017: centenario di Fatima, 500° dell’inizio dell’ininterrotta rivoluzione come rivolta contro Dio e la sua Chiesa che da Lutero è giunta oggi sino a Obama, dopo essere passata per Robespierre e Napoleone, Marx e Hitler.

Il giogo leggero

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Certi giorni la fatica sembra sopraffarci. Il confronto con le vite altrui sembra allora toglierci anche il minimo di forza rimasta. Se, però, non perdiamo di vista Lui, tutto ci diventa più comprensibile. Per andare avanti.

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Andrea Torquato Giovanolidi Andrea Torquato Giovanoli

Settimana faticosa. Di un mesetto impegnativo. Di un periodo piuttosto stressante.

Capita che la vita talvolta ti stringa d’assedio e se anche non ti succede nulla di straordinario, le circostanze quotidiane, chissà come mai, si rivelino più faticose di quello che dovrebbero, gli impegni paiano più gravosi di quanto in realtà siano e persino gli affetti famigliari ti assorbano maggiore energia di quanto normalmente facciano.

E così arrivi a sera con le forze al lumicino, e basta poco per farti innervosire: non vedi l’ora di andartene a dormire, già sapendo che comunque il risveglio l’indomani ti parrà un atto eroico ed affrontare una nuova giornata di impegni affatto fuori dal comune ti sembrerà invero una fatica atlantica.

E gli altri?

A volte siamo come Pietro.

A volte siamo come Pietro.

Sono momenti in cui ti guardi attorno ed il confronto con le vite altrui ti viene spontaneo, poiché anche se le altre famiglie hanno più figli dei tuoi, lavori più pesanti ed impegni più gravosi a te sembra che non facciano nessuno sforzo, godano di una salute migliore, abbiano più energia e serenità di quanta tu riesca ad auspicartene.

Ti aggrappi allora a quell’unica àncora che hai riconosciuto nella tua vita come vera salvezza, fidandoti di quella Sua parola che assicura: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi darò ristoro” (Matteo 11,28), ma talvolta anche questa pare smentita dal confronto con l’altrui apparente facilità di vivere e ti ritrovi dunque nei panni di quell’apostolo che, pur stabilito dal Maestro in somma dignità, anziché godere della Sua vicinanza si volta indietro e, scrutando il discepolo amato che li segue, cede alla tentazione del confronto e chiede delle sue sorti (Cfr. Giovanni 21,20-21).

E un po’ ti vergogni.

Quando meno te l’aspetti

Una processione del Corpus Domini a Milano.

Una processione del Corpus Domini a Milano.

Poi però succede che in quelle pressanti contingenze capiti un evento particolare: una processione del Corpus Domini solenne, presieduta nientemeno che dall’Arcivescovo, e che si svolgerà proprio nel tuo quartiere.

La tentazione è quella di accampare scuse, pur legittime, e starsene a casa: perché solo il pensiero di dover tenere i pargoli al guinzaglio in una situazione liturgica affollata ti fa venir meno, ma poi senti la coscienza rimorderti e ti fai forza, anche se controvoglia.

Seguire Lui.

Seguire Lui.

Così, in una settimana in cui, per la stanchezza di ogni giornata colma d’impegni, mia moglie ed io abbiamo dovuto a malincuore declinare ogni iniziativa serale, quella processione, pur stanchi morti, non l’abbiamo disertata. Ma solo perché ci sarebbe stato Lui, perché una cosa ci è ben chiara: se a chiunque altro puoi dare buca, a Lui no, non ti conviene, ed il perché l’ha detto Lui stesso: perché senza di Lui, noialtri, non si può far nulla, non poco o quasi niente, ma proprio nulla (Cfr. Giovanni 15,5).

Non si tratta di obliterare un cartellino

E allora quella sera c’eravamo tutti noi “Giova”, pargoli compresi: tutti in attesa di vedere passare Lui, per lanciarGli un saluto veloce, sicuri che Lui non avrebbe mancato di rivolgere il Suo sguardo anche su di noi e benedirci.

Ed effettivamente si è trattato proprio solo di un attimo, un passaggio veloce e subito ad inizio di serata, giacché la tentazione avrebbe potuto essere quella di dirsi che il più era stato fatto, il cartellino della presenza obliterato, e si sarebbe potuti tornare a casina, tanto più che con i bimbi avremmo potuto sentirci giustificati.

E invece no.

Il Sentiero Giusto

Volto di Cristo, 1435, Beato Angelico.

Volto di Cristo, 1435, Beato Angelico.

Ci siamo accodati, mano a mano sempre più persi tra la folla, sempre più lontani da Lui, ma mai distanti. Sempre più stanchi, questo sì, e distratti, soprattutto dai bimbi, che per un vero mistero, meno energie ti rimangono e più sembra che loro ne conservino.

E così camminare, cercando almeno di non perdersi tra di noi, ma senza neppure più tentare di seguire i canti o tantomeno le letture, solo camminare, un passo dietro l’altro, insieme ad una moltitudine di volti noti e meno noti, taluni veri e propri sconosciuti.

Camminare senza troppo ordine, ma mai senza una meta, che non è però un punto d’arrivo, bensì una Persona da seguire, una Presenza Viva e Vera, e che proprio perché Viva e Vera è insieme anche Via.

Poiché se sai che il sentiero è quello Buono, quello Giusto, non t’importa più di sapere dove esso ti condurrà, perché in qualsiasi luogo infine giungerai, sai che posto migliore non può esserci.

E allora capisci, mentre torni a casa stanco, ma di una fatica buona, non grave, che quella pace che ti ritrovi nel cuore è dono per aver, ancora una volta, soltanto obbedito al Suo comando: “Che t’importa? Tu seguimi” (Cfr. Giovanni 21,22).

N. B.: l’opera in copertina è di Sieger Koder.

Sanguis Christi inebria me

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E’ per questo che bisogna imparare ad amare il donatore e non il dono ed essere pronti a ricambiare costantemente l’amore del donatore. Perché qualsiasi dono riceveremo in questa vita lo dovremo lasciare e se siamo troppo attaccati ai doni, primo tra tutti proprio la vita, rimarremo ancorati in basso, alle nostre miserie e non riusciremo a: “…uscir a riveder le stelle”.

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Nicola Peircedi Nicola Peirce

Come ormai abitudine, anche quest’anno, per la quaresima mi sono sospeso dai social network. Da questa forma di comunicazione compulsiva e spesso superflua, che ha contagiato il sottoscritto e una larga fetta degli homo-sapiens di questo pianeta. Probabilmente, anzi quasi certamente, la mia è solo una sorta di snobismo culturale, travestito da pratica cristiana. Nella sostanza, però, lo faccio perché sento il bisogno, in quel periodo particolare dell’anno, di lasciare la mondanità per cercare maggiore tranquillità. Chiudo con “l’esserci” e inseguo faticosamente, “l’essere”.

Quest’anno si è unito all’astinenza quaresimale un siparietto con il mio direttore, con il quale, come ho già scritto, ho un rapporto da “bisbetica domata” … lascio a voi intuire chi sia la bisbetica. Durante i quaranta giorni di attesa della Pasqua è stato pubblicato, su questo web-magazine, un mio scritto che avevo lasciato in redazione prima di sospendermi e per questo ci siamo scambiati qualche e-mail. Nell’ultima mi raccontava che diversi lettori gli avevano domandato che fine avessi fatto, come mai non ero più su facebook e lui aveva risposto: “…magari è morto!”, con la sua usuale delicatezza.

Il fatto è che qualcuno ha anche creduto fosse vero e ha chiesto ragguagli a chi mi conosce personalmente e non solo virtualmente, con inevitabile codazzo di telefonate allarmate da parte di amici e spiegazioni tranquillizzanti da parte mia. Insomma, una fetta della mia tranquillità quaresimale sacrificata sull’altare della beffa del mio beneamato direttore e, così, ora gli servo, fredda, la mia vendetta. Gli rifilo questo predicozzo sdolcinato, che gli farà venire, sicuramente, l’orticaria.

Amiamo i doni o il donatore?

Blaise Pascal. Capì presto quello che molti impiegano tutta una vita a capire

Blaise Pascal. Capì presto quello che molti impiegano tutta una vita a capire

Non sono scaramantico, trovo la scaramanzia uno schiaffo all’intelligenza umana, oltre che a Dio, pertanto, senza scompormi più di tanto, ho assunto volentieri il ruolo l defunto. Mi sono immedesimato a tal punto nella parte che mi sono ammalato e ho passato due settimane in preda a febbre alta. Noi maschietti facciamo, in genere, i gradassi ma quando ci ammaliamo, anche di una semplice influenza, cadiamo in una sorta di agonia terminale che per chi ci è vicino diventa un calvario. Mi sono strascicato per casa, senza mai uscire, per quindici giorni ma è stato proprio grazie a questa circostanza che ho veramente “staccato” con il mondo.

Durante quella pausa forzata, chiuso in casa, senza poter partecipare alla messa e lontano dai sacramenti, ho letto, ascoltato la radio, guardato la TV e, soprattutto, dormito molto. Lunghi dormi-veglia passati a pregare e pensare. Ho pensato al mio rapporto con Dio e ho scoperto alcuni angoli “acuti” di questo rapporto. Uno per tutti posso riassumerlo con una frase di Pascal: “…amiamo le consolazioni di Dio ma non il Dio delle consolazioni”. Frase che probabilmente è frutto della conoscenza, che suppongo avesse, delle lettere di Santa Caterina da Siena. In particolare di quella scritta alla Regina (madre) d’Ungheria, dove la mistica senese parla dell’amore mercenario e dell’amore puro: “…amare Dio sopra ogni cosa (…) d’amore puro e non mercenario; cioè amare noi per Dio, e Dio per Dio” (Lettera CXLV – “Alla Reina d’Ungaria, cioè alla Madre del Re”). In altri termini il rischio è quello di amare i doni e di dimenticarsi del donatore. Di confondere l’amore a Dio con l’amore per i suoi doni.

Un dono tra i doni

Insieme

Insieme

E’ indubbio che ho ricevuto moltissimi doni da Dio. Primo fra tutti, come ognuno di voi, quello della vita ma ne ho ricevuto anche uno esclusivo per me, che della mia vita è divenuto condizione indissolubile e imprescindibile. Una donna, anzi la Donna, la mia domina, mia moglie. In quei giorni di letto forzato, accudito e coccolato da lei, ho ripensato a questo dono e al valore che ha avuto per la mia vita.

Il nove maggio scorso sono stati 28 anni dal nostro primo incontro. Ricordo ancora perfettamente tutto, anche l’ora, le nove di sera. Le circostanze di quell’incontro sono talmente particolari, direi uniche, che sarebbe, comunque, impossibile dimenticarle. Soprattutto quell’incontro è avvenuto, scusatemi se rischio la blasfemia, nella “pienezza dei tempi” della mia esistenza terrena. Avevo 33 anni ed ero al culmine di una vita vissuta, sin da adolescente, pericolosamente. Sempre sul filo dell’esagerazione sempre alla ricerca di qualcosa di più: più intenso, più inebriante, più eccitante. All’inseguimento dell’essere, attraverso le sensazioni, le emozioni, i gusti forti. Non voglio fare il “baùscia”, come si dice a Milano – dove ho vissuto i dieci anni precedenti a quell’incontro avvenuto, invece, a Roma – ma “…ho visto (vissuto) cose che voi umani non potete neanche immaginare”.

Come Virgilio per Dante.

Come Virgilio per Dante.

Diciamo che ho attraversato l’inferno, nel senso della ribellione. Quella follia che l’essere umano può originare quando si affida esclusivamente ai suoi sensi, a quel “senso del mondo” che considera stoltezza tutto ciò che è cristiano. Quella sera, con quell’incontro sono uscito “…a riveder le stelle”, ho lasciato l’inferno per dono (grazia) ricevuto. Tra l’altro fu proprio un carissimo amico di gioventù, che ora non c’è più e che avevo ritrovato, dopo tanti anni, pochi giorni prima, a farmi da Virgilio, ad accompagnarmi in quella uscita dall’inferno, perché è stato lui l’artefice, involontario, di quell’incontro.
E’ forse superfluo dire che, mentre esteriormente non ero assolutamente da buttar via, anzi, tutt’altro, ero, invece, ridotto decisamente male dal punto di vista interiore, psicologico ma soprattutto, spirituale. Insomma quella poveretta di mia moglie si è ritrovata tra le mani un dono incartato e infiocchettato benissimo, con carta patinata e fiocco rilucente ma dal contenuto avariato. Rimanendo alle espressioni dialettali: ero un vero e proprio “pacco”, che in dialetto romano sottintende una fregatura.

“…amor, ch’a nullo amato amar perdona” (V inf.)

Cuori a profusione. Ma l'amore è molto di più del sentimentalismo e del sesso.

Cuori a profusione nella contemporaneità. Ma l’amore è molto di più del sentimentalismo e del sesso.

Comunque da quel giorno sono uscito dall’inferno e ho iniziato una lenta marcia attraverso un purgatorio di eventi, ancora in corso, che evidentemente sono necessari per “purgare” il mio passato e i miei vizi. Soprattutto ho faticosamente imparato ad amare. All’epoca non ancora in modo cristiano ma sicuramente in modo diverso da quanto avevo fatto in precedenza. Sono uscito dall’egoismo dei sensi, che chiede esclusivamente per se, per entrare in uno scambio. E’ stato tale l’amore che lei ha iniziato a riversare su di me che non era possibile non esserne travolti e cercare di corrispondere. Voglio assicurare tutti: non è una santa o almeno non ancora. Lo diventerà, non fosse altro perché ha sopportato me tutti questi anni. Ha sempre avuto una fede semplice e spontanea, ereditata da sua madre e questo le permette, nonostante i suoi difetti umani, di mettere in pratica l’invito di Giovanni: “…amiamoci (…) perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4, 7-8).

È allora che ho iniziato a capire, senza rendermene conto pienamente, la differenza tra l’amore mercenario e l’amore puro. Per mercenario non intendo chiaramente il sesso a pagamento ma, piuttosto, quei rapporti basati sulla convenienza, sull’utile che ci deriva dall’altro. Utile che viene scambiato per amore e che invece genera proprio la crisi profonda che vive oggi la relazione di coppia. Perché se scambi l’amore con il tornaconto quando finisce quest’ultimo pensi sia finito anche l’amore. Esempio banale è il “tornaconto” del rapporto sessuale, se finisce l’attrazione fisica finisce il rapporto. Potrei fare altri esempi questo è il più comune. E’ quell’amore guidato o meglio ottenebrato, dallo spirito del mondo che guarda inorridito a tutto ciò che è cristiano perché in antitesi totale.

Fuori come un cancello

Dante e le tre fiere

Dante e le tre fiere

Va da se che all’epoca ero un mangia-preti. Pensate che ero talmente intriso del mio “mangia-pretismo” che quando mia moglie, passando davanti ad una delle numerose edicole della Madonna che costellano la città eterna, si faceva il segno della croce, io la apostrofavo tacciandola di superstizione e bigottismo. Lo confesso: ero “fuori come un cancello”, intriso di quello spirito del mondo contro il quale, anche in questo caso senza rendermene conto pienamente, iniziavo allora una guerra che è ancora in corso, fatta di qualche vittoria e di molte sconfitte.

Mi viene in mente l’inizio della Divina Commedia, così come commentato magistralmente dal prof. Nembrini. Dante incomincia a seguire Virgilio ma ha timore di non farcela perché capisce che sarà una dura battaglia contro le sue stesse miserie che sono le miserie di tutti noi. Lui le rappresenta con le tre fiere: la lonza, la lupa e il leone, cioè la lussuria, la cupidigia e la superbia e scrive: “…e io sol uno m’apparecchiava a sostener la guerra” (Inf. II). Quella tripla affermazione di solitudine: “io, sol, uno” è il grido dell’uomo, il nostro grido, quando ci rendiamo conto che la battaglia la dobbiamo affrontare ognuno per conto proprio, entrando in quel essere unico che ognuno di noi è.

Tutti diversi l’uno dall’altro unici nella nostra unicità e, per questo, chiamati singolarmente a combattere contro lo spirito del mondo che pervade lo spirito della carne, della nostra carne. Dante ha Virgilio che lo aiuta e ognuno di noi prima o poi incontra il suo Virgilio. Nel mio caso è stata una Beatrice e l’unico merito che mi posso attribuire è di aver fatto come Dante, ero riluttante davanti al sentore di guerra ma non tornai indietro verso la “selva oscura” dalla quale venivo, ho seguito la mia Beatrice.

…no, non mangio più i preti: sono vegetariano

San Giovanni Calabria

San Giovanni Calabria

Da quando ero mangia-preti a oggi sono cambiate molte cose, ho fatto un lungo cammino. Ho preso coscienza dei miei limiti, ho fatto pace con me stesso e ho smesso di darmi colpe e di accampare scuse per evitare la guerra. Sono in conflitto armato permanente contro lo spirito del mondo che altro non è se non lo specchio di tutte le mie miserie. Ho accettato di essere io stesso miseria ed ho iniziato ad aggrapparmi convinto a quella croce che è l’unico mezzo: “…per passare il mare tempestoso di questa tenebrosa vita” (S.Caterina da Siena – Dialogo. cap. XXI).

Ogni giorno ricomincio da capo ripartendo da zero: “…sono zero e miseria, oggi è un buon giorno per iniziare il cammino di conversione” (San Giovanni Calabria). Lo faccio seguendo il consiglio di San Paolo e usando le armi che Dio ha messo a nostra disposizione: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma (…) contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male …prendete perciò l’armatura di Dio (…) Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche (…) la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere” (Ef. 6, 12-17). Insomma tutto quello che il “senso” cristiano chiama a fare quotidianamente: fede, parola, preghiera.

Il vero frutto è l’amore

Lettera di Caterina da Siena alla Regina di Ungheria.

Lettera di Caterina da Siena alla Regina di Ungheria.

Manca solo una cosa in questa lista: la carità cioè la grazia dello Spirito Santo, quello spirito che è in completa antitesi con lo spirito del mondo. Qui torniamo da dove siamo partiti all’amore, perché lo Spirito Santo è l’amore puro, quello evocato da Santa Caterina. L’amore di Dio che procede dal Padre e dal Figlio e si manifesta nella carnalità della vita attraverso i santi ma anche attraverso le persone normali, passatemi l’eresia, come mia moglie.

Quello spirito-amore che spinge: “…l’anima che vede tanto smisurato amore di Dio verso di sè, non può fare che non ami. E perch’egli è condizione dell’amore, d’amare ciò che colui ama (…) e odiare ciò ch’egli odia” (Lettera CXLV – “Alla Reina d’Ungaria, cioè alla Madre del Re”). Solo un altro richiamo per chiarire meglio e perché, così, il direttore sviene definitivamente: “…Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv. 17, 5) ed il frutto è l’amore con il quale siamo chiamati a combattere la nostra battaglia contro lo spirito del mondo. L’amore infatti è l’unica arma che abbiamo a disposizione per “offendere”, le altre sono difese, protezioni, come quel segno di croce di mia moglie che io criticavo tanto.

“…osteee!! portace n’artro litro”

Santa Caterina beve il sangue dal costato di Gesù – Francesco Vanni  1594 – Convento di San Girolamo (Siena)

Santa Caterina beve il sangue dal costato di Gesù, Francesco Vanni 1594, Convento di San Girolamo (Siena)

E’ facile capire che qualsiasi genere di battaglia esige sangue ma c’è sangue e sangue. Quello cristiano è ben diverso da quello versato per odio. Il nostro è il sangue versato per amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13) che è anche il sangue versato per la nuova ed eterna alleanza e, soprattutto, per la remissione del peccati: “…hic est enim calix sanguis mei, novi et aeterni testamenti qui pro vobis et pro multis effundetur in remissonem peccatorum”. La cito in latino perché riporta quel molti che nella versione italiana è diventato per tutti e forse, questa scelta ha creato qualche malinteso riguardo la misericordia di Dio.

C’è un dipinto del senese Francesco Vanni (1563-1610) che si trova nel convento di San Girolamo a Siena. È un’opera potentissima che raffigura santa Caterina che beve il sangue dal costato di Cristo. Il pittore ritrae con crudo realismo quello che fu definito l’episodio “più raccapricciante del misticismo della Santa”. Genuflessa al cospetto di Cristo, Caterina si inebria del suo sangue che “scalda e caccia fuori ogni freddezza, rischiara la voce di colui che beve e allieta l’anima e il cuore” (Legenda Maior di Santa Caterina da Siena – Beato Raimondo da Capua). Un’immagine forse sgradevole, ma dal preciso contenuto teologico: “Sine sanguinis effusione non fit remissio” (Eb. 9,22).

Il frate domenicano Tommaso della Fonte (Siena 1337-1390), accreditato, da alcuni, quale primo confessore della santa, riferì: “Caterina mi confessò che Gesù le era apparso, e denudandosi il petto le aveva mostrato la piaga del costato. (…) Mentre lei tremava e piangeva, l’aveva presa fra le braccia. Incendiata dal calore del corpo di Gesù, si era fatta audacissima: ‘E io misi le labbra a lato della sua sacra piaga’. Da allora, le era sembrato impossibile riuscire a staccarsi un solo momento dal Cristo. Era divorata dalla febbre di darsi e di annullarsi in lui” (Legenda Maior di Santa Caterina da Siena – Beato Raimondo da Capua).

Sanguis Christi inebria me

Sant'Ignazio di Loyola. La preghiera Anima Christi è erroneamente attribuita a lui.

Sant’Ignazio di Loyola. La preghiera Anima Christi è erroneamente attribuita a lui.

In altri termini è necessario uno scambio continuo e incessante che chiede di annullare se stessi o meglio quello spirito del mondo che è il nemico giurato dell’amore e che invade e pervade la nostra umanità. Questo può avvenire solo arrivando in fondo al proprio essere, avere il coraggio di guardare negli occhi se stessi senza inganni, senza fronzoli per fare pace con i propri limiti e con le proprie miserie. Tra l’altro leggendo quelle parole di Santa Caterina mi è venuta in mente quella preghiera attribuita, erroneamente, a S. Ignazio di Loyola che recita: “…Sanguis Christi, inebria me”, essendo io un estimatore del buon vino…

Ecco il legame amore-sangue e il martirio incessante dei cristiani. Per questo Gesù dice: “…quello che hanno fatto a me lo faranno anche a voi”. E’ per questo che bisogna imparare ad amare il donatore e non il dono ed essere pronti a ricambiare costantemente l’amore del donatore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22, 37). Perché qualsiasi dono riceveremo in questa vita lo dovremo lasciare e se siamo troppo attaccati ai doni, primo tra tutti proprio la vita, rimarremo ancorati in basso e non riusciremo a: “…uscir a riveder le stelle”.

San Bernardo e i sei spiriti

Apparizione della Vergine a San Bernardo Attavante degli Attavanti Biblioteca Apostolica Vaticana – Urb. Lat. 93 c 7° -(1475 - 1482)

Apparizione della Vergine a San Bernardo
Attavante degli Attavanti
Biblioteca Apostolica Vaticana – Urb. Lat. 93 c 7° -(1475 – 1482)

Ho un quadretto in camera che nei giorni di malattia ho osservato spesso perché è proprio affianco al letto. E’ la riproduzione di una miniatura, tratta da un manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana, di Attavante degli Attavanti, famoso miniaturista del 1400, che ritrae l’apparizione della Madonna a San Bernardo di Chiaravalle. Come saprete, San Bernardo, dottore della chiesa, è stato uno dei personaggi più autorevoli e originali della storia occidentale, fu senza dubbio il santo e il genio del XII secolo, il protagonista non solo della vita dell’Ordine Cistercense, ma anche delle vicende ecclesiastiche, delle controversie teologiche e monastiche, della politica del papato di quel tempo: predicò nel 1142 la seconda crociata, sostenne e promosse l’Ordine Cavalleresco dei Templari. Non a caso fu chiamato con l’appellativo di “ultimo dei Padri della Chiesa”.

Insomma, un tipetto mica male ma forse non tutti sanno che fu anche famoso per il suo carisma nel discernimento dello spirito, cioè quella capacità di vedere se l’anima è mossa dallo Spirito di Dio o dallo spirito cattivo, insinuato dal tentatore. In questo caso, per “spirito” si intende un’interna propensione dell’anima; se è per una cosa buona sarà mossa da uno spirito buono, viceversa, sarà cattivo. Il discernimento consiste nel verificare la diversa origine dei moti della volontà, indicando la causa che li ha provocati.

San Bernardo di Chiaravalle.

San Bernardo di Chiaravalle.

S. Bernardo di Chiaravalle, nelle sue opere, indica sei spiriti diversi che possono muovere l’uomo: Divino, angelico, diabolico, carnale, mondano, umano, che poi unifica in tre: Spirito Santo (Divino), Spirito Angelico e Spirito diabolico. A quest’ultimo appartengono i due principali spiriti negativi che influenzano la vita terrena: lo spirito del mondo (mondano) e quello della carne (carnale). San Bernardo elenca anche quali sono i frutti che provengono da questi spiriti: Dio (spirito divino) spinge sempre l’anima verso il bene donando luce, chiarezza, consapevolezza, rettitudine d’intenzione, orrore del peccato, flessibilità nelle scelte, semplicità. Il nemico (spirito diabolico) trasmette, invece, dubbi, oscurità, falsità, trappole, falsa luce, esalta molto l’immaginazione, durezza e chiusura di cuore, presunzione, vanagloria, disordine nella coscienza, ostinazione di giudizio.

qual è lo spirito che governa il mondo? Charlie Hebdo, ovviamente

Strage di studenti in Kenya.

Strage di studenti cristiani in Kenya.

Concludo con un richiamo a ciò che è avvenuto il 2 aprile in Kenya. Ero ancora sospeso da facebook e ho seguito gli avvenimenti in TV e attraverso le varie mail che mi arrivavano da amici e dai blog di informazione e di opinione, ai quali sono iscritto. Alcuni, tra questi anche papa Francesco, facevano notare che davanti ad un’esecuzione di massa come quella le voci di protesta erano limitate e pochi sono scesi in piazza in segno di solidarietà, in Europa direi nessuno. E allora? cosa c’è di strano? … ma secondo voi lo spirito del mondo può celebrare il sangue versato per la remissione di quei peccati di cui lui stesso è l’ispiratore?

Ecco perché ciò che è avvenuto in Kenya a 148 studenti cristiani è passato sotto silenzio mentre ciò che è avvenuto a Parigi per alcuni vignettisti atei, ha mobilitato i potenti del mondo e milioni di persone. Chiedetevi chi è il principe del mondo e quale spirito è stato celebrato a Parigi e capirete perché la strage in Kenya non è stata celebrata. Perché la morte è uguale per tutti ma il sangue versato no.

Il trionfo della morte

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Diego della Palma, tempo fa, ha annunciato sui social di voler vendere i suoi beni immobili e devolvere il ricavato in beneficenza. E poi di aver programmato il suo fine vita tramite eutanasia. Una riflessione su un tema sempre attuale.

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dMarco Sambrunai Marco Sambruna

La notizia shock mi è piombata addosso in modo banale tramite uno dei giornaletti a distribuzione gratuita che si trovano nei bar o sono consegnati all’ingresso della metropolitana.
Io l’ho trovato accantonato in un angolo della scrivania, lasciato da qualche collega distratto che si è dimenticato di cestinarlo. L’ho preso con l’intenzione di accartocciarlo e liquidarlo definitivamente non prima di avere dato una rapida occhiata ai titoli: campeggia la notizia dell’ennesima strage di migranti a causa del naufragio di un barcone, poi qualche riquadro sulla politica e l’attualità. Infine una notizia a fondo pagina quasi invisibile, nascosta.
Il nome di Diego della Palma attira la mia attenzione: non è un personaggio che appare troppo spesso sui giornali. A tutta prima penso sia deceduto e che l’articoletto sia una specie di necrologio.
Invece no. La notizia è molto più traumatica: Diego annuncia di voler vendere tutti i suoi beni immobili e devolvere il ricavato in beneficenza. E di voler morire tramite somministrazione di eutanasia. Il che significa nel freddo linguaggio dell’informazione spicciola che ha deciso di ricorrere al suicidio assistito.

Anatomia di una notizia

Diego Dalla Palma

Diego Dalla Palma

Arrivato a casa decido di approfondire la notizia su internet (qui). La questione in definitiva è molto semplice: Diego della Palma ha deciso di morire, ma, è qui è la particolarità della sua decisione, non è malato, anzi tutto sommato, a parte qualche acciacco senile gode di salute più che discreta. Afferma di voler dare significato a un’ esistenza che a suo giudizio si é svolta all’insegna della futilità con un gesto che la riscatti: vuole vendere i il suo patrimonio immobiliare e devolvere il ricavato a bambini orfani, vecchi malati, profughi. Soprattutto il fatto si preoccupi di vecchi e malati soli quasi mi commuove: è facile intenerirsi per l’infanzia abbandonata, violentata, negata, ma a loro, ai vecchi abbandonati, quasi nessuno ci pensa. Ma lui, Diego, si. Fatto questo, dichiara, pensa di vivere ancora una decina d’anni e poi, “quando valuterò che è arrivato il momento opportuno”, ricorrerà all’aiuto dell’associazione EXIT (qui) che in Italia promuove una legislazione favorevole al suicidio assistito, l’eutanasia, come già accade in Olanda e Belgio.

Sullo stesso sito di EXIT alcuni video shock mostrano gli ultimi istanti di vita di persone che accudite da familiari o assistenti hanno deciso di suicidarsi. In una stanza una donna allettata si prepara a morire. Un’altra donna più giovane le porge un bicchiere di qualcosa; l’anziana beve il liquido quasi con voluttà come si trattasse di un elisir di lunga vita anziché di una bevanda di morte. Entrambe scherzano sul sapore amaro del liquido appena addolcito da alcune tavolette di cioccolata che la moritura mangia per togliersi quell’orribile sapore di morte dal palato. Tutto sembra svolgersi in un clima di serenità, l’ultimo viaggio sembra la partenza per una vacanza. Ma poi la scena cambia tono: le ultime sequenze mostrano la donna defunta a letto con la bocca aperta, spalancata e nera come una voragine cavernosa impressionante.

Il trionfo della morte

Eutanasia

Eutanasia

Rifletto su cosa significhi l’eutanasia e di quali potranno essere i suoi sviluppi legislativi.E’ sempre così quando qualcosa di innovativo si affaccia per la prima volta: i primi a fruirne sono i cosiddetti vip che fungono da apripista, poi è il turno dei ricchi, poi della media borghesia e infine di tutti. E’ stato così per il divorzio e l’aborto, sarà così per l’eutanasia: poche avanguardie emancipate, presumibilmente dalla fede, aprono una nuova via lungo la quale poi si incammineranno tutti gli altri.

Eppure a ben pensarci in questo processo di necrosi sociale che avanza inesorabile non c’è nulla di straordinario e non occorre scomodare troppo le avanguardie filosofiche o le scuole psicologiche più audaci per comprendere che la causa di questa voluttà di morte che invade l’occidente al punto tale da mutare antropologicamente l’uomo è la morte di Dio.

La morte di Dio sancisce inesorabilmente la morte dell’uomo. Perché se Dio è il fondamento di tutte le cose, è il sostrato grazie al quale tutto esiste anziché essere nulla e se è vero che ciò che esiste, esiste perché è in Dio dobbiamo concludere che la morte di Dio decreta in modo inappellabile il precipitare di tutte le cose nel nulla e quindi nella morte.

La voluttà della fine

La tentazione di sostituirsi a Dio

Il piacere di darsi la morte

Senza il fondamento di Dio che fa essere l’esistenza, l’esistere stesso diventa un guscio vuoto, un inerzia spaventosa che trascina penosamente gli uomini verso il buco nero del nulla. La vita degli uomini allora consiste in una stanca abitudine in cui si sperimentano giorno dopo giorno, e qui ha ragione Diego della Palma, le medesime futili cose. Subentra la voluttà di morte come piacere sadico e morboso della propria e altrui dissoluzione, un abbandono inerme al processo di decadenza che altro non è se non l’apoteosi del nulla descritto da certa letteratura della crisi o il cupio dissolvi cui non sono aliene determinate correnti della gnosi contemporanea le quali ritengono che tanto prima si giunge all’orlo del baratro, quanto prima il giudizio di Dio irromperà nella storia decretandone la fine. Tutto ciò contraddistingue la nostra epoca caratterizzata dal dileguarsi di Dio di cui restano ormai solo tracce residuali che interessano solo come dato culturale: senza Dio è il nulla o meglio senza Dio nulla é. La morte stessa esistendo in Dio non è il nulla, ma più precisamente è ciò che configura gli uomini come uomini ossia come esseri mortali così determinati dalla loro finitudine.

A partire dalla certezza di questa finitudine si configura eticamente la vita, ma nel momento in cui gli uomini sanciscono la morte di Dio anche la morte muore, diventa nulla che non può che conferire il sentimento del nulla.

La “morte tecnica”

Morte di Socrate, Cignaroli Giambettino, 1762

Morte di Socrate, Cignaroli Giambettino, 1762

La morte eroica di matrice pagana consisteva nell’imbrigliare le forze del caos che dominano la natura, plasmarle con l’esercizio di una volontà ferrea e trasformarle in armonia e proporzione ossia il canone della suprema bellezza secondo il gusto greco.

L’esercizio stesso dell’educazione del caos insito nella natura diventava educazione di se stessi e metodo per modellare la virtù: la morte è “naturale” e come tale si affronta, senza drammi e senza patemi. E diventava garante anche, la morte, di una sorta di eternità perché trasmetteva le virtù eroiche della misura e della moderazione come caratteri fondamentali della saggezza che erano comunicati di generazione in generazione. La morte santa di matrice cristiana emancipa l’uomo dalla morte e lo rende capace di attingere l’eternità. La morte continua a spaventare, perché introduce al giudizio divino, ma come tutto ciò che esiste giace nella custodia di Dio e in essa acquista senso e conferisce valore alla vita. La morte non è, per chi ha fede, la fine della vita, ma la sua continuazione con la differenza fondamentale di una salvezza che abolisce ogni dolore.

Eutanasia: la morte tecnica

Eutanasia: la morte tecnica

Dopo la “bella morte” pagana e la “morte santa” cristiana pare ora essere arrivato il turno della “morte tecnica” ossia una morte politicamente corretta: anche nel momento supremo non bisogna perdere la calma, occorre restare padroni di se stessi, andarsene con dignità. Una sorta di riedizione pagana della morte, ma mentre presso i pagani la morte aveva qualcosa di luminoso perché faceva parte di un sistema etico che si trasmetteva a chi rimaneva e permeava di se la vita della polis come entità collettiva, ora la morte ha un carattere lugubre, sepolcrale, di nullità totale che non trasmette nulla a chi rimane, come presso i pagani e non prepara alla salvezza come accade presso i cristiani.

In epoca pagana e cristiana la vita si innestava nella morte vivificandola, ora è la morte che si innesta nella vita mortificandola, non è più la morte per l’uomo, ma l’uomo per la morte, non è più la vita che va incontro alla morte, ma la morte che va incontro alla vita. Anzi ora la morte non solo é il nulla, ma trasmette il nulla.

La morte della morte

La scelta della morte, una volta. Ora c'è la morte scelta.

La scelta della morte, una volta. Ora c’è la morte scelta.

Questa involuzione riguarda non il modo di percepire, ma di concepire la morte. La morte non è più percepita come qualcosa che ci riguarda intimamente e che ci è affidata esattamente come ci è stata affidata la natura e la vita per averne cura, ma è concepita come qualcosa di nuovo che l’uomo stesso ha generato esattamente come si potrebbe concepire e generare un figlio. La morte oggi è una specie di nuova creatura e quindi non è più la morte naturale, ma è qualcos’altro.

La nascita di questo “qualcos’altro” che non è più la morte, ma che potremmo definire la morte dopo la morte, è stata preceduta da una lunga gestazione esattamente come un parto che anziché generare una nuova vita ha generato una nuova morte. Questa nuova creatura che impropriamente ci ostiniamo a continuare a chiamare “morte”, ma che è qualcos’altro, consegue all’uccisione di DIO: è impreciso peraltro definirla “qualcos’altro” perché non essendo in Dio semplicemente non è qualcosa ma è il nulla; da questo punto di vista possiamo dire che il nulla ha ucciso la morte.

Britanny: il suo caso ha riaperto il discorso sull'eutanasia.

Britanny: il suo caso ha riaperto il discorso sull’eutanasia.

Questo nulla che per comodità definiamo “nuova idea di morte” ha come matrice la disillusione e come conseguenza la voluttà. La disillusione nasce dalla perdita della fede e da domande che non ricevono risposte convincenti perché si rivolgono all’interlocutore sbagliato. Le domande inevase circa il motivo per cui il male continua a dominare avvelenando la vita sono rivolte a esauste filosofie agonizzanti e nascenti psicologie naturaliste che non possono altro rispondere che l’uomo deve imparare ad accettare la sua finitudine ineluttabile ossia senza speranza di riscatto ultraterreno. Da queste deludenti risposte nasce la disillusione che genera la nuova idea di morte, ma se l’uomo ha generato una nuova idea di morte, altrettanto quest’ultima ha ri-generato l’uomo, cioè creato un uomo nuovo. Un uomo nuovo quindi che si genera non più a partire dalla vita, ma dalla morte, o meglio a partire dalla nuova idea di morte che egli stesso ha generato. S’invera allora la riedizione della catarsi pagana, il tentativo di far precipitare tutte le cose in un punto di massima densità dove tutto viene esperito fino in fondo e quindi spogliato di ogni mistero.

E’ la voluttà di morte che come una droga precipita l’uomo in un vortice di esperienze prima di lasciarlo esausto privo di forze se non per balbettare la sua voglia di essere preda inerme di una morte cui si vuole consegnare.

Il “prodotto morte” 

Una delle campagne di Exit Italia, assieme all'associazione Luca Coscioni.

Una delle campagne di Exit Italia, assieme all’associazione Luca Coscioni.

Sul sito di EXIT ci sono due filmati in home page. Nel primo, come scrivevo sopra, un’anziana donna muore pare ingerendo una bevanda letale, in apparente serenità e assistita da un’altra donna più giovane, forse un’”addetta” la cui mansione consiste nell’assistere il “cliente” durante gli ultimi istanti di vita. Fatto questo le due donne scherzano sul sapore amaro della bevanda; l’assistente offre alla moritura del cioccolato per addolcire il gusto acre del veleno appena bevuto.
Entra in scena quasi alla fine del filmato una terza persona che sembra commuoversi. La moritura lo invita a non piangere. Infine la donna pare addormentarsi mentre l’assistente gli mormora sommessamente all’orecchio di trarre un profondo respiro e lasciarsi andare. Infine sopraggiunge la morte: l’anziana donna spira senza travaglio apparente.
Il messaggio che il video trasmette sia con la sua comunicazione verbale che para verbale è che ricorrendo all’eutanasia secondo il metodo illustrato nel filmato si può morire in modo rapido, efficace, sereno e indolore.

Saviano, anche lui tesimonial di campagne eutanasizzanti.

Saviano, anche lui tesimonial di campagne eutanasizzanti.

Nel secondo video un malato terminale anch’egli allettato pare soffrire terribilmente circondato da fotografie che rappresentano i momenti salienti della sua vita che sta per spegnersi. In questo caso il messaggio trasmesso è che l’agonia che precede la morte è qualcosa di odioso, un’inutile sofferenza che è bene cessi il prima possibile.
In entrambi i casi la morte, questa morte prodotta artificialmente e quindi ricreata dall’uomo, è a portata di mano, facilmente accessibile a tutti e come tale viene proposta. E’ una morte desiderabile perché dolce e indolore di contro alla morte naturale caratterizzata fino all’ultimo da atroci sofferenze fisiche e morali.
La morte dunque, questa morte artificiale ricreata è in definitiva offerta come si trattasse di un prodotto commerciale qualsiasi che si può vendere o comprare; la morte diventa un prodotto di consumo cui si accede in modo semplice e diretto non diversamente di come si entra in un supermarket per acquistare dell’acqua minerale o in un concessionario per acquistare un’ automobile.
La logica che presiede al “prodotto morte” è quindi una logica commerciale e questa sua caratteristica implica il fatto che la morte stessa non sia più un fenomeno naturale che accade a un certo momento della vita, ma un prodotto che si ha diritto di acquistare.

Una transazione commerciale

Parte del post su fb con cui Dalla Palma ha annunciato la sua intenzione.

Parte del post su fb con cui Dalla Palma ha annunciato la sua intenzione.

Comprare questo prodotto come ha in animo di fare Diego della Palma, non è espressione, nonostante le apparenze, dell’affermazione di una orgogliosa libera volontà e non significa rivendicare il diritto all’autonomia personale in nome della dignità. Si tratta piuttosto di una transazione commerciale in cui il “prodotto morte” grazie a un’efficace strategia pubblicitaria e al pari di ogni altro prodotto di consumo seduce la mente del consumatore persuadendolo che quello proposto è un ottimo affare. La scelta allora cessa di essere libera perché lusingata e sedotta e quindi manipolata da una strategia comunicativa finalizzata alla vendita del prodotto. Più esattamente la comunicazione strategica persuade che l’eutanasia è un diritto cui si deve ricorrere per salvaguardare la propria dignità anche di fronte alla morte, analogamente a come si persuade la mente che un SUV è necessario per affrontare terreni scoscesi preclusi ai più: in entrambi i casi la dignità e il senso dell’avventura altro non sono altro che tecniche mediatiche o cavalli di Troia per adescare la mente e indurla a comprare un prodotto che in definitiva è superfluo. Le tecniche di marketing consistono nell’abituare la mente non a chiedere ciò che è opportuno domandare, ma a pretendere come un diritto ciò che si vuole: morire tramite suicidio assistito evitando dolorose agonie può apparire desiderabile, ma non è né opportuno, né tantomeno utile e in definitiva si rivela per l’acquirente un pessimo affare.
In primo luogo perché consegnarsi a una morte artificiale significa almeno in parte aver ceduto alla manipolazione che è insita alla vendita di un prodotto di consumo; ciò implica inserire se stessi, il proprio corpo, la propria mente e per chi crede la propria anima, in un circuito commerciale becero e meschino cui non importa nulla dei destini ultimi del soggetto: ciò che importa invece è trasformare il “prodotto morte” in una fonte di reddito o sostenere e puntellare le ideologie materialiste, laiciste e neopagane che come tutte le ideologie hanno bisogno dei loro martiri, dei loro santi e dei loro eroi da additare alle pulsioni istintive della commozione collettiva per potersi affermare.
Si tratta di presentare all’attenzione del pubblico un eroe tragico degno di stima e al contempo additare alla riprovazione generale la morte naturale la quale in definitiva è competitor della morte artificiale confezionata per motivi economici o ideali: si tratta in altre parole di sostenere il primato di un prodotto rispetto a un altro analogo sottolineandone i vantaggi e gli elementi distintivi.
Chi opera la scelta del suicidio assistito in realtà vi è stata indotto dalla strumentalizzazione del suo dolore da parte delle realtà che sostengono il “diritto” all’ eutanasia.
In secondo luogo curiosamente si trascura di segnalare che non è affatto detto che una morte naturale debba essere necessariamente preceduta da lunghe e penose agonie: infatti si può morire in un attimo per infarto o ictus.
In terzo luogo morire tramite suicidio assistito potrebbe avere conseguenze disastrose sul piano ultraterreno. Non si tratta di credere o non credere a una religione tradizionale, si tratta di considerare l’ipotesi che una dimensione ultraterrena esista davvero.

Un libro sulle esperienze nell'aldià.

Un libro sulle esperienze nell’aldià.

Si suppone che chi ricorre all’eutanasia non sia credente, ma di solito chi non crede se non concede alcun credito alle religioni storiche, specialmente al cristianesimo, tuttavia ne concede alla scienza come dimostra il fatto si affidi alla stessa per porre fine alla propria esistenza su questa terra. Affrontiamo dunque il tema del fine vita per una volta in modo scientifico: gruppi sempre più numerosi di medici, chirurgi, cardiochirurgi, psichiatri quindi in definitiva scienziati ( e non teologi, sacerdoti, filosofi, etc.) a partire da premesse scettiche sostengono la certa esistenza dell’ aldilà: basta leggere a titolo di esempio i libri sul tema dei medici Raymond Moody, Michael B. Sabom o della psichiatra di fama mondiale Elisabeth Kubler Ross.
Costoro hanno raccolto nei loro libri testimonianze di persone che in seguito a una crisi vitale hanno varcato la fatidica soglia che demarca il confine fra vita e morte e ne sono tornati: quasi tutti indipendentemente dal credo religioso hanno raccontato di un’esperienza di indescrivibile gioia, ma tra i pochi a raccontare esperienze spaventose ci sono stati proprio quelli che hanno tentato senza riuscirci il suicidio.
Assistito o meno poco importa.


La Chiesa apre. Ma quando mai ha chiuso?

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“La Chiesa apre ai gay ed ai divorziati risposati”, a cui non ha mai chiuso. Storia di un falso giornalistico.

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micheledi Michele M. Ippolito

“La Chiesa apre ai gay ed ai divorziati risposati”. A cominciare da Repubblica, all’Ansa, al Giornale, al Tg1, tutti i principali mezzi di informazione italiani, o quasi, hanno interpretato così l’Instrumentum Laboris, cioè la traccia di lavoro, del Sinodo straordinario sulla famiglia, che si terrà nell’ottobre 2015 in Vaticano, per concludere il lavoro iniziato l’anno scorso. C’è un solo, piccolo, quasi insignificante problema: nell’Instrumentum Laboris non c’è alcuna apertura ai gay ed ai divorziati risposati.

I divorziati risposati: un tema caldo.

I divorziati risposati: un tema caldo.

Anzi, rispetto ai gay c’è una chiusura abbastanza netta, in linea con il pensiero espresso negli ultimi mesi in più occasioni da papa Francesco; rispetto alla comunione ai divorziati risposati, c’è una sconfessione abbastanza netta della cosiddetta “dottrina Kasper”, secondo il quale il sacerdote, in alcuni casi, potrebbe anche assolvere le persone che si trovano in stato di peccato e riammetterle alla comunione. A dirla tutta, l’Instrumentum Laboris, nella sua formulazione, su questi due temi rappresenta un passo indietro (o in avanti, come lo si voglia leggere) sia rispetto al documento finale del sinodo del 2014 e soprattutto verso le aperture della “Relatio Synodi” di metà lavori dello scorso ottobre. In pratica, sembra che monsignor Bruno Forte, che quella relazione intermedia aveva redatto attirandosi le ire di numerosi padri sinodali, abbia dovuto fare marcia indietro in maniera precipitosissima.

Lo dice anche Forte

Bruno Forte

Mons. Bruno Forte

Sul tema dei matrimoni gay Forte ha chiarito che “”per la Chiesa il punto fermo è che il matrimonio è tra uomo e donna, ma questo non significa che non possa essere rispettata e accolta la persona omosessuale, sono due cose distinte” e che “la sfida è far sì che nessuno si senta giudicato, ma accompagnato e accolto dalla comunità cristiana.” Cioè, Forte ha espresso semplicemente una posizione che nella Chiesa cattolica è ufficiale da decenni, senza aggiungere altro.

Sul tema dei divorziati risposati: “La vera sfida non è tanto ‘comunione sì, comunione no’, ma come aiutare le persone a sentirsi parte viva e protagonisti della comunità ecclesiale”. In questo modo, Forte ha cambiato bersaglio: di comunione ai divorziati risposati, dunque, è meglio non parlarne proprio più.

Tanta confusione, una certezza

I matrimoni gay: pare che si vada, ancora una volta, verso un nulla di fatto. Come sempre.

I sedicenti “matrimoni” gay: pare che si vada, ancora una volta, verso un nulla di fatto. Come sempre.

Sulla rete, dopo la confusione creata dai media, per mala fede o, spesso, per pressapochismo ed impreparazione, c’è chi afferma di non capirci più nulla. Un commento ad un articolo di Fanpage, redatto dal sottoscritto, in cui si provava a spiegare cosa riportasse effettivamente il testo sinodale spiega perfettamente la confusione che è regnata a causa dei media: “Cosa ne penso? Che le testate giornalistiche si decidano, perchè vengo ora da Repubblica.it dove dice l’esatto opposto.”

Come detto, quasi tutte le testate italiane stravolgono il testo dell’instrumentum laboris del sinodo di ottobre, parlando di presunte “aperture” a gay e divorziati. Che nel testo non ci sono. Già, nel testo si parla genericamente di “accoglienza”, di percorsi di riavvicinamento, di formazione. Tutte cose già previste nel Catechismo della Chiesa cattolica e nella pratica pastorale. Il documento spiega che i divorziati risposati, se vogliono essere riammessi alla comunione, dovranno fare vita casta (vaglielo a spiegare…) e che di unioni gay non si deve manco parlare. E allora, perchè i media, a cominciare dalla “solita” Repubblica, hanno insistito nel riportare solo le frasi che più si prestano a strumentalizzazioni, omettendo quelle più nette? Semplice: in questo modo si creano false speranze e quando le posizioni della Chiesa saranno confermate si potrà gridare con più forza contro la Chiesa cattolica retrograda, medievale, omofoba, che non sa cosa sia la misericordia.

Introvigne: nessuna svolta

Massimo Introvigne, direttore Centro Studi Nuove Religioni, autore de “Preti pedofili. La vergogna, il dolore e la verità sull’attacco a Benedetto XVI”

Massimo Introvigne, direttore Centro Studi Nuove Religioni, autore de “Preti pedofili. La vergogna, il dolore e la verità sull’attacco a Benedetto XVI”

Lo studioso Massimo Introvigne, in un articolo pubblicato sulla prima pagina del Mattino di Napoli oggi, 24 giugno, ha centrato perfettamente la questione: “il fenomeno più straordinario è stato il fraintendimento di siti Internet e televisioni che hanno sparato titoli sulla «svolta della Chiesa» per l’accoglienza di divorziati e omosessuali. La piena accoglienza nella comunità cristiana e il rispetto per le persone che vivono queste condizioni si trovano già nel Catechismo del 1992, promulgato ventitré anni fa. Sulla teoria del gender e l’equiparazione al matrimonio di unioni fra persone dello stesso sesso rimane ferma una chiara condanna.

Quella dell’ammissione alla Comunione di certe categorie di divorziati risposati resta una materia in discussione, ma con qualche maggiore cautela e frenata rispetto al 2014. Il sospetto che si voglia tirare il Papa per la giacchetta e far dire ai documenti il contrario di quello che c’è scritto, magari in funzione di vicende politiche italiane, è forte.” Per le posizioni di recente espresse da papa Francesco e per come è stato redatto l’Instrumenti Laboris, ormai si può dire con una certa sicurezza di azzeccarci che il sinodo non concederà ai divorziati risposati che vivano una normale di vita di coppia di riaccostarsi alla comunione, nè un qualsivoglia placet ai comportamenti omosessuali. Che piaccia o non piaccia, così andrà a finire.

PapalePapale in vacanza

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Anche Papalepapale, per la prima volta nella sua storia, si prende delle lunghe vacanze.

Serve un po’ di silenzio: per ritemprarsi, distendersi, chiarirsi le idee, ri-concentrarsi sull’essenziale.

Quanto al Mastino, visto che più volte è stato domandato, anche lui è in vacanza per le succitate ragioni ma soprattutto perché sta dedicandosi ai suoi scritti, di saggistica e anche di narrativa. Prima o poi ne verrà fuori, sicuramente in forme un po’ diverse dal passato, “nuovo”.

A Dio piacendo, ci rivedremo, forse, verso la metà di settembre.

Io, confesso…

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Mentre ascolto e penso tutto questo, guardo le volte di questa mia chiesa di quartiere, che non ho mai amato e mai ho sentito come casa mia: ma stavolta no, mi sento in famiglia, le guardo queste volte, e mi sono infinitamente care. Sembrano le volte della pancia di una grande nave, perduta in mezzo all’oceano in tempesta. E mi sento sulla barca di Pietro con Gesù a bordo che fa finta di dormire. E il mio panico si placa e muta in risata quando il Messia apre un occhio, mi squadra e dice, a bassa voce: “Non temere: ci sto qua io non vedi? Scciii… zitto, zitto… vediamo che fanno gli altri, e Pietro. Tu fa finta di niente”. Nonostante tutto, mi sono detto, questa barca qui, sola nel mare magno della mondanità perduta, minacciata dai flutti e dalle falle, tormentata e sbatacchiata dalle tempeste, frenata e respinta da tutti i venti contrari, questa barca qui dentro la quale stasera ci sono anche io di nuovo, non solo non affonderà, ma continuerà ad andare, e finché la barca va…

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11207315_119307295087828_8158961299991161170_nIl Mastino

Perdonate questa improvvisata, ignorata persino dai miei amici che a Papalepapale generosamente collaborano: giorno di santo Francesco, giorno di apertura del Sinodo forse della discordia, forse della speranza, può darsi del non ritorno… prima che tutto sia fatto nuovo. Ma non dagli uomini, bensì dal Cielo.

BEN RITROVATI

In questo sentore di rovina imminente, di cedimento di tutte le dighe imminente, di tutto perduto imminente, mentre incrementa la tentazione dell’autodemolizione e della resa incondizionata, aumenta anche la resistenza, che si nutre di speranze non solo umane.

imagesInfatti chissà perché in questo panorama caotico e plumbeo, mentre monta la tempesta, all’orizzonte abbiamo come la sensazione di intravedere lo stagliarsi sereno di due figure, un uomo e una donna. Gesù e Maria. Le membra  della Chiesa. La Chiesa è là, in quell’orizzonte: portata al sicuro, ai loro piedi, dagli angeli. Gli uomini non riusciranno che a distruggere un involucro di mattoni, sul quale si sono avventati come ossessi dallo spirito del mondo. Perché l’antica Chiesa, a momento opportuno, sarà riportata, ripristinata e restaurata direttamente dagli angeli, laddove era prima. Com’era prima, meglio di prima forse.

Sono momenti di prova, terribile quanto volete, ma anche di attesa. Mi capita di pensare spesso, ultimamente, a quella parabola. La barchetta di Pietro che già non era riuscita a pescare niente è sballottata da una tempesta, si teme il peggio. Gesù è a bordo, ma è come non ci fosse, in tutto quel macello egli dorme. In realtà fa finta. Infatti, quando tutti in preda al panico lo invocano, egli apre gli occhi, ed è calmo, e dice, mentre immaginiamo il suo sguardo ironico: “Uomini di poca fede!”, ma come, avete me a bordo e ci avete paura di affondare per una tromba d’aria? Io ho camminato persino sulle acque! E poi quelle parole eterne, che in metafora fanno di quella barchetta la Chiesa universale: «Non temere, piccolo gregge!».

Benritrovati!

MI SONO PERDUTO E RITROVATO: RIECCOMI

11147854_10205540460008618_2825908524474088850_nRieccomi qui, dopo questo lungo periodo che non è stato solo di “vacanza”, come qualcuno crede, ma anche di riflessione. E non solo di riflessione, a dirla tutta, ma di inabissamento, smarrimento, di dolore, di grave perdita, di discesa agli inferi, periodo forse tra i peggiori della mia vita, nel quale sono stato sbattuto, trafitto, straziato, ridotto in mille pezzi, annullato. Ma è stato quello anche il momento della lenta e faticosa catarsi, della rigenerazione, tappa dopo tappa, nella quale, precipitato giù all’ultimo gradino dell’umanità, a livello degli iloti, toccato il fondo, non mi restava che risalire, un gradino dopo l’altro. Con una voglia nuova di farlo, smanioso di “luce” come mai lo ero stato stimando che nella penombra stessi meglio. Ma quando hai visto il buio assoluto, non riesci ad agognare altro che la luce piena, come fosse il tuo stesso respiro, per respirare.

Sono ancora intento a risalire, gradino dopo gradino, da quella caduta laggiù nel buio. Mentre benedico, e bacio, quella provvidenziale Mano Invisibile che atterra e suscita che affanna e consola, che mi ci ha buttato, per salvarmi, di poi porgendosi per aiutare a rialzarmi e risalire. Col mio consenso.

Ritorno qui un po’ cambiato, e molto ancora voglio cambiare. Spero ci siate ancora tutti.

Oh certo sì, avrei tante cose da dirvi, ma come si fa? Posso prendere soltanto un tassello di questo grande mosaico che è una mistura di quotidiano e di eterno, e farvelo vedere, per capirne qualcosa.

Il sinodo. Il papa. La Chiesa. I tempi. Il mondo. La profezia. Tanta roba. Come si fa?

UN RACCONTINO

maniHo scoperto ultimamente quanto avevo represso per anni, reputando di dovermene vergognare. La mia vena di narratore. Ho quasi portato a termine il mio primo racconto, del quale prima o poi vi dirò; nel frattempo ho abbozzato anche diversi altri progetti narrativi. In uno di questi, c’è un cammeo che forse non farà mai parte di alcuna storia, infine.

È questo. (non è obbligatorio leggerlo: potete saltare al paragrafo successivo senza nulla perdere).

Un giorno di un secolo passato, quando non c’erano i media, un vecchio maestro elementare che non si era mai spostato dalla sua provincia, sapendo che un suo alunno diventato seminarista andrà a Roma, gli raccomanda il suo ultimo desiderio: «Quando sarai a Roma, vai alla Cappella Sistina e guarda bene ogni dettaglio: poi raccontami com’è, quando torni, voglio sapere tutto: per tutta la vita ho desiderato di vederla».

Il seminarista mantiene fede alla promessa e ci va, passa un’intera giornata a osservare e catalogare ogni particolare della Cappella. All’ora della chiusura, non aveva ancora finito di annotare. E aveva riempito l’intero quaderno di appunti. Pensando alla struggente attesa del suo antico maestro, si commuoveva, e preoccupato si domandava “come farò a raccontargli tutto?, a ricordare ogni cosa? E soprattutto: come trovare le parole giuste a rendere l’idea di tanta bellezza persino nel raffigurare le cose tremende?”.

E venne il giorno del ritorno. Bussò alla porta del vecchio maestro, che prontamente gli aprì. E non aspettò nemmeno i convenevoli, perché subito gli domandò:

«Allora, com’era la Cappella di Michelangelo? Raccontami tutto».

«Maestro, è troppo… troppo».

«Troppo?».

«Troppo di tutto: troppo bella, troppe cose ci sono».

«Oh io sono un vecchio pazzo con un desiderio, non ho altro, ho poco tempo ancora da vivere, ma se è necessario lo uso tutto per ascoltare ogni cosa: voglio i particolari».

Il seminarista era imbarazzato. «Maestro, nemmeno la mia memoria basta a contenere la Sistina, e non bastano nemmeno tutte le parole che conosco».

Un velo di delusione amara si disegnò sul volto del vecchio. Il seminarista ne provò grande afflizione. E allora cercò di rincuorarlo: «E allora ho pensato di annotare tutto qui, anche se mancano molte cose: non bastava lo spazio e il tempo». E gli porse il quaderno pieno di appunti: «La mia scrittura la conoscete bene, tanto, non faticherete a decifrarla: mi avete insegnato voi a scrivere, e a ridere dei miei errori». Glielo porse, e rimase sgomento quando il vecchio suo maestro non allungò la mano per ritirare il resoconto.

«Sono troppo vecchio, non leggo più, io volevo sapere da te che cosa hai visto», disse deluso e serio, «possibile che hai guardato tutto senza vedere niente?».

«Beh, ho visto… sono stato tanto ore a guardare, e ho visto».

«E allora raccontami: cosa hai visto?».

Il seminarista pensò a cosa davvero aveva visto tra le miriadi di cose che aveva guardato. E non gli sovvenne che un particolare, uno solo, il solo che in fondo avesse non solo guardato ma “visto”, e tutto il resto risultò superfluo, quel particolare visto e capito, diceva tutto.

«Maestro, ho visto nel centro della Cappella, laddove c’è l’altare maggiore, il gigantesco dito di Dio che tocca il dito dell’uomo steso come inanime a terra, e così gli trasmette la vita e lo anima».

Il Maestro rimase con gli occhi sbarrati, la bocca socchiusa, senza dire e chiedere nulla: come stesse contemplando egli stesso, finalmente, la Sistina. Era bastato quel dettaglio raccontato da un testimone a “trasmettere” nella sua immaginazione l’essenza di tutto.

Finalmente, ancora non del tutto ridestato dal suo incanto, il vecchio maestro parlò, o sarebbe meglio dire, balbettò qualcosa:

«Tutta questa bellezza… è insopportabile». E morì.

Ecco, questo per dirvi che… come si fa a fare il punto della situazione in poche pagine?, a trovare le parole giuste, quando sembrano persino mancare? Ed è stato così che ho deciso di raccontarvi un solo particolare, non decontestualizzato dal tutto, ma dentro il tutto.

Lasciatemi dunque raccontare del “dito di Dio” che tocca quello dell’uomo che mi è parso di contemplare in una parrocchia: secondo me, in fondo, racconta tutto il resto, facendo a meno anche dei dettagli triviali e praticamente pornografici che sono ormai il quotidiano mediatico, e purtroppo anche reale, della nostra Chiesa, a cominciare dal suo cuore politico (perché quello di carne e spirito è Cristo), il Vaticano, che ultimamente, stando ai giornali, è diventata una storiella zozza di monsignorE maritate.

In questo “particolare” che mi appresto a narrarvi, che è una testimonianza personale, a mio avviso c’è tutto. Tutto quel che conta, almeno.

IO CONFESSO A VOI, FRATELLI

1795575_772375486109008_1183061843_nIo confesso. Non ho mai negato i miei radicati convincimenti giansenisti sui sacramenti della confessione e della comunione, anche se mai li ho pubblicizzati. Ma li ho, e confesso.

Io confesso. Di essermi allontanato negli ultimi tempi dalla grazia di Dio e dalla vita cristiana. Di non essere né sentirmi in pace con Dio. Ragion per cui mi sono tenuto lontano anche dalla confessione, dalla comunione e infine ho cominciato pure ad abbandonare la messa e la preghiera.

Io confesso anche che ho avuto una “notte oscura” che non aveva niente di mistico ma che ogni tanto, appesantito dal mio stesso peccato, e dal comunque strisciante senso di colpa “calvinista” mi verrebbe da dire, in certi momenti ho implorato i cieli, e se c’era qualcuno là dietro, di alzare il sipario e mostrarmi un lembo della sua veste: perché dubitavo come Tommaso. Ho fatto l’esperienza del nulla e dello smarrimento, lo confesso. Ad un certo punto, sicché sono in grado di mentire e d’essere ipocrita non oltre un certo limite, ho smesso anche di scrivere e di “testimoniare” quanto in realtà non vivevo, non più, ammesso l’abbia mai vissuto veramente.

Io confesso anche che… certe volte pensavo alla storia umana di Gesù, e nonostante tutto quanto v’ho appena detto, quasi mi commuoveva sino alle lacrime. «Mi dispiacerebbe molto se uno come te non fosse davvero Dio, se un Dio può esserci e c’è».

Io confesso, è nelle righe, che fin qui la mia conversione è stata tutta un equivoco; o meglio: è stata un inizio, che rischia sempre di restare tale e non andare oltre. Ossia, è stata una conversione di testa, culturale, intellettuale. Ma ero ben lontano dalla conversione del cuore, quella che infine Gesù domanda. Ora mi ci sono avviato, ma ancora sono in cammino, la strada è lunga e piena di tentazioni.

Io confesso, sto confessandovi, e Dio m’è testimone, di non essere da nessun punto di vista un cattolico e men che meno un cristiano esemplare, e di non esserlo mai stato, e se qualche volta vi ho lasciato intendere il contrario, è perché vi mentivo, dissimulavo, per calcolo e vanità, per autosuggestione anche. Ho peccato reiteratamente molte volte e in molte cose: ho conosciuto, mentre vi “predicavo”, tutte le più formidabili tentazioni di Satana, e non ne sono ancora immune, nessuno lo è: la sozzura della carne, l’odio, l’ambizione, l’invidia, la calunnia…

Ciò non di meno, cerco adesso di mettermi nelle mani di Gesù e sotto il manto di Maria, e in loro confido; cerco di resistere il più possibile ai richiami sordidi. Che Dio mi perdoni. Mi perdoni del bene che non ho fatto anche se avrei potuto, del male che ho ricambiato col male, di aver consegnato una serpe a chi mi donava una colomba. Confesso a voi tutto questo, fa parte di questa catarsi che mi sono riproposto.

Sì, perché confesso anche questo, sebbene so che certi propositi benedetti richiamano l’invidia e aizzano fierissime le controffensive dell’Antico Avversario. Confesso: che mi propongo di piano piano, un passo dopo l’altro cristianizzare tutta la mia vita, col fine di poter dire, giunto al termine – spero lontano – della mia corsa “Signore, non sono più io che vivo, sei tu che vivi in me: di cosa avrò mai paura?”.

Ho iniziato, lentamente, questo cammino: dove sto imparando a pregare il rosario, a pezzi, ma ogni giorno; ho imparato a coltivare il rapporto soprannaturale con i santi che mi sono più cari; ho perdonato chi ho preso a odiare perché mi ha fatto del male; e quanti, avendomi fatto del male oppure no, per disprezzo ho calunniato e ho desiderato distruggere; sto cercando per quanto possibile di vivere con purezza; ho deciso di dedicare alcune ore della mia settimana a gente che ne ha bisogno; sto cercando di lavorare sul mio cuore e la mia vita per finalmente giungere al giorno mirabile e tremendo della confessione sacramentale di tutto e della mia riconciliazione con Dio eucarestia, certo allora di poter essere il tabernacolo mondato che possa degnamente riceverlo in sé.

Tutte cose che richiedono un impegno immenso, ma il soltanto impegnarmi mi dà serenità: eventuali vostre preghiere aiuteranno e saranno gradite, specie quelle dei consacrati. O di chi prova risentimento nei miei confronti.

SONO TORNATO A MESSA

le-porte-della-chiesa-in-cui-sono-riuniti-tutti-i-protagonisti-di-lost-si-aprono-e-christian-shepard-scompareA proposito. Sto intanto ritornando a rispettare il precetto festivo, presenziando, con uno spirito nuovo, alla divina liturgia domenicale. Non andavo a messa da tanto.

Ecco, di quest’ultimo dettaglio vorrei dirvi: è il mio personale “dito di Dio”.

Ieri sera, domenica, ho deciso di andare a messa nella parrocchia più vicina, qui a Roma, col proposito di replicare ogni domenica successiva. Ma vi dico la verità: mi pesava, pigrizia e noia preventive cercavano di dissuadermi in ogni modo. Mi spiego meglio: non era la messa in sé che mi disturbava, ma quello a cui è stata ridotta. Già sapevo cosa mi aspettava: audio a tutto volume da rompere i timpani; schitarrate; canzonacce stonate; le deliranti innumerevoli generalissime megalomani “preghiere dei fedeli” che non credi trovino in paradiso qualcuno disposto ad ascoltare senza sbadigliare e men che meno ad accondiscendere; prediche logorroiche e sconclusionate, purtroppo anche sgrammaticate opera del solito prete straniero di passaggio, mentre la gente chatta sull’IP; squallore generale; sfilza di letture lette da laici senza un minimo di espressione, dizione, devozione, a cantilena come si fa alle elementari col sussidiario tanto che alla fine non capisci e non segui più niente; gente tutta in piedi quando si fa la consacrazione a una velocità supersonica sicché s’è fatto tardi dopo mezzora di predica. Insomma, le solite robe che sapete e infastidiscono voi pure.

Mi sono detto: «Signore, io a messa ci vado, ma non credere mi diverta e ne sia particolarmente edificato, lo faccio giusto per riguardo a te, avendoti dato la parola, ma per me resta un atto penitenziale». Con questo spirito, lento pede, mi sono recato per una volta puntuale in parrocchia: a Santa Maria Goretti. Un nome una garanzia, quella parrocchia!… ‘na volta e due che c’ero stato!… attacchi di bile ogni volta.

Appena ci sono entrato, ho pensato: “Tutto è rimasto tale e quale come l’avevo lasciato mesi fa: facciamoci coraggio!”. Poi ho pensato anche: “Per una volta sono in chiesa non per occuparmi del contesto e criticarlo, ma per me stesso e per Dio”.

Dio che sembra avermi proprio ascoltato questa volta, e m’ha dato il benvenuto con quella sua solita malcelata, raffinata, un po’ tagliente ironia che gli conosco.

Inizio della messa. Ok, c’era la chitarra e una voce un po’ stridula e troppo alta che cantava. Ma in aggiunta, stavolta, c’era anche l’organo: il risultato finale non era male e un che di solenne, per la prima volta, s’è diffuso in quel disadorno tempio. La gente non è tanta come le altre volte, è di meno: c’era una partita importante. In cambio, molti sono asiatici e latinoamericani.

Il prete è spagnoleggiante, dall’italiano incerto, è giovane e barbuto, ma sembra un buon prete, molto mite.

Questo mi colpisce, ed è la seconda sensazione strana: quelle solite preghiere liturgiche dell’introito, le stesse che ormai straccamente recitiamo mnemonicamente senza rifletterle e averlo mai fatto, stavolta io – ma ho la sensazione anche tutt’intorno – le recito gustandone ogni singola parola, e mi paiono bellissime, e lo faccio con una strana, gioiosa commozione, un singulto a ogni frase quasi. E tutto ciò mi meraviglia: le sento, le vivo. Ecco, in questo senso si “partecipa” alla liturgia, mi dico. Non mi sfibrano come le altre volte: ecco, mi dico, l’ironia di Dio, forse. O forse, mi dico, è perché per la prima volta sto partecipando “con un cuore nuovo”. Molte volte, in questi ultimi tempi, avevo domandato a Dio di strapparmi il cuore “di pietra” e di trapiantarmi un “cuore nuovo”: di carne.

SINO A SPERARE CONTRO OGNI SPERANZA

311451_2563787264295_1575938301_nIniziano le letture dei fedeli, e ritorna l’ironia di Dio.

Prima lettura: una bella signora legge, e lo fa con una dizione perfetta, cinematografica e non mi sfugge nessuna parola, non mi distraggo. Una lettura fatta bene: un miracolo! Non finisce mica qui: un ragazzo esile si accosta all’ambone, e con le parole di Dio, inizia un canto biblico sublime. Che quasi mi ferisce dentro. Sono più attento e vivo che mai. Dio mi stava regalando momenti di bellezza, dopo essermi preventivamente lamentato dell’assenza di bellezza alla sua mensa: era il suo modo di ringraziarmi per aver accettato l’invito, da quel Dio gentile che è. E ironico.

Nel mentre, pensavo al Sinodo, a quel che si dice sui media, allo squallore che c’è fuori, agli scandali costruiti a tavolino, alla barca di Pietro sballottata grottescamente, senza rispetto sulle agenzie giornalistiche, come quel Cristo – ne vedo il suo volto, alle spalle del prete – ricoperto di ridicolo e sputi e beffe mentre il mondo lo processava avendo già deciso di condannarlo, lo vedo ridotto a una parodia di “re” con una corona di spine e un mantello rosso e buttato in pasto al pubblico ludibrio. Mentre «nessuno si è accorto che intorno a lui l’universo gli faceva infamia, e era una grande colata di sudore e amore», dirà di lui la poetessa pazza Alda Merini.

Ascolto con viva apprensione quella bella signora dalla bella dizione come mai s’era sentita dacché io ricordi. E mi pare il simbolo della chiarezza che Dio vuole stabilire in questo giorno fatale, su tale questione epocale, per la prima volta nella storia dell’uomo messa in dubbio, anzi negata con livore e saccenza: “Parola di Dio”, che ci parla ancora oggi, come agli ebrei del tempo, per bocca dei suoi oracoli, e dice:

Dopo che Dio aveva creato gli animali e lasciato all’uomo l’onere di dargli un nome, perché gli facessero compagnia, valutato che non ne ricavava grande aiuto…

Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (…) Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

Eppure queste qui sono parole che per tutta la nostra vita abbiamo sentito, ma oggi, oggi in questo tempio, in un silenzio assordante, assumono una potenza nuova, inaudita, che sgomenta, come a sentirle la prima volta. Perché Dio stesso, con poche parole, inequivocabilmente, abolisce tutte le ideologie del mondo, che, oggi, proprio oggi, stanno assaltando la sua Chiesa, penetrandola con una caparbietà subdola e spaventosa, aggredendola da fuori e soprattutto da dentro, sicché o implode o esplode. Sembrano quasi scandalose queste parole di Dio stesso, oggi, capaci di sfidare il mondo e persino di vincerlo contro ogni speranza.

“Rendiamo grazie a Dio”, veramente! Stavolta la risposta riturale alla lettura non è stata meccanica: era sentita… “ti ringrazio… grazie per averlo detto: non siamo soli!”. Speriamo contro ogni speranza.

POSSA IO VEDERE I MIEI FIGLI E FIGLI DEI FIGLI

E quando sento cantare con grande potenza dal ragazzo esile all’ambone le parole di Dio nel salmo, sogno, sogno e agogno di essere premiato così come Dio promette a chi è fedele all’ordine delle cose da lui stabilito:

Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.

Beato chi teme il Signore

e cammina nelle sue vie.

Della fatica delle tue mani ti nutrirai,

sarai felice e avrai ogni bene.  

La tua sposa come vite feconda

nell’intimità della tua casa;

i tuoi figli come virgulti d’ulivo

intorno alla tua mensa.

 (…) Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!

Mio Dio! C’è un’immagine più bella e desiderabile di questa? Sentite: “La tua sposa come vite feconda… i tuoi figli come virgulti d’ulivo”. E ti immagini i tuoi giovani forzuti figli venuti belli e forti intorno al tavolo di mezzogiorno dove c’è il tuo sudore che si è trasformato in loro nutrimento. Perché possano sperimentare essi stessi questa gioia e tu contemplare con orgoglio i figli dei tuoi figli. E questa bellezza struggente, virile e sensuale, cosa c’entra con le languidezze disgustose e flaccide che il mondo di questi giorni ci propone e vorrebbe imporre anche alla sposa di Cristo, la Chiesa, conciata come una femmina pubblica avanti negli anni e canzonata nella piazza del villaggio? La vite, la sposa, e i virgulti d’ulivo, i figli come benedizione di Dio, intorno alla mensa del padre loro: bellissimo! Cosa desiderare di più?

Bellissimo! Di una bellezza che fa vibrare d’improvviso tutte le vetrate della chiesa di Santa Maria Goretti, persino le mura sembrano scosse: mi pare di sentire fuori l’ira funesta del Demone devastato d’odio e d’invidia che s’abbatte sul santo edificio, vorrebbe all’istante irrompere con l’oscenità e la ribellione dei disperati in quel momento di sublime verità, profanandolo. Ma i vetri del tempio, ripieno di Spirito Santo come ossigeno nei polmoni, reggono ai colpi e non cedono, egli non vi irrompe. C’è una grande pace invece. E la mia commozione è sempre più grande: penso ai vetri e alle mura del Vaticano, e coltivo la stessa speranza. Anzi: in quel momento ci credo. Che almeno il Tempio di Pietro, laddove vigile dorme il suo sonno terreno l’Apostolo, sia preservato dall’attacco di Lucifero e delle sue legioni terrene e ultraterrene, dai suoi sacerdoti apostati.

COME ASCOLTARLO PER LA PRIMA VOLTA

Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo

Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo e volendolo svincolare.

Poi è il momento del Vangelo. Il sacerdote con grande umiltà e modestia si appresta a leggerlo, e lo senti anche tu che lui pure, mai quanto oggi, sta sentendo quanto legge, e pur con la sua sobrietà quelle parole lo riempiono di fervore, come le stesse leggendo e pronunciando per la prima volta: gli confermano per voce del Messia direttamente qual è la via, e così deve sentirsi meno solo anche lui in questo mondo e in questa Chiesa, adesso. Ed è come se anche noi per la prima volta ci accorgessimo tutti che veramente quella “parola del Signore” è di Gesù, che davvero ha detto così:

… alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie (…)

Gesù disse loro: «(…) dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

Il silenzio è totale nell’edificio, per la prima volta non si sente tossire, non squillano cellulari, tutto resta immobile come sospeso: stanno davvero tutti ascoltando, e capisci che nello stesso momento, con un certo imbarazzo, paragonano automaticamente quelle parole di Lui, così chiare, con quante in libera uscita se ne sentono dalla televisione, da certi vescovi mondanizzati, sull’uomo e la donna, sul matrimonio, sul divorzio. “Ma davvero ha detto così Gesù!! Ma allora?…”, perché i suoi stessi sacerdoti lo smentiscono, lo censurano addirittura, lo liquidano con sufficienza? Che senso ha tutto questo? I loro pensieri meravigliati prendono quasi consistenza visibile librandosi nell’aria.

Le parole di Lui per mezzo del suo servo infatti assumono una inedita potenza, rombano nell’aria eppure… restano sommesse, ma implacabili, definitive, totali. Sento davvero la voce del Cristo, ne avverto la volontà immutabile, ma senza arroganza. E quasi mi viene da piangere. Di gioia.

PAROLA DEL SIGNORE, SCUSATE TANTO…

GiannelliIl prete si appresta a tenere la sua predica: ricorda a tutti che oggi si aprirà il sinodo sulla famiglia, e ripete le frasi forti di Dio: “uomo e donna… nessuno osi dividerli”. Lo fa con molto garbo, sommessamente, quasi a scusarsi, come  se…

…come si imbarazzasse di quanto sta scritto ed è il ribaltamento esatto del pensiero del mondo. O meglio: lo fa, si potrebbe dire, con un certo timore… paura ecco, paura del frastuono del mondo, della morte civile che è decretata per chi non si sdraia sulla linea, paura dello “scandalo”, tanto allo stato attuale risultano “eversive” quelle parole, e io stesso percepisco e probabilmente lui pure, il pericolo, il presentimento che qualcuno ormai ebbro degli inganni dello spirito del mondo qui e adesso tra l’assemblea dei fedeli balzi in piedi a ribellarsi, svillaneggiare il prete e gridare ai “tempi nuovi, nuova chiesa”, a respingere furioso le parole di Cristo stesso (del quale poco dopo si ciberà con indifferenza triturandolo tra i denti superbamente, ingoiando la sua condanna), quelle Sue parole che… che vuoi che siano rispetto a quelle dei tuttologi e degli opinionisti alla moda, laici e clericali, che imperano sui media, a cominciare da quelli cattolici ufficiali, compresi L’Avvenire e L’Osservatore che in questi giorni hanno persino inneggiato alle “moltitudini” di genti, come fosse l’esodo del popolo eletto, che domanderà di ripudiare moglie o marito… e tanti applausi: finalmente!, dicono ebbri di malignità… poter fornicare con la benedizione se non “di Dio”, della Chiesa. Satana si è vestito da prete, da vescovo e a tempo perso fa anche il giornalista “cattolico”.

Una cosa è certa: in questa domenica tutti hanno sentito con le loro orecchie, ora sanno inequivocabilmente qual è la volontà di Gesù. Da adesso in poi nessuno potrà congetturare: è il momento del libero arbitrio: o si sta con Lui o deliberatamente ci si mette contro di Lui. Lo stesso vale per il Sinodo. Benché molti vescovi si reputino immuni dalla volontà di Dio, ma non da quella di Scalfari.

GESÙ A BORDO CHE FA FINTA DI DORMIRE

1560719_264638083695729_1640643154_nMentre ascolto e penso tutto questo, guardo le volte di questa mia chiesa di quartiere, che non ho mai amato e mai ho sentito come casa mia: ma stavolta no, mi sento in famiglia, le guardo queste volte, e mi sono infinitamente care. Sembrano le volte della pancia di una grande nave, perduta in mezzo all’oceano in tempesta.

E mi sento sulla barca di Pietro con Gesù a bordo che fa finta di dormire. E il mio panico si placa e muta in risata quando il Messia apre un occhio, mi squadra e dice, a bassa voce: “Non temere: ci sto qua io non vedi? Scciii… zitto, zitto… vediamo che fanno gli altri, e Pietro. Tu fa finta di niente”.

Nonostante tutto, mi sono detto, questa barca qui, sola nel mare magno della mondanità perduta, minacciata dai flutti e dalle falle, tormentata e sbatacchiata dalle tempeste, frenata e respinta da tutti i venti contrari, questa barca qui dentro la quale stasera ci sono anche io di nuovo, non solo non affonderà, ma continuerà ad andare, e finché la barca va… Tanto dopo la tempesta viene sempre il sereno.

Piccolo gregge, piccola Chiesa che, nonostante tutto, nonostante quel che dice la gente, percossa, ridicolizzata, svergognata e anche martirizzata ogni giorno di più come sei, continui a vivere, pulsare, a combattere per essere fedele a te stessa e al tuo Signore, alla sua Parola, contro tutto e tutti, apparentemente contro la stessa ragione. E lo fai con mitezza, submissa voce, un po’ triste, forse tremando un po’ di paura, ma in fondo serena. Sperando ogni giorno di più: che lo Sposo venga a salvare la sua Sposa: perché il mondo non separi ciò che Dio ha unito.

Insomma, avevo paura di annoiarmi a messa, oggi. Ma Dio, grato per la visita, ha montato tutto questo splendido spettacolo… mi verrebbe la tentazione di dire… “per me”. Non solo mi ha divertito: mi ha edificato. Ritornerò di certo domenica prossima.

p.s.

Un altro miracolo è successo oggi: alla Consacrazione, per la prima volta in questa parrocchia, ho visto che la grande maggioranza si è inginocchiata. Tutti fanno la comunione, specialmente le poche giovani ginocchia che non si sono piegate nemmeno alla consacrazione, tutti salvo io che sto in quarantena penitenziale e qualche altro derelitto. Massì, rido: è il popolo variopinto, confuso, incosciente e irresponsabile di Dio, che a quanto pare si sente la coscienza pulita. Beati loro, perché non sanno quel che fanno, e molto gli sarà perdonato. Io invece so, e devo starci attento se non voglio mangiare la mia condanna.

“Mastino – blogger”. La mia pagina personale su facebook

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Cari,

siccome sto come avrete notato man mano tornando in pista, e con l’intenzione di procedere – sempre man mano – a migliorare, ingrandire e articolare il piccolo mondo che ruota intorno a PapalePapale e anche al “Mastino”, che poi occhio e croce sarei io, ho deciso dopo molte remore ma anche parecchi inviti in tal senso, ad aprire una pagina ufficiale e personale su facebook del Mastino, cioè sempre me stesso: “Il Mastino – blogger”.

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Da dove ogni giorno posso brevemente e magari lapidariamente mastineggiare… cum grano salis si spera: ossia riflettere su qualche notizia cattolica o anticattolica, ma anche su le tante altre cose che m’appassionano – ad esempio la storia sociale etc. E quando possibile, farci due risate in compagnia: la mia più grande aspirazione, in fondo, è stata sempre quella di divertire la gente, facendola pensare. Sono della scuola di quel Rodari che diceva “abbiamo perso generazioni a far piangere i bambini sui loro errori, mentre invece li avremmo potuti far ridere”: serve in questo clima ecclesiale pesante, violente, intimidatorio come sono tutte le fasi di grandi cortigianeria.

Tutto questo. E siccome sono liberale, poco incline ai soliloqui e alle censure, vorrei farlo col vostro contributo: sarebbe quindi gradito non solo il vostro “mi piace” e “segui” alla mia Pagina personale, ma persino i vostri commenti.

Qualcuno ha già commentato, in effetti: “Ecco…  su facebook ci mancava giusto il Socci dei poveri”. Domine, non sum dignus!

La mia pagina esiste da 12 ore, ha già quasi 500 persone che la seguono: aspetto anche voi… non cominciate a tirarvela solo per farmi dispetto. Venite!

Il Mastino

La Chiesa accetta il rischio. Nullità e sacramenti: colloquio col canonista Scandelli

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Un po’ di chiarezza sul Motu Proprio di Francesco con le nuove norme canoniche in materia matriomoniale: una rivoluzione o tanto rumor per nulla? Annullamento “breve” o coscienza maggiore? Sacramento o sacrilegio? Chiesa “liquida” o liquidazione della Chiesa? Una Chiesa che cede pericolosamente al mondo o che coraggiosamente “accetta il rischio”?

Un colloquio con il canonista don Marco Scandelli

della Diocesi di San Marino. Già collaboratore della C.E.I.,  è docente di Diritto canonico

 

Marco Sambruna  di Marco Sambruna

Don Marco Scandelli la Chiesa sembra vivere un periodo di profonde trasformazioni che vorrebbero toccare anche la dottrina matrimoniale. Che cosa è cambiato con il motu proprio di Francesco?
Innanzitutto va detto che i Motu Proprio non hanno introdotto né nuovi capi di nullità né tantomeno nuovi “vizi del consenso”. Pertanto i motivi per i quali un matrimonio può essere dichiarato nullo sono e rimangono quelli normati dal Codice del 1983 per la Chiesa latina (Codex Iuris Canonici) e dal CCEO del 1990 per le Chiese orientali (Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium). Essi vengono suddivisi in tre categorie: impedimenti riguardanti la persona, vizi del consenso e vizi di forma. Quindi ogni altra considerazione va tralasciata.

Prima di Francesco, se lo domandava Benedetto XVI 

il canonista don Marco Scandelli

Il canonista don Marco Scandelli

Tuttavia con le nuove norme procedurali pare sia sufficiente che uno dei coniugi dichiari che al momento del matrimonio aveva simulato di aderire alla fede cattolica oppure che in quel momento si era erroneamente percepito come cattolico per ottenere una sentenza di nullità…
Beh, è necessario fare alcune precisazioni! La Dottrina potrebbe nel tempo arrivare ad individuare o a sintetizzare nuovi vizi o impedimenti, linea che ha suggerito anche Benedetto XVI nel discorso alla Rota Romana del 2013. In quell’occasione il Papa chiese di verificare se la mancanza di fede di uno dei due sposi potesse determinare un vizio nel consenso. Il ragionamento, sinteticamente, era questo: come potrebbe un battezzato non credente volere attraverso il matrimonio canonico tutto ciò che con tale istituto normalmente si vuole? Fino ad ora la mancanza di fede è sempre stata considerata un indizio molto forte in favore della nullità per simulazione od esclusione, senza con ciò arrivare a dire che essa fosse la “prova regina”. Benedetto XVI si è chiesto se non ci fossero i margini per riconoscere a tale mancanza il valore stesso di prova e non più di semplice indizio. Ma nemmeno la giurisprudenza è ancora arrivata a dire questo. Magari lo si farà nel futuro, ma non per una discrezionalità, quanto piuttosto per una presa di coscienza maggiore circa l’incisività che la mancanza di fede può avere sulla natura del consenso che, dobbiamo ricordarlo, è ciò che “fa” il matrimonio.

Don Scandelli e Benedetto XVI

Don Scandelli e Benedetto XVI

Alla luce delle parole di Benedetto XVI che tu richiami e poi dei Motu Proprio sembra però che la mancanza di fede di uno dei nubendi sia causa legittima di nullità già ora.
Non direi! Almeno non per l’attuale dottrina, né tantomeno per la mens del Legislatore. È altrettanto vero, invece, che d’ora in poi la mancanza di fede potrà essere discriminante nella decisione circa la via da percorrere per giudicare della validità di un matrimonio. Nei Motu Proprio si fa riferimento a questo e ad altri casi, infatti, per scegliere di adottare quella che alcuni, malignando, hanno definito la “nullità breve”. In tal caso, la mancanza di fede, vale ribadirlo, non avrà però valore di “prova” quanto piuttosto sarà una delle condizioni preliminari (tra molte altre) che, insieme al fatto che entrambi i coniugi siano in coscienza dubbiosi e concordi della nullità del proprio matrimonio, potrà portare a scegliere di procedere secondo la nuova via giudiziale coram Episcopo (coadiuvato da due assessori).

Coscienza e menzogna, forme liquide e leggi universali

11205975_1117390764953419_4458291889710059047_nDon Marco, ma il richiamo alla coscienza dei coniugi sembra indicare il fatto che si vuole affrontare la questione della nullità del matrimonio ricorrendo a elementi soggettivi anziché oggettivi: a causa di ciò non esiste il pericolo di una eccessiva elasticità di giudizio circa le sentenze di nullità?
Anzitutto, la vastità della Chiesa richiede forme oserei dire liquide di Leggi universali da tradurre poi in modo preciso nella concretezza delle situazioni. Questo ha aspetti positivi ed anche negativi: si fa ciò che si può con le persone e le predisposizioni tecniche che si hanno.
In secondo luogo, si tenga presente che le questioni che si cerca di risolvere sono attinenti al foro interno che però avendo valore anche sociale (c’è in gioco il bene delle persone) hanno bisogno di essere portate in foro esterno (giudiziale). Ciò implica che coloro che si rivolgono alla Chiesa lo fanno fino a prova contraria in buona fede per poter “mettere a posto” la propria coscienza. Pertanto sarebbe di per sé assurdo pensare che un fedele si rivolga alla Chiesa per poter dichiarare il proprio matrimonio invalido e così “sistemarsi” la coscienza per un fine che però è contrario alla coscienza stessa.
L’obiezione potrebbe certo essere che alcuni sarebbero disposti a mentire pur di risolvere situazioni irregolari solo “socialmente” e le motivazioni sottostanti sarebbero in tal caso diverse: ad esempio, sentirsi giudicati non ricevendo la comunione, volersi sposare in Chiesa con una donna che altrimenti non accetterebbe, ecc.
La Chiesa accetta il rischio sapendo che i mezzi di grazia (e giustizia) sono offerti a tutti. Poi ognuno è libero di usarli bene o male che voglia: ne risponderà davanti a Dio, senza poter più mentire.

Cosa rischia la Chiesa?

Matrimonio de Medici celebrato dal futuro papa Clemente VII de Medici, che più ntardi, negando l'annullamento del matrimonio a Enrico VIII generò lo scisma anglicano

Matrimonio di Caterina de Medici , benedetto dal futuro papa Clemente VII de Medici, che più tardi, negando l’annullamento del matrimonio a Enrico generò lo scisma anglicano

Affermi che la Chiesa “accetta il rischio” nell’amministrazione dei sacramenti. Ciò implica anche la possibilità che siano assunti liberamente da parte dei credenti con scarsa consapevolezza: è quindi legittimo chiedersi se la Chiesa non rischi a propria volta di offrirli con troppa disinvoltura, senza vigilare sul grado di comprensione dei fedeli circa il loro valore. Non ritieni sia dunque opportuno porre dei limiti alla libertà di accostarsi ai sacramenti? Infatti un sacramento assunto indegnamente può nuocere alla salvezza dell’anima.
Ammetto che quest’ultima frase è nella sua sintesi un po’ ambigua. A tal proposito penso che le questioni da chiarire siano di duplice natura.
La prima riguarda il tema che è stato appena affrontato, cioè quello del rischio e della libertà. La seconda, invece, è quella più strettamente reale (cioè della res) riguardante il sacramento e la possibilità di sacrilegio. Le cose, come si vedrà, sono molto più legate di quanto non si possa pensare a prima vista.
Riguardo il primo punto, è necessario ricordare che la libertà (e con ciò non solo, ma anche il “libero arbitrio”) è una delle caratteristiche intrinseche della persona umana, tanto che per esempio nella Teologia dell’ultimo secolo alcuni pensatori hanno definito l’uomo stesso “libertà finita” e Dio “libertà infinità”. Due belle definizioni, direi! Tutto, infatti, nell’incontro tra l’uomo e Dio si gioca all’interno della libertà. Dio ama così tanto l’uomo che è pronto a fare di tutto per farsi a sua volta riamare, ma alla fine non forza mai la libertà umana che coscientemente lo rifiuta, ritraendosi. È vero che Dio educa, custodisce, insegna e vigila, ma non lo fa mai costringendo, lo fa sempre quasi in punta di piedi per non intaccare o schiacciare nemmeno un pochino la libertà finita dell’uomo.
La stessa cosa vale per la Chiesa, nonostante la tentazione della forzatura sia sempre latente…

Sacrilegio. Ma a chi nuoce davvero?

Jacob Jordaens. Adorazione dell'Eucaristia

Jacob Jordaens. Adorazione dell’Eucaristia

Riguardo il secondo aspetto, il sacrilegio?
Perché una persona possa commettere sacrilegio occorrono due cose: un atto considerato tale per natura o indicato tale dalla Chiesa e la volontà (coscienza e avvertenza) del presunto sacrilego. Peraltro: gli effetti del sacrilegio, ci insegna san Tommaso in modo molto efficace, sono solo per il sacrilego non potendo nulla fare contro la infinta maestà di Dio.

Puoi portare un esempio pratico?
Se durante la ricezione dell’Eucaristia dovesse inavvertitamente cadermi una particella di ostia non ci sarebbe empietà, mancando l’intenzione di porre un atto sacrilego e comunque Dio non ne subirebbe oltraggio. Se invece io lo facessi intenzionalmente come atto sacrilego (o per incuria, che sempre denuncia un problema di fede), ciò porterebbe a me la morte spirituale, anche se Dio non può certo essere intaccato da un simile atto.
Perciò: quando diciamo che la Chiesa “rischia” sulla libertà dell’uomo, cioè sulla sua coscienza, diciamo che nel caso di sacrilegio in cui ci fosse volontà piena (piena avvertenza e deliberato consenso) l’unico a subirne le conseguenze sarebbe il sacrilego stesso. Se costui non comprende (e tale comprensione non è volutamente deficitaria) di commettere sacrilegio, non rischia di incorrere nella dannazione. Del resto, come provocazione, da un punto di vista morale, quante persone oggi pur non essendo in stato di grazia si accostano comunque all’Eucaristia credendosi forti del fatto che in foro esterno non sono impediti?

I Sacramenti non sono un diritto, manco per chi ce l’ha

Joos van Wassenhove. Istituzione dell'Eucaristia

Joos van Wassenhove. Istituzione dell’Eucaristia

Ma perché un soggetto sia veramente libero di decidere occorre che disponga di tutti gli elementi di valutazione necessari: per certi versi si può dire che l’ignoranza limitando la conoscenza limita anche la libertà. In questo senso non sarebbe auspicabile una maggior attenzione all’educazione sul valore dei sacramenti proprio per tutelare la libertà di scelta?
Innanzitutto un’osservazione preliminare: i sacramenti non sono un diritto! Nessuno ha un “diritto” a ricevere i sacramenti. Il ministro dell’Eucaristia è in tal senso non un dispensatore di diritti, ma un incaricato dalla Chiesa deputato a valutare che le condizioni necessarie per essere ben disposti a ricevere un sacramento siano tutte presenti. Pertanto potrebbe accadere che anche chi è nelle condizioni di poter ricevere il sacramento, poi non possa materialmente riceverlo.

In che senso?
Faccio un esempio tra tanti: pensiamo al fatto che ad una celebrazione “oceanica” non tutti possano ricevere il Corpo di Cristo anche se “ben disposti”. O per fare un altro esempio, analogo e perciò diverso, nessuno ha diritto ad essere ordinato sacerdote, nemmeno se ha compiuto tutte le cose necessarie per diventarlo.
Detto questo, è vero che la Chiesa prima che vigilare è chiamata ad educare. Il grado necessario di vigilanza in una società è come la colonnina di mercurio in un termometro: più è alta la vigilanza e più il paziente sta male. Fuor di metafora: vigilare (e vietare) è sempre il tentativo di frenare un malcostume che affonda le proprie ragioni in una scorretta educazione.
Conosco una famiglia con quattro figli educati con sapienza anche riguardo l’atteggiamento da avere durante le celebrazioni liturgiche. Uno dei figli è addirittura cerimoniere. Ogni volta che partecipano alla Messa, con naturalità si approcciano in un certo modo all’Eucaristia. L’hanno imparato, anzi respirato dai genitori, molto partecipi della vita della Chiesa. Sono certo che non ci sarebbe bisogno di vietare loro l’Eucaristia nel caso in cui si trovassero in una situazione sconveniente. La Chiesa è chiamata ad educare la libertà, esalta la libertà e rischia su di essa. I tre verbi in questo ordine cronologico. Altrimenti tutto decade e come si diceva la Chiesa rischia di diventare liquida, insipida e caotica.

EucarestiaPermettimi di esprimere un dubbio riguardo il tuo accenno alle “forme liquide” da intendersi come Leggi universali da applicare alle circostanze concrete. C’è infatti il rischio che possano generare una sorta di caos interpretativo che può essere più dirompente per la Chiesa di quanto non lo siano delle regole certe più o meno conformi alla dottrina tradizionale.
In altre parole: non temi il pericolo di errori madornali nella valutazione dei singoli casi magari indotti da dichiarazioni mendaci da parte dei coniugi al fine dell’ottenimento di sentenze compiacenti?
Nel caso in cui la Chiesa sbagli a dare un giudizio sulla invalidità di un matrimonio (matrimonio valido dichiarato invalido) il fedele è posto in uno stato di non colpevolezza di fronte a Dio solo se egli sa di essere stato sincero nell’esporre fatti e prove a favore della stessa invalidità. Certo è che la stessa cosa vale per chi giudica (vescovo o vicario giudiziale o giudice che sia): se non si raggiunge la certezza morale sulla invalidità, chi giudica non può emettere una sentenza positiva di nullità! È una questione di coscienza anch’essa.
Pertanto direi semplicemente che il caos che si potrebbe generare ha sì, questa volta, come barriera quella della fede: se un giudice o una parte in causa sono persone di fede, difficilmente faranno scelte contro la propria coscienza.

La Chiesa non deve aver paura

Il papa in un momento di ilarità con degli sposi novelli

Il papa in un momento di ilarità con degli sposi novelli

Un’osservazione di carattere generale: si ha la diffusa percezione che la tradizionale visione del mondo secondo la dottrina cattolica stia cambiando: la sua “narrazione” dell’uomo anziché apparire alternativa appare ormai analoga a quella laicista. Da questo tentativo di imitazione della cultura dominante scaturisce una sorta di “effetto fotocopia”. Ma una chiesa sempre meno alternativa al cosiddetto “mondo” non è fatalmente destinata a essere percepita come inutile o superflua?

Mi pare che la questione nasconda in realtà ben tre temi diversi, riassumibili in un atteggiamento dal quale gli ultimi Papi hanno cercato di metterci in guardia: “Non abbiate paura”.

Innanzitutto il rapporto tra il mondo e la Chiesa. Come descriverlo? Se è vero che è la Chiesa a dover plasmare il mondo a partire anche dall’invito contenuto in Genesi di “coltivare la terra”, è pur vero che la Chiesa vive delle dimensioni della storia, cioè del tempo e dello spazio. Allora la tentazione perenne che gli uomini di Chiesa vivono è quella di chiudersi a riccio ogniqualvolta il mondo non sembra ascoltare e seguire ciò che essi proclamano. Si tratta evidentemente di un borghesismo ecclesiale che a lungo andare si dimostra nocivo. La Chiesa non può uniformarsi al mondo, ma se deve parlare al mondo (“andate in tutto il mondo”) lo deve fare in un modo che per il mondo sia comprensibile. “Cattolicità della Chiesa” significa anche capacità di adattamento: ma per poter superare delle forme ormai incomprensibili per la modernità è necessario aver ben compreso e fatto proprie quelle precedenti. Mons. Biffi diceva che è sì importante superare san Tommaso, ma il problema è che prima bisogna almeno arrivarci!

Rubens.  La Vittoria della verità eucaristica sull'eresia

Rubens. La Vittoria della verità eucaristica sull’eresia

Ma così non si rischia che la custodia della dottrina venga meno e di conseguenza la stessa sia oggetto di discussione secondo schemi di pensiero che non appartengono alla chiesa cattolica, ma al “pensiero debole” o relativismo laicista? In quanto oggetto di interminabili dispute e compromessi la dottrina rischia di apparire sempre più caotica e incapace di offrire risposte certe e universalmente condivise.

Come dicevo, accanto al primo tema, ve ne sono altri due, il primo dei quali tocca la natura intrinsecamente sinodale della Chiesa. In questi giorni, per stare all’attualità, si parla spesso di contrapposizioni dottrinali riguardanti l’accesso ai sacramenti per le persone considerate “irregolari”. Abbiamo sentito che i Padri del Sinodo hanno espresso opinioni diverse. La diversità non deve e non può far paura alla Chiesa. Ognuno è chiamato ad esprimere dubbi, perplessità, idee, teorie con libertà e al servizio della verità, il cui servo dei servi è il Papa. È il Papa che ha l’ultima parola nella Chiesa, nel tentativo di armonizzare le diverse posizioni nella sinfonia, però, dell’unica verità che è Cristo. Avere paura del dialogo franco nella Chiesa è avere paura di perdere. Ma la verità è diffusiva sui, non ha bisogno di grandi spot pubblicitari. Chi pensa di possedere la verità vive nella paura. Chi è posseduto dalla verità, invece, come diceva Benedetto XVI, non ha mai paura del dialogo. E comunque, lo ripeto, nel dubbio è il Papa assistito dallo Spirito Santo a dipanare le questioni.

E con questo arriviamo all’ultima paura?

Esattamente! Infatti, l’ultima paura corrisponde a quell’atteggiamento che nella Chiesa è generato dalla mancanza di fede nell’azione dello Spirito Santo. Noi in quanto cattolici riteniamo che sia lo Spirito a guidare la Chiesa santa di Dio. Per questo se è vero che la Chiesa vive le dimensioni della storia, è anche vero che essa non è semplicemente una società storicamente determinata. Lo Spirito continua ad agire e permette l’approfondimento delle verità di fede: un approfondimento che non potrà mai dirsi concluso fino a che l’universo non sarà “riarrotolato” nell’ultimo giorno. Anche i dogmi non pongono la parola “fine” su argomenti di fede, ma la pongono solo sulle eresie. Un dogma – pur stabilendo i punti fermi – è dunque e sempre all’inizio di un nuovo processo cognitivo e di approfondimento che si sviluppa sapendo che una determinata strada è impercorribile, ma tante altre sono ancora da scoprire.

 

Il cristianesimo come religione della Pietra. Il culto dell’Arcangelo

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La pietra è il luogo escatologico per antonomasia,  l’elemento simbolico e concreto sul quale il divino, che sia Gesù Maria Michele, dai cieli irrompe sulla terra e dalla terra risale i cieli. Sulla pietra, che sia quella del Golgota del Geztemani del Deserto del Tabor o anche di Lourdes e Monte Sant’Angelo, la storia della salvezza manifesta i suoi momenti topici, il raggiunto climax della divino-umanità. La pietra congiunge e separa il terreno dall’ultraterreno, le tenebre dalla luce, il bene dal male

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12144786_437857639741531_1045654242895536113_nIl Mastino *

Mi spiace che sia scomparso dalla liturgia; mi spiace anche che sia sfumato l’enorme culto che il mondo rurale gli ha per secoli tributato, quando ancora la paura del suo diretto e storico avversario, il demonio, era l’altro aspetto, fondante, della fede popolare, prova che non è necessario essere degli intellettuali per capire i misteri della fede: il mondo contadino conosceva l’essenziale, ciò che conta della sua religione; lo stesso non si può dire degli intellettuali che hanno preso poi il sopravvento nell’ultimo mezzo secolo di storia ecclesiastica.

Sto pensando a san Michele Arcangelo, mentre giro per tutte queste vecchie e antiche chiese della Puglia, regione che accoglie anche il santuario e “l’impronta del piede” – così vuole una pia tradizione – del Principe delle milizie celesti, a Monte Sant’Angelo: noto che in ciascuna chiesa (delle antiche ma in nessuna delle moderne) c’è una pala d’altare, una statua di pietra o cartapesta che raffigura l’Arcangelo.

La chiesa "nella pietra" dell'Arcangelo, a Monte Sant'Angelo

Il santuario “nella pietra” dell’Arcangelo, a Monte Sant’Angelo

Nel Sud è consueto il suo culto nelle zone altamente sismiche, perché egli è il santo che protegge da certi cataclismi: il “male della pietra” per antonomasia, il terremoto. Ma qui in Salento, la terra meno sismica d’Italia, perché? Certamente è un (ex) culto importato da coloro che per primi arrecarono il cristianesimo in questo lembo di terra pertinacemente pagano: i monaci basiliani. I quali erano “uomini della pietra”, ossia fondavano i loro eremi e gli edifici di culto nelle grotte, scavando nella roccia calcarea. O forse dipende dalle lunghe contaminazioni orientali, sia ortodosse e persino musulmane, confessioni dove l’Arcangelo ha un suo status di tutto rispetto: anche alla Mecca c’è “la pietra dell’Arcangelo”. Ecco, la parola chiave: la pietra. Ogni volta che si parla dell’Arcangelo Michele, che si sia cristiani o musulmani, c’è sempre una pietra  alla base del culto. Persino i terremoti, dai quali protegge, altro non sono che scomposizione della pietra.

Questo riflettevo rimirando un antico graffito rupestre che raffigura il Principe delle milizie celesti in una antichissima e diroccata grotta in aperta campagna, sotterranea e scavata nella pietra, in questa zona del profondo Sud salentino: una grotta basiliana eretta a chiesa e cenobio oltre mille anni fa da quei monaci, e della quale restano ormai solo i cocci delle razzie e del tempo. La Grotta dell’Annunziata. La pietra!

Nella Pietra di Lourdes

Nella Pietra di Lourdes

Dal punto di vista dell’antropologia religiosa e della storia sociale, come spiegare il culto di Michele Arcangelo nei secoli?, questo mi domandavo in quella penombra umida. E una sola parola, tra queste sacre pietre cadute, mi riaffiorava sulle labbra: la pietra!

Michele e la pietra. Questo culto legato sempre alla roccia, alle grotte, alla montagna come elemento simbolico e concreto, metafisico e inquietante sospeso com’è in una dimensione altra e di mediazione, di contatto e separazione tra buio e luce, tra cielo e terra, che demarca il limite tra bene e male, empireo e inferi, tra i due arcangeli a capo delle opposte legioni: Michele e Lucifero.

La centralità della pietra nei culti dell’Arcangelo come in tutti i culti mariani – Maria, la grande alleata di Michele – che si installano sul monolite, la grotta, la collina rocciosa, il basamento pietroso sul quale la Vergine sarebbe apparsa qua e là (riflettiamoci: esclusa Fatima, la Madonna sembra non poter fare a meno della roccia nelle sue irruzioni terrestri). Questa centralità della roccia nei culti micheliti e mariani, sembra quasi richiamare gli antichi culti megalitici specialmente diffusi nella zona mediterranea.

Le "pietre" della storia della salvezza

Le “pietre” della storia della salvezza

Ma tutto si basa sulla “pietra” nella storia della salvezza: lo stesso erede di Gesù si chiama Pietro, Cefa cioè, che sta a significare “pietra”, e su quella pietra Cristo fonda la sua Chiesa. Su una pietra fatale Gesù si poggia a pregare, piangere e sudare sangue nell’Orto degli Ulivi. Sulla pietra del Golgota, del quale l’evangelio sembra enumerare ogni asprezza rocciosa e desolata, contandone tutti i sassi, là muore colui che a base della Chiesa poco prima aveva posto la pietra; e dalle pietre sepolcrali, silenti testimoni del mistero tremendo e glorioso, poco prima rotolate a sigillare l’umanità di Gesù, trapassandole egli risorge, e i primi testimoni osservano le pietre per farsi cogliere dallo sgomento della profezia che sta manifestandosi. “Salendo sul monte” il Cristo detta le leggi fondamentali di beatitudine e da quelle rocce si trasfigura svelandosi, lì perde la sua umanità, supera la sua divino-umanità, si dissolve nella divinità piena che nei tratti non ha più nulla di umano: tutto è trasfigurato nella gloria. Su una “montagna” rocciosa. La pietra!

Sulla roccia di una collina in un deserto pietroso Gesù è tentato da Satana: da lì, dalle altezze e asprezze rocciose, rappresentazione simbolica e concreta della durezza dell’ascesi, lì gli è offerta la potenza e la gloria del mondo. Su quella stessa roccia, il Demone perde la sua partita: la roccia è anche il luogo dell’Arcangelo non decaduto. E del trionfo.

Lucifero. Incatenato a una Pietra

Lucifero. Incatenato a una Pietra

Sulla “pietra metafisica”, la collina che separa due universi simbolici – luce e tenebre, cielo e terra – i due poli, il negativo e il positivo di una realtà, gli opposti per antonomasia si toccano, si incontrano, coincidono e si respingono: Lucifero, già portatore di luce, e Michele, angelo di luce. La luce dissolve le tenebre laddove le incontra: la roccia è il punto di incontro-scontro. E di irradiazione.

La pietra, nella storia divina, è l’elemento e il luogo del sacrificio e della tentazione, della sconfitta e dell’impassibilità, della catarsi e della gloria. Per antonomasia forma ed elemento escatologico, è il palcoscenico eletto della trasfigurazione e della trasmutazione, dove due nature, quella spirituale e materiale, si congiungono e si separano, una soltanto, quella verticale,  in su la cima, guadagnando la gloria immortale.

Le pietre sono simboli, i simboli sono pensieri, i pensieri diventano fatti, e ultra-fatti: immobili mentre il resto gira e scompare, le rocce rappresentano l’eterno. “Le pietre sono uomini” dice Hikmet.

In quelle rocce, dunque, cerco il significato e la potenza di Michele Arcangelo.

*già edito nel gennaio 2015 sulla rivista monegasca “L’Editoriale”

L’Innominato postmoderno. Chi ha ucciso a Parigi? La Peste, sicuramente…

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Un giovane sacerdote, non sconosciuto al pubblico cattolico e non – onde ne preserverò l’anonimato, come da sua richiesta -, mi invia una mail, certamente arguta, certamente esilarante, certamente aderente alla realtà dei fatti “senza nome” di questi giorni. Per domandarmi: “Chi ha sparato a Parigi?”, sicché in giro e nelle dichiarazioni ufficiali non si riesce a trovare il nome preciso del responsabile. Questo post-moderno Innominato… tanto da portare alla mente quell’altra cosa “che non esiste” che era la “Peste” manzoniana. Da leggere.

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images (1)Don Innominato

Sabato 14 Novembre 2015

Gentile e graffiante Signor Mastino,

 questa volta ho ceduto alla balorda tentazione di scriverle. Peto veniam.  Epperò, spesso leggo con piacere i suoi scritti e li critico aspramente, ma solo sull’uso di certi neologismi d’impatto che ogni tanto spuntano (vedi: parolacce), eppure sbuffo quando tarda a comparire l’articolo del dott. Antonio Mastino che quasi mi verrebbe di far parte dei neo-neoteroi.

Ebbene il dunque. Cerco spesso una risposta “ai segni dei tempi”, pur sapendo che “la conoscenza aumenta il dolore” come dice la sacra Scrittura, ora mi permetta di esporle una riflessione, chissà se vorrà rispondermi.

Un pensiero che ha fatto capolino in questo sabato del villaggio. Stamane per le strade della mia città venivo osservato colla coda dell’occhio dai molti giovani stranieri mussulmani in forze e che attendevano, seduti sugli usci delle case, chi sa quale Godot ma non certo il padrone della vigna che li prendesse a giornata. Li ho trovati tutti in sana e robusta costituzione fisica e spirituale; subito un paragone clinico mi è balenato: noi Cattolici invece rantoliamo e l’Europa stamane piange i morti parigini.

Gli attacchi terroristici di ieri sera a Parigi si sono svolti all’inequivocabile grido di guerra: “Allah akbar” testimoniato dai superstiti, e non dai conservatori cattivi e pieni di pregiudizi, così il Presidente Hollande, nel suo comunicato di ieri sera, ha condannato la violenza, ha affermato di movimentare ogni cosa per la guerra al terrorismo. “Il premier Renzi ha incontrato i vertici dell’antiterrorismo: «Colpendo la Francia hanno colpito l’umanità intera». (Ansa) «Questo è un attacco contro la libertà diretto contro tutti noi» ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel. (cito da La Stampa ), ma nessuno ha pronunciato i termini Islam, islamico, neppure un piccolissimo islamismo.

Insomma se dovessimo fare il paragone con il linguaggio medico di cui sopra, si parla di una epidemia diffusissima e mortale di cui si conosce perfettamente sintomi, diagnosi, decorso, prognosi, effetti, ma il nome non si dice, non registrata da nessuna parte.

Mi sono allora venute in mente alcune possibili soluzioni che facciano chiarezza su questa inspiegabile carenza dell’enciclopedia dalla quale i politici, i giornalisti, i pastori non hanno individuato lemma tecnico che potesse darne spiegazione.

Ho trovato illuminazione sotto il termine “Peste”. Ma un dotto intellettuale mi ha poi convinto che la Peste in realtà non esiste. “Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino all’ultimo, quell’opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la concatenazione. In rerum natura – diceva – non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. La c’è pur troppo la vera cagione, – diceva; – e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell’altra cosa in aria… La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. (…) His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle”. (I promessi sposi, cap. XXXVII).

Poi ho mendicato chiarezza in un pecheninico dizionario di psicologia-psichiatria, il quale pontificava che trattasi di elementare “sdoppiamento di personalità”. “È semplice: Mr. Hyde è tornato e ha fatto strage”. La colpa, come affermano i normalisti, “è della società che costringe il criminale ad agire male, e il povero alienato ha una responsabilità assai limitata, diciamo limitata al solo gesto materiale. D’altra parte poi se il dott Jeckyll lo fa con sincerità di coscienza chi siamo noi per giudicarlo? Al massimo ci difenderemo, ma non troppo.

Un po’ sconsolato per non essere capace di addentrarmi nella cerusica materia, ho provato a seguire la pista degli intelligenti detectives (quella dei gialli di prima serata): anche loro ne sanno un sacco di medicina legale e secondo me sono sulla pista giusta: è stato Paperinik che pensava di uccidere Uomo ragno. Avrei voluto chiamare la redazione di qualche importante giornale che narra fatti quotidiani, poi ho pensato che se distruggo un mito del genere chi mi ascolterà più? Magari vado anche a finire nel novello registro degli Omofobi e Razzisti. Forse potrei parare il colpo suggerendo ai miei uditori la scelta tra le famose pillola rossa e pillola blu? Alcuni la prendono ogni mattina: dicono che sia meglio del Viagra! (Whoops! Peto veniam).

Allora ho chiesto ad un sacerdote piuttosto sveglio, ma quando stava per pronunciare la parola : “I***m” [islam] è avvenuto un prodigio, come a Zaccaria del Battista: si è ammutito, tipo l’impronunciabile Woldemort di Harry Potter, quasi un pentagramma sacro, peggio di una delle sue parolacce signor Mastino: le giuro: quella parola non è riuscito a dirla!

Infine rubicondo per non averci pensato subito ho letto la nota di padre Lombardi: ho pensato almeno lui dirà qualcosa di lapalissiano e ho trovato: “Si tratta di un attacco alla pace di tutta l’umanità che richiede una reazione decisa e solidale da parte di tutti noi per contrastare il dilagare dell’odio omicida in tutte le sue forme” (…) “In Vaticano stiamo seguendo le terribili notizie da Parigi. Siamo sconvolti da questa nuova manifestazione di folle violenza terroristica e di odio che condanniamo nel modo più radicale insieme al Papa e a tutte le persone che amano la pace. Preghiamo per le vittime e i feriti e per l’intero popolo francese” (sala stampa vaticana). Non ho avuto soddisfazione nemmanco in questo caso.

Signor Mastino non riesco a trovare il nome di questa malattia che miete vittime prima spirituali e poi materiali. Ho quell’unico indizio: giovani stranieri islamici in ottima salute che mi spiano colla coda dell’occhio aspettando un segnale dal loro Godot.

Mi aiuti lei la prego, prima che sia stroppo tardi!


“Bestemmiavano Dio e lor parenti…”. Bestie e bestemmia

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Il sacerdote aveva appena terminato di pronunciare la frase: “mistero della fede” quando una orribile bestemmia contro Dio, un cosa veramente orripilante, urlata a squarcia gola, è risuonata nel silenzio, rimbombando in quella cassa armonica. E’ stato un attimo tremendo, ho ancora il voltastomaco pensando a quell’attimo. L’indignazione ha avuto il sopravvento sul disgusto e vi garantisco che la prima cosa che mi è venuta in mente è la parola: “…bestia!” che ho anche pronunciato ad alta voce girandomi verso l’ingresso della chiesa, da dove proveniva l’urlo, per vedere chi fosse l’autore di un atto così orrendo.
Era un ragazzotto sui sedici anni con zaino sulle spalle e pettinatura “crestata” all’ultima moda, evidentemente appena uscito da scuola.

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Nicola Peircedi Nicola Peirce

“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava” (Luigi Pirandello)

Ci sono parole che pur avendo significati molto diversi si somigliano nel fonema e nella composizione ma anche per ciò che evocano alla mente, anzi in alcuni casi sembrano fatte l’una per l’altra. Lo scrivo perché mi sono imbattuto, mio malgrado, in uno di questi accoppiamenti. Mio malgrado perché al solo pensiero di quell’incontro provo ancora il senso di disgusto e di indignazione che ho provato quando si è presentato alle mie orecchie e alla mia mente. Sono le parole bestemmia e bestia. Pronunciatele e vi accorgerete che hanno un suono quasi identico e guardate anche come si somigliano.
Hanno un significato e un’etimologia completamente diversa però. La prima viene dal greco blasphemia, cioè discorso ingiurioso, violento. La seconda dal latino bèstia, usata dai romani per indicare gli animali destinati ai combattimenti contro i gladiatori, cioè alla violenza. Infatti, non c’è nulla di più bestiale, violento, di un essere umano che bestemmia, per questo sembrano proprio fatte l’una per l’altra.

“Dante e la divina commedia” – affresco di Domenico di Michelino (1465) – Santa Maria Novella (Firenze)

“Dante e la divina commedia” – affresco di Domenico di Michelino (1465) – Santa Maria Novella (Firenze)

Prima di raccontarvi l’accaduto è necessaria una breve premessa. La bestemmia rappresenta un caratteristico atteggiamento dei dannati: “damnati in inferno non sperant se posse poenas evadere (…) talis detestatio divinae iustitiae est in eis interior cordis blasphemia” (San Tommaso d’Acquino – Summa Teologica). In altri termini il dannato sa di non poter sfuggire all’inferno ma rifiuta (detesta) la giustizia divina, rifiuto che diventa blasfemia, cioè bestemmia, del cuore. Insomma un cane che si morde la coda: sono all’inferno per il mio rifiuto a Dio che è bestemmia e mentre sono all’inferno detesto la giustizia (punizione) che mi sono costruito con le mie mani, con il mio comportamento in vita e produco ulteriore bestemmia. Non vi sembra raccapricciante?

Indubbiamente il più bell’affresco, fatto di parole, dell’inferno è nella Divina Commedia. Dante presenta i dannati che bestemmiano già nella loro prima generica apparizione, sulle rive dell’Acheronte, mentre attendono di essere traghettati: “Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme di lor semenza e di lor nascimenti” (Inferno III). Per la prima volta si rendono conto di dove sono diretti e a quel punto non solo bestemmiano contro Dio ma anche contro i loro genitori e il luogo e l’ora nei quali  sono stati concepiti. Anche in questo caso abbastanza raccapricciante come immagine.

 Sodoma e Gomorra al gran completo

Dante incontra il ladro Vanni Fucci (Inferno XXV) il quale, irato contro Dio alza verso l'alto le mani nel gesto della “manofica” dicendo: "Togli, Dio, ch'a te le squadro" . La mano fica è un amuleto dalle origini antichissime. E’ rappresentato da una mano chiusa con il pollice inserito tra l'indice ed il medio. E' chiaro il significato sessuale del gesto che indica la copula, meno chiaro è il suo significato scaramantico dato che le versioni sono contraddittorie. Secondo alcuni studiosi di antropologia equivale a cacciar fuori la lingua in segno di dispregio ma anche che "far la fica" è il miglior scongiuro contro il malocchio. Comunque secondo Dante la mano fica ha un significato dispregiativo, blasfemo. Tra le varie miniature che il pittore senese Priamo della Quercia (1400-1467) ha dipinto per illustrare la Divina Commedia, vi è anche la rappresentazione di questo episodio. Vanni Fucci è sul lato sinistro dell'immagine, con il braccio e lo sguardo rivolti verso l’alto con l’evidente gesto della manofica.

Dante incontra il ladro Vanni Fucci (Inferno XXV) il quale, irato contro Dio alza verso l’alto le mani nel gesto della “manofica” dicendo: “Togli, Dio, ch’a te le squadro” . La mano fica è un amuleto dalle origini antichissime. E’ rappresentato da una mano chiusa con il pollice inserito tra l’indice ed il medio. E’ chiaro il significato sessuale del gesto che indica la copula, meno chiaro è il suo significato scaramantico dato che le versioni sono contraddittorie. Secondo alcuni studiosi di antropologia equivale a cacciar fuori la lingua in segno di dispregio ma anche che “far la fica” è il miglior scongiuro contro il malocchio. Comunque secondo Dante la mano fica ha un significato dispregiativo, blasfemo. Tra le varie miniature che il pittore senese Priamo della Quercia (1400-1467) ha dipinto per illustrare la Divina Commedia, vi è anche la rappresentazione di questo episodio. Vanni Fucci è sul lato sinistro dell’immagine, con il braccio e lo sguardo rivolti verso l’alto con l’evidente gesto della manofica.

I peccatori condannati per la colpa specifica della bestemmia sono posti nella terza bolgia del girone dei violenti, nel canto XIV. La bestemmia nasce dalla superbia: è una forma di disprezzo, di violenza contro Dio, perché chi ingiuria Dio ne ammette implicitamente l’esistenza ma osa contrapporsi violentemente, non lo riconosce a sé superiore. Lo disprezza nel cuore e lo appella ingiuriosamente a viva voce. Curioso è costatare che nello stesso girone ci sono anche i sodomiti perché violentando la propria natura, fatta a immagine e somiglianza di Dio, anche loro usano violenza contro Dio.
C’è, però, un personaggio dell’inferno dantesco che incarna il prototipo del bestemmiatore, anche se si trova in un altro girone, realizzando, secondo me, perfettamente il connubio tra le parole: bestemmia e bestia. Si tratta di Vanni Fucci: “Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana”. (Inferno XXV). Personaggio storico, famoso delinquente di Pistoia e gran bestemmiatore, che si trova nella bolgia dei ladri: “Per tutt’i cerchi de lo ‘nferno scuri non vidi un spirto in Dio tanto superbo” (Inferno XXV).
La bestemmia che aleggia, nel canto, è in armonia col suo modo di agire, col comportamento tenuto nel corso del suo colloquio col poeta, concluso con un’espressione di sadismo nei confronti di Dante: “E detto l’ho perché doler ti debbia!” (Inferno XXV). E’ un tipico personaggio di quelle Malebolge che ospitano le anime più vili ed è, sicuramente, il più scortese di tutti i personaggi incontrati da Dante. Non è stato punito perché bestemmiatore ma per altre colpe. Il disprezzo verso Dio espresso con la bestemmia è la ciliegina sulla torta che completa un quadro morale privo di ogni luce. Egli stesso si definisce bestia che ha bestemmiato Dio con la sua vita bestiale… provate a pensare quale “bestalità”.

Una cassa “disarmonica” in chiesa

L’ingresso della chiesa di Sant’Agostino a Siena che ospita le celebrazioni per la festa di Santa Rita da Cascia e concerti di musica classica e sacra. Per il resto dell’anno è chiusa.

L’ingresso della chiesa di Sant’Agostino a Siena che ospita le celebrazioni per la festa di Santa Rita da Cascia e concerti di musica classica e sacra. Per il resto dell’anno è chiusa.

E ora veniamo ai fatti: a Siena la festa di Santa Rita, per tradizione, si svolge nella chiesa di Sant’Agostino che è parte del complesso chiamato “Collegio Piccolomini”. Una enorme struttura che occupa buona parte dell’area prospiciente l’ingresso in città da porta Tufi. La chiesa viene aperta solo in quella occasione e in poche altre, nel corso dell’anno, per concerti di musica classica e sacra. Ha infatti un’acustica eccezionale resa perfetta da alcuni accorgimenti, come i grandi teloni che rifiniscono la cassa armonica, frutto dell’architettura. L’ingresso della chiesa si trova nel portico d’accesso al “Collegio Piccolomini” che comprende anche l’ingresso al palazzo, vero e proprio, che ora è un liceo. Uscendo dalla scuola si passa davanti al portone della chiesa che durante le celebrazioni per Santa Rita è sempre aperto.

Il portico d’ingresso del complesso chiamato “Collegio Piccolomini” nella zona antistante porta Tufi a Siena.

Il portico d’ingresso del complesso chiamato “Collegio Piccolomini” nella zona antistante porta Tufi a Siena.

Il 22 maggio scorso ero lì, alla Messa con mia moglie e altre persone, non tantissime a dire il vero. Saranno state le 12:30 circa, il celebrante era alla consacrazione, noi eravamo quasi tutti inginocchiati, con il volto tra le mani, in raccoglimento, mendicando la misericordia di Dio che sgorga, senza sosta, dal sacrificio eucaristico. Il sacerdote aveva appena terminato di pronunciare la frase: “mistero della fede” quando una orribile bestemmia contro Dio, un cosa veramente orripilante, urlata a squarcia gola, è risuonata nel silenzio, rimbombando in quella cassa armonica. E’ stato un attimo tremendo, ho ancora il voltastomaco pensando a quell’attimo. L’indignazione ha avuto il sopravvento sul disgusto e vi garantisco che la prima cosa che mi è venuta in mente è la parola: “…bestia!” che ho anche pronunciato ad alta voce girandomi verso l’ingresso della chiesa, da dove proveniva l’urlo, per vedere chi fosse l’autore di un atto così orrendo.
Era un ragazzotto sui sedici anni con zaino sulle spalle e pettinatura “crestata” all’ultima moda, evidentemente appena uscito da scuola. Era lì in fondo alla chiesa con aria soddisfatta e con un ghigno stampato sulla bocca che si è trasformato in una risata seguita da quella di alcuni altri ragazzi, suoi compagni di scuola che erano poco dietro di lui. Non ho fatto neanche in tempo a uscire dalla panca che il ragazzo si è girato ed è uscito dalla chiesa, schiamazzando, con gli altri. La distanza tra me e l’uscita era notevole e sia io sia un paio di altre persone che avevano avuto la mia stessa idea, quella cioè di chiedere spiegazione di un atto simile, abbiamo desistito dall’inseguire quel branco rendendoci conto che non avremmo mai potuto raggiungerlo.

…raccontami del pelìde Achille l’ira funesta!

Luca Giordano (1632, Napoli - 1705, Napoli) “Cristo scaccia i mercanti dal tempio”, metà anni 1670, State Hermitage Museum, St. Petersburg

Luca Giordano (1632, Napoli – 1705, Napoli) “Cristo scaccia i mercanti dal tempio”, metà anni 1670, State Hermitage Museum, St. Petersburg

Devo dire che il senso di indignazione che ho continuato ad avere per tutta la giornata mi ha fatto capire meglio il gesto di Gesù quando scaccia i mercanti dal tempio. La sua non era ira, è stata indignazione per l’offesa al Padre di quei mercanti con la loro mancanza di rispetto per il luogo dove si trovavano. La mancanza di rispetto è sempre una violenza per chi la subisce e quando è mancanza di rispetto verso Dio diventa sempre bestemmia, blasfemia.
Quella violenza verso Dio è stata però violenza anche verso di noi, esseri umani assolutamente normali, non pazzi bigotti e retrogradi oscurantisti, intenti in una sorta di rito magico, pertanto degni di essere offesi in quel modo. Al contrario uomini e donne raccolti in un attimo di trascendenza, un tentativo di trascendenza. Nel silenzio senza nessuna pomposa cerimonia – era la messa mattutina quella della sera avrebbe visto la partecipazione del vescovo e di buona parte del clero diocesano – eravamo senza difese come quell’ostia, pane di vita, che quotidianamente si dona, dona il suo corpo in sacrificio per noi.
Pensandoci bene cosa c’è di più vile e di più codardo che usare violenza ad un indifeso, un mite, un “agnello”? Questo è l’uomo quando diventa bestia anzi quando affida il suo essere alla parte bestiale che è dentro si se. Quel ragazzino vive di questa bestialità ne ha fatto il suo vessillo, la sua identità, sino al punto di trovare logico, anzi divertente, violentare un “agnello”. Scrivo ora queste righe a causa di quel avvenimento ma, francamente, è da tempo che penso che tutti noi, immersi in questa civiltà occidentale edonista ed egoista, cultori della falsa libertà prosperata proprio nell’egoismo, abbiamo superato un limite dal quale sarà difficile tornare indietro. Siamo nel pieno del deserto dei valori convinti di essere liberi senza renderci conto che siamo solo circondati dal vuoto. Prigionieri di quella falsa libertà che ispira violenza, perché esercitata solo per affermare se stessi. La falsa libertà che spaccia la blasfemia per libertà d’espressione …Parigi docet.

…un bignè? no grazie preferisco un compromesso

La vera minaccia per il cristianesimo non sono gli atei ma i “cristiani da pasticceria”

La vera minaccia per il cristianesimo non sono gli atei ma i “cristiani da pasticceria”

La verità è che abbiamo seminato vento e ora ci torna indietro la tempesta, abbiamo lasciato l’iniziativa a quello spirito del mondo di cui ho parlato nel mio precedente articolo (sanguis-christi-inebria-me). Abbiamo disertato i nostri impegni battesimali, permettendo che la battaglia tra lo spirito del mondo e lo spirito di Dio avvenisse senza di noi. Abbiamo considerato superfluo impegnarci, siamo diventati tutti “cristiani da pasticceria”. Capaci di condannare chi legge La Repubblica sorvolando, invece, sui compromessi che quotidianamente accettiamo. Nietzsche scrisse: “Dio è morto, l’ha ucciso l’uomo” io aggiungo “anche il cristianesimo è morto l’hanno ucciso i cristiani”.
Quel ragazzino tracotante che ha esibito la sua libertà d’espressione è il prodotto di una civiltà ormai alla decadenza, anzi, decomposta. Non è certo il cristianesimo in decadenza ma è questa parodia di civiltà cristiana, che di cristiano non ha più nulla, costruita inseguendo le “sirene” del benessere ad ogni costo, ossia l’idolo, il vitello d’oro intorno al quale balla la sua danza di morte. Lo ha spiegato magistralmente il nostro direttore, nonché amico, Antonio Margheriti Mastino, in un articolo (Sic transeunt desideria mundi). Con l’Illuminismo siamo passati da Dio a io e con il benessere siamo passati da io a mio. Abbiamo smesso di essere nel mondo, con una testimonianza cristiana credibile, per diventare del mondo, con una parodia di cristianesimo che ha prodotto una pessima testimonianza. Spero sappiate qual è la radice della parola testimone? …è: Μαρτυρεί = marturei… a cosa somiglia questo fonema? Altro che martiri, il nostro è il cristianesimo del benessere, con tanti saluti alla croce.
Con l’egoismo del “mio”, abbiamo concesso all’odio, caratteristica peculiare del demonio, di vincere sull’amore, caratteristica intrinseca di Dio. Permettendo a quest’odio di usarci, di manipolarci, di insinuarsi dentro di noi, come un veleno, una droga che lentamente ma sempre più profondamente ci ha anestetizzato sino al punto di considerare qualsiasi compromesso accettabile. Sapete cosa mi ha detto una signora che era lì in chiesa con me dopo quell’orribile violenza, quando ha visto che volevo intervenire: “…lo lasci, poverino, avrà avuto una giornata pesante con i professori”. Abbiamo ingoiato, accondiscendenti, tutto quello che il mondo ci ha proposto: divorzio, aborto, eutanasia, concubinato, pornografia, sodomia, pedofilia, gender, commercio di “carne” umana, manipolazione genetica, laicismo, relativismo, sincretismo religioso, cultura dello scarto e chi più ne ha più ne metta. Dopo avere combattuto l’ateismo del comunismo ci siamo accomodati nell’ateismo del consumismo. Badate bene tutto questo vale anche per molti ecclesiastici che hanno ridotto la chiesa cattolica ad uno strumento per l’affermazione personale perdendo completamente di vista il mandato di Gesù.

Prima che il tempo finisca

“La lotta alla mafia (…) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.” (Paolo Borsellino 23 giugno 1992 –  parrocchia di S. Ernesto – Palermo)

“La lotta alla mafia (…) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.” (Paolo Borsellino 23 giugno 1992 – parrocchia di S. Ernesto – Palermo)

Concludo con un invito pressante a tutti noi, per primo a me stesso. Svegliamoci da questa anestesia che ci impedisce di sentire il “puzzo del compromesso”, come definì il giudice Borsellino la connivenza tra società civile e mafia. Quel puzzo che emana dalla connivenza tra la nostra società pseudo-cristiana e lo spirito del mondo, perché il tempo prima o poi scadrà.
Molti pensano che ci sia un collegamento tra le apparizioni della Madonna a Fatima e i cento anni predetti come periodo nel quale il demonio sarebbe stato libero di scorrazzare in lungo e in largo, perché libero dalle catene, prima del giudizio finale. Essendo le apparizioni di Fatima del 1917 questo periodo di “libertà” dovrebbe finire nel 2017 con il ritorno di Gesù Cristo glorioso sulle nuvole. Ora non so se questo ritorno avverrà veramente nel 2017, che avverrà non ho dubbi, quando non lo so ma a giudicare da ciò che avviene nel mondo direi che il tempo sembra essere maturo per cadere dall’albero.
D’altronde anche il tempo è una creatura, ha avuto un inizio e avrà una fine, è stato creato. Dio non ha tempo, non è tempo, è il creatore del tempo, pertanto l’ultima parola spetterà comunque a Lui. La cosa importante è arrivare preparati a quel momento e non anestetizzati, per non ritrovarsi come quei dannati, dai quali siamo partiti, che: “Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme di lor semenza e di lor nascimenti” (Inferno III).

Eurabia, anzi no: Euratea. Gli Evirati Arabi di Francia

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Dopo gli attentati di Parigi il futuro d’Europa fra Gog e Magog: il relativismo laicista e il fanatismo religioso. Michel Houellebecq: la castrazione laicista introduce al dilagare dell’estremismo islamico

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Marco-Sambrunadi Marco Sambruna

La recente tragedia di Parigi apre nuovi scenari in Europa e illumina i legami ormai evidenti fra il fondamentale ateismo laicista e il dilagare dell’estremismo religioso.

Quando accade qualcosa di imprevisto si è soliti dire che gli episodi della storia sono imprevedibili: chi avrebbe mai immaginato un’Europa corrosa dall’ateismo e incapace di fronteggiare il dilagare islamico? Eppure l’inaudito è successo: l’Europa cristiana è forse al capolinea.

Michel Houellebecq in “Sottomissione” ha avuto il coraggio di vedere e descrivere una realtà che in molti, troppi, anche fra i cattolici hanno colpevolmente voluto ignorare. Il genere del romanzo è solo apparentemente fantateologico: il clima psicologico e umano descritto appare corrispondere perfettamente al momento presente mentre si profila la minaccia di un futuro governo islamico nel cuore d’Europa.

Narcosi laicista

In una Francia scialba e grigia come il democratismo politicamente corretto che ne domina la vita politica e mortalmente noiosa a causa del relativismo etico privo di emotività, anaffettivo e francamente deprimente che ne domina la quotidianità,  François, l’autore della cronaca che ci apprestiamo a leggere, presenta se stesso: un professore universitario in materie letterarie presso l’università Sorbona di Parigi e uno dei massimi esperti mondiali di Joris Karl Huysmans, vale a dire il padre del decadentismo europeo e noto a livello biografico per la conversione al cattolicesimo.

François è un uomo che sembra annoiarsi terribilmente: l’unico motivo di euforia peraltro effimera che riesce a scuoterlo dal torpore esistenziale costellato da stanche abitudini e da una quotidianità in cui si sperimentano sempre le stesse futili cose, è l’attività sessuale. L’ultraquarantenne François conquista a ogni inizio anno accademico una delle studentesse del primo anno da cui viene lasciato o lascia egli stesso regolarmente al termine dei corsi. L’unico rapporto veramente duraturo e autenticamente vitale a differenza di tutti gli altri predestinati a finire, è quello con Myriam, una ragazza ebrea poco più che ventenne.

Emotività post atomica

Michel Houellebecq

Michel Houellebecq

Houellebecq è scaltro: con “Sottomissione” allude a qualcosa di estremamente importante che tuttavia evita di esprimere chiaramente. Il suo realismo esistenziale del resto è perfettamente verificabile da chiunque abiti in una realtà urbana secolarizzata in cui vige la dittatura invisibile di un clima psicologico da panorama emozionale post atomico.

La nuova religione laicista ha maldestramente sostituito le spinte verticali in una scimmiesca parodia del sacro e del cristianesimo che consiste nell’indicare nell’umanità come entità collettiva il fine dell’uomo in una deludentissima imitazione della trascendenza: questo processo di sostituzione ha generato una delusione così cocente da non essere nemmeno percepita a livello di coscienza, perché, sembra suggerire Houellebecq, non solo le cose infinitamente piccole, ma anche quelle infinitamente immani sono inavvertite sia ai sensi carnali che a quelli spirituali. E’ la sindrome da cecità accusata da certi reduci del Vietnam: una cecità psichica autoindotta per non vedere più non solo gli orrori della guerra, ma anche e soprattutto quelli della realtà umana.

Houellebecq nel personaggio di Francois rappresenta perfettamente questo panorama psichico uniforme e omologato al pensiero dominante caratterizzato da un tono emotivo medio da encefalogramma piatto che solo qualche episodio sessuale o un evento di portata epocale come la minaccia del trionfo islamico alle elezioni francesi può rianimare.

La svolta

SottomissioneIn questo contesto fatto di performance sessuali minutamente descritte con meretrici di varia estrazione sociale e razziale, di corsi universitari seguiti da gruppi di studenti stanchi e svaccati, di solitudine esistenziale oltre che metafisica che si dipana in opachi e silenziosi appartamenti parigini in cui domina la religione della tutela di spocchiose e insignificanti privacy, finalmente accade un evento imprevisto ad agitare l’aria stagnante e ammuffita di vite prive di slancio verticale: le elezioni presidenziali francesi infatti, da sempre caratterizzate dall’alternanza fra centro destra e socialisti sono scosse dall’ascesa vertiginosa della Fratellanza Islamica, un partito musulmano il cui leader, Mohammed Ben Abbes, supera di pochi decimi percentuali il candidato socialista e partecipa così al ballottaggio per l’elezione presidenziale col candidato del Fronte Nazionale, Marine le Pen.

L’esito del ballottaggio è scontato: il Fronte Nazionale ha un vantaggio enorme sulla Fratellanza Islamica, ma un secondo evento imprevisto apre scenari epocali.. Infatti il partito socialista e quello di centro destra formano un’Alleanza Repubblicana in appoggio al partito di Ben Abbes e indicano ai propri elettori di far convergere i loro voti sulla Fratellanza Islamica al fine di impedire la vittoria dei fascisti, giacobini neri, e identitari razzisti del Fronte Nazionale.

François segue col cuore in gola le vicende elettorali agitato prima dal vago sentore di un pericolo imminente, poi dallo shock procurato dalla certezza che con la vittoria islamica si chiude un’epoca, infine dalla partenza di Myriam per Israele al fine di sottrarsi alle probabili  discriminazioni che gli ebrei dovranno subire a causa del nuovo regime.

L’inaudito accade: Ben Abbes vince le elezioni, diventa presidente della Repubblica francese e forma una coalizione di governo guidata dalla Fratellanza Islamica col concorso di socialisti e gaullisti.

Ipnosi terapeutica    

Non è possibile sottrarsi alla storia per isolarsi in un’ibrida dimensione intima in cui gli avvenimenti esterni giungono opachi e ovattati:  separare la storia dalle vicende individuali, suggerisce Houellebecq, significa votarsi a quell’autismo emotivo che introduce al suicidio.

La crisi che investe François invece ha valore salvifico perché ne determina lo sblocco e la rigenerazione psicologica: l’emotività congelata da decenni dal piattume di stanche e reiterate abitudini si risveglia, ma al protagonista sarà negata anche la minima consolazione che scaturisce dal sapere che il proprio disagio è condiviso da molti nella stessa condizione: quando cerca il confronto con colleghi universitari o conoscenti a proposito del regime islamico che governerà la Francia anziché preoccupazione, rabbia, scoramento, inquietudine, desiderio di reagire riscontra l’indifferenza.

Un’ indifferenza apatica che nasce dai penosi tentativi di autoipnosi terapeutica tramite cui ci si affanna a valutare la situazione tutto sommato “normale” e considerare che, in definitiva, i valori repubblicani nati dalla rivoluzione francese sono conciliabili con la sharia islamica.

Perché  l’islam  vince

A-jalalabad-photo-Shah-Marai9_FotorComincia la seconda parte del libro che finalmente decolla depurato dalle insistenze guardone  incentrate sui dettagli della vita sessuale dell’esimio professore universitario.

Houellebecq evidentemente nella prima parte del romanzo ha dovuto operare una scelta difficile in cui qualcosa doveva essere necessariamente sacrificato: o mirava al successo commerciale anche a costo di apparire uno scrittore mediocre alla Dan Brown oppure dava libero corso al suo talento anche a costo di prestarsi all’accusa di fare del noioso passatismo introspettivo.

Lui, da persona intelligente, ha scelto di soddisfare le esigenze commerciali nella prima parte e quelle letterarie e ideologiche nella seconda dove il suo tono caustico, carognesco, impietoso, due volte politicamente scorretto in quanto sia antislamico che antigallico emerge con sempre maggior evidenza col progredire del romanzo.

Il partito di Ben Abbes si dimostra, almeno inizialmente, moderato: è intransigente solo sui temi che riguardano l’educazione di bambini e giovani avocando a se il ministero dell’istruzione perché, come considera lo stesso François, chi controlla i giovani, controlla il futuro. Università e scuole sono islamizzate, il parlamento legifera norme che consentono la poligamia, le donne sono invitate a lasciare i posti di lavoro provocando l’azzeramento della disoccupazione maschile.

In questo contesto Houellebecq affida a un lungo dialogo fra il protagonista Francois e il nuovo Rettore dell’università Sorbona III, l’ex socialista liberal Robert Rediger convertitosi all’islam dopo la vittoria di Ben Asseb, la spiegazione dei motivi del dilagare islamico.

Rediger spiega le ragioni per cui l’islam è destinato all’ascesa mentre il cristianesimo è votato al declino. Il primo motivo riguarda il carattere antropologico dell’islam che è religione prettamente maschile o meglio ancora “machista”: la maggior parte degli islamici sono giovani sotto i 30 anni, ricchi di energie vitali e sospinti da desideri di rivalsa verso l’occidente. In altre parole sono forti, giovani, motivati di contro a un cristianesimo che, come sosteneva Nietzsche, è religione fondamentalmente “femminile” che si rivolge principalmente ai deboli, agli inermi, agli emarginati ossia a quelle categorie di persone che stante la loro infelice realtà trovano consolazione in una religione che predica la sopportazione a oltranza in attesa del premio eterno.

Il secondo motivo, continua il Rettore, riguarda l’”eugenetica naturale” all’opera nell’islam grazie alla poligamia. Solo gli islamici più facoltosi possono permettersi la poligamia fino a un massimo di quattro mogli. Tuttavia nella mentalità islamica chi è riuscito a raggiungere una posizione socio – economica di rilievo dimostra anche di essere dotato di maggior intelligenza.

La trasmissione ereditaria di tale intelligenza superiore alla media a una prole quanto più possibile numerosa quindi deve essere agevolata tramite lo strumento della poligamia da cui invece sono esclusi gli strati più umili della popolazione.

In una dinamica di scontro religioso per la sopravvivenza materiale è chiaro dunque, conclude Rediger, che l’islam non può che riuscire vincente.

Fantapolitica? Ma mica tanto

sottomissione21Houellebecq pone in discussione troppe presunte certezze radicate in occidente circa l’islam.

Lo scenario fantapolitico che immagina la conquista del potere in un paese europeo da parte di un partito islamico è un eccellente idea letteraria e un’ ipotesi storica per adesso prematura.

Ma se è inimmaginabile per ora un partito islamico al potere in un paese europeo é invece totalmente verosimile e anzi già inverata l’ipotesi che in Europa nascano dei partiti islamici.

Esistono già in Francia, Belgio, Spagna e sono in fase di costituzione in Gran Bretagna, Svizzera, Italia. Si tratta di formazioni minuscole quanto a numero di aderenti, ma con un trend in costante crescita mentre i partiti dichiaratamente cristiani tendono ormai a scomparire dalla scena politica.

Si tratta di realtà che in un sistema elettorale maggioritario sono escluse da qualsiasi responsabilità di governo, ma che in un sistema proporzionale, come immagina Houellebecq, possono partecipare a una coalizione destinata alla guida di un paese.

Ovviamente tutte queste formazioni partitiche dichiaratamente islamiche o di ispirazione islamica si smarcano dal fondamentalismo e ancor più da qualsiasi accondiscendenza verso i gruppi integralisti.

Houellebecq in “Sottomissione” sembra confermare la vecchia e controversa idea, divulgata dall’intellettualità colta liberale e socialista, che un’ ampia parte del mondo  islamico sia moderato, lontano dal radicalismo e che con esso sia possibile dialogare. Resta il dubbio se l’autore francese già processato e poi assolto per presunta islamofobia non abbia voluto trasmettere più di quanto abbia scritto esplicitamente.

Fondamentalismo e integralismo

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Sottomettere gli evirati di Francia

L’islam di Ben Abbes non è violento, anzi sembra avere accettato le regole della dialettica democratica occidentale anche perché costretto a governare in coabitazione con due partiti laici.

Tuttavia i dati di realtà che disegnano il profilo del mondo islamico sono contradditori a causa soprattutto della confusione riguardo i concetti di fondamentalismo e integralismo.

Essere fondamentalisti significa vivere radicalmente i precetti della propria religione, essere integralisti significa esigere che tali precetti siano vissuti anche dagli altri: si può quindi parlare di radicalismo o totalitarismo solo quando i due elementi, fondamentalismo e integralismo, convivono presso lo stesso gruppo.

Alcune informazioni provenienti dal mondo islamico non possono che inquietare perché indicano la presenza certa del radicalismo: l’emittente televisiva Al Jazeera in un suo recente sondaggio rivolto a un campione di circa 38.000 islamici sunniti ha posto la seguente domanda: “Sostieni le vittorie dello Stato islamico in Iraq e Siria?”. La risposta nell’81% dei casi è stata affermativa.[1] Può essere che l’indagine statistica dell’emittente del Qatar non sia probante dal punto di vista scientifico e tuttavia ignorarla negandone ogni validità significa preferire illudersi riguardo l’esistenza di un islam accondiscendente verso le altre religioni piuttosto che adeguarsi alla cruda realtà di un islam che per sua natura accondiscendente non può essere.

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Il politicamente corretto come desiderio di morte

Il sondaggio di Al Jazeera dimostra che non è possibile separare il totalitarismo dottrinario e politico dell’islam dai sentimenti religiosi degli islamici: in altre parole, contrariamente a quanto accade nel cattolicesimo, è illusorio credere che una parte significativa degli islamici sono tali di nome, ma non di fatto, confidando che il processo di secolarizzazione li abbia resi più tolleranti e meno intransigenti pur permanendo un certo rigore teologico.

Se consideriamo l’introduzione della sharia cioè la legge islamica nell’ordinamento giuridico dello Stato quale discrimine fra fondamentalismo e radicalismo il quadro si complica: la mancata introduzione della sharia indica la prospettiva di un islam fondamentalista, ma non integralista e quindi in definitiva non radicale o, se si preferisce, tollerante: quando il partito dei  Fratelli Musulmani ha preso il potere in Egitto e ha preteso di imporre la sharia, una parte significativo del popolo egiziano si è ribellato fino alla destituzione del leader islamico Mohammed Morsi.

E tuttavia anche laddove l’islam fondamentalista non è integralista in modo esplicitamente violento talvolta è discriminatorio: lo dimostra l’introduzione della jizya  cioè la tassa che lo Stato islamico pretende dai non musulmani.

In Tunisia la nuova costituzione non prevede la sharia; prima della “primavera araba” che come constatiamo si è rivelata invece essere un catastrofico inverno, in Libano, Iraq e Siria cristiani e islamici convivevano pacificamente. L’impressione generale è che esista fra gli islamici una sorta di “maggioranza silenziosa” comunque fondamentalista, ma aliena da radicalismi integralisti esplicitamente violenti costretta però a tacere di fronte alle intemperanze di una “minoranza chiassosa”.

E il dialogo?

La domanda circa la possibilità o meno di un dialogo interreligioso non deve dimenticare che l’islam se non è necessariamente integralista è quasi sempre fondamentalista, caratteristica questa che esclude la possibilità di qualsiasi intesa ecumenica sul piano dottrinario. Se dialogo ecumenico significa infatti impegno dei due interlocutori a rinunciare al massimalismo teologico in vista di un accordo sulle questioni che accomunano anziché dividere questo sforzo sarà nella maggior parte dei casi votato al fallimento.

L’islam esige che il credente viva i precetti islamici in modo fondamentale così come lo pretendono le correnti protestanti evangeliche più tradizionaliste del cristianesimo, anche se non sempre esige  che tali precetti siano vincolanti e impegnativi per tutti, islamico o meno (integralismo).

E tuttavia Houellebecq lascia soggiacente un interrogativo inespresso riguardo i rapporti fra islam e istituzioni politiche occidentali. In altri termini si chiede se in una relazione di questo tipo è più probabile sia l’islam a influire sulle istituzioni e sulla visione del mondo occidentali o viceversa.

La sua conclusione è che il relativismo laicista sia propedeutico all’avvento di un regime islamico: non due partiti avversi dunque, ma consequenziali.

La castrazione laicista

michel houellebecq

michel houellebecq

Il vero problema è quello che potremmo definire come “castrazione laicista” cioè, sul piano esistenziale, uno spazio vuoto privo di punti di riferimento che non attende altro che di essere riempito da qualsiasi cosa in grado di indicare una meta qualsiasi.

Purché, beninteso, questo qualcosa sia abbastanza duro ed esigente da fissare delle regole inderogabili che saturino la cavità vuota scavata dalla disperazione di chi non sa più cosa fare di se stesso.

Il laicismo militante altro non è se non che la forma del nichilismo contemporaneo che, come indica l’etimologia stessa del termina “nichilismo” (nihil = nulla) non consiste in qualcosa, ma non consiste in nulla, anzi, per meglio dire, non consiste affatto.

Il nichilismo laicista si orienta al nulla perché è figlio del nulla e tende quindi a tornare al proprio luogo di origine annullando se stesso.

Per questo il laicismo nichilista è incompatibile con la democrazia: la democrazia infatti esige di essere alimentata da linfa vitale, dialettica delle idee, passione per le società umane. Al contrario è compatibilissimo coi totalitarismi perché tendendo al nulla abdica al demiurgo totalitario dominante la struttura dell’essere, cioè la visione dell’uomo e del mondo che esso, il nichilismo laicista risucchiato nel nulla, non può per sua natura né immaginare, né concepire.

L’islam ha comunque uno spessore perché infine è qualcosa, esiste ed è vitale: può in questa fase concepire, ideare, realizzare. In una parola può colmare il nulla che, in quanto tale, nemmeno può opporre una debole resistenza.

Ecco allora che la “Sottomissione” cui allude Houellebecq assume la sua piena fisionomia: l’obbedienza tremebonda a una struttura totalitaria capace di quell’immaginazione e progettualità di cui il nichilismo laicista è completamente privo.

Il che significa che, in ordine storico – cronologico, l’evento scatenante causa dell’abbandono delle radici cristiane d’Europa non è l’islam, ma il laicismo militante nullificante che narcotizzando lo spirito gli inocula una voluttà di morte suicida . Il totalitarismo religioso allora non è altro che lo strumento scelto per porre in essere quel suicidio

Finite le canzonette atee che celebrano il nulla, finiti i simboli pacifisti che evocano il nulla, esauriti gli appigli evanescenti del politicamente corretto un mondo finisce tornando al nulla da cui è scaturito. E nemmeno, parafrasando Thomas Eliot, con uno schianto virile, ma con un irritante piagnisteo.

[1]   http://www.lastampa.it/2015/05/27/esteri/sondaggio-choc-su-al-jazeera-l-per-cento-degli-arabi-per-lisis-EDa7QClFwIrL5VtDtbBpnI/pagina.html?zanpid=2050574154914411520

Il prete non deve puzzare di pecore, ma profumare: di Cristo

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Il prete non deve puzzare di pecora, ma deve portare alle pecore il buon profumo di Cristo. Deve essere quel pezzo di cielo che testimonia la presenza divina e ne indica la purezza ed eternità, verso la quale tutti i credenti sono chiamati.  Se un sacerdote puzza di pecora significa che fa le stesse cose delle pecore, ma a questo punto, i fedeli, invece di vedere nel prete un richiamo alla legge di Dio, vedono qualcuno che si confonde con loro ma che pretende rappresentare Gesù Cristo e il suo insegnamento. Il risultato sarà che i fedeli inseguiranno il prete non per avere la remissione dei peccati a seguito della conversione e della contrizione, ma una sorta di giustificazione al peccato, per poi rifiutarlo come inutile orpello, perché, tanto, ognuno può continuare a fare quel che gli pare. E, così, ci si è giocato quell’ “in remissione dei peccati” che è il fine dei fini della vita e della missione sacerdotali.

Appunti sull’esperienza della formazione al sacerdozio cattolico

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padre francesco solazzo passionistadi P. Francesco Solazzo, passionista

Nel celebrare i 50 anni della promulgazione dei documenti conciliari Presbyterorum Ordinis e Optatam Totius, il Papa ha pronunciato un discorso sulla formazione al sacerdozio dei seminaristi. In questo discorso il Papa ha iniziato la sua riflessione da una frase della Presbyterorum Ordinis, al n. 3 in cui si dice che i sacerdoti sono uomini « presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati, vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli ». Ed ha considerato « questi tre momenti: “presi fra gli uomini”, “costituiti in favore degli uomini”, presenti “in mezzo agli altri uomini” » per muovere una critica ai criteri di ammissione dei seminaristi all’Ordine sacro.

Rimproverare di continuo non serve

Fa bene a tener alta l’attenzione, però come ogni educatore sa, incentrare la formazione sul rimprovero e sul continuo richiamo significa fare in modo che, in breve, tutto ciò che il formatore dirà entrerà da un orecchio dell’educando ed uscirà dall’altro: è fisiologico che succeda, non può essere diversamente! Ed infatti questo discorso del Papa non lo avrei notato se qualcun altro non mi ci avesse richiamato l’attenzione.

Leggendo attentamente gli spezzoni della frase scelta, si noterà come tutti contengano la parola “uomini”; infatti, l’intero discorso del Papa si incentra sulle caratteristiche dei candidati. Per carità: è giusto che sia così! Cioè che parli delle qualità umane. Anche. Ma, dato il tema toccato, ossia il sacerdozio cattolico, ci si aspetterebbe che parlasse anche riguardo le altre parole contenute nella frase citata, cioè quando dice « nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati ». Queste parole, infatti, si riferiscono al fine per il quale è stato istituito il sacerdozio. Se consideriamo poi che il sacerdozio è stato istituito da Gesù, ancor di più ci si attende che il suo Vicario ne parli diffusamente. Nella mia insignificanza, dunque, cercherò io di trattare dell’argomento.

Il primo seminario è la famiglia

12112344_1197455573614168_8837092535168931831_nLa vocazione al sacerdozio nasce, nella maggior parte dei casi, in famiglia. È lì che si respira il clima di fede che avvicina al Signore e rende pronti ad ascoltarne la voce. Per seguire la propria vocazione, però, bisogna uscire dalla famiglia e dalla casa in cui si è cresciuti; bisogna abitare una nuova casa (che sia il seminario della Diocesi o il convento di un istituto religioso), farsi guidare da persone che non sono più i propri genitori; bisogna imparare il modo specifico in cui il sacerdote è chiamato a donarsi agli altri e, infine, imparare come continuare ad essere un sacerdote una volta che questo periodo di formazione è finito.

Abbiamo già ricordato come i sacerdoti siano uomini « presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio ». Nel seminario, o nella casa di formazione di un istituto, ciò che si impara, dunque, sono “le cose che si riferiscono a Dio”, perché sono il contenuto immediato della formazione, ciò che un giorno costituirà il “pane quotidiano” del prete, il suo lavoro e la sua missione.

Dimitte nobis debita nostra

430949_4552011670616_1432000188_nPoi c’è un contenuto meno immediato e di più ampio orizzonte e che costituisce il fine per il quale il sacerdozio è istituito che, nel documento conciliare, è espresso da quel “per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati”. Nella celebrazione eucaristica l’offerta dei doni è manifestata dall’offertorio, mentre con la frazione durante l’Agnus Dei il sacerdote rinnova il sacrificio di Cristo sulla Croce. E come all’interno della Messa il sacerdote agisce come alter Christus, così anche al di fuori della celebrazione egli è chiamato ad agire come alter Christus, ma qui non più in modo rituale, bensì con tutta la propria vita in cui, momento per momento, egli è chiamato ad offrire tutto quanto possiede di suo (cuore, mente, corpo) come un dono a Dio per i fratelli, ad imitazione di come fece Cristo durante tutta la sua vita sulla terra.

La P.O. continua dicendo “in remissione dei peccati”: qui sta il fine dei fini della vita e della missione sacerdotali. L’uomo è ineluttabilmente segnato dal peccato che è più forte di lui, ma non più forte di Dio. Per questo ogni offerta e ogni sacrificio non avviene se non “pro innumerabilibus peccatis, et offensionibus, et negligentiis meis, et pro omnibus circumstantibus, […]: ut mihi, et illis proficiat ad salutem in vitam aeternam” (per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie e di tutti i presenti… affinché per me e per loro sia di giovamento per la salvezza nella vita eterna). Le parole del sùcipe dell’offertorio della Messa tridentina esprimono alla perfezione tutto il senso del sacerdozio cattolico. Peccato che siano sparite dal messale attuale!

Separato da tutti per essere più unito a tutto

1620962_10202786915894895_865476728_nQuesta assoluta particolarità del sacerdozio cattolico fa sì che il ministro chiamato debba vivere, giocoforza, una separazione dal resto del popolo di Dio; separazione che non significa affatto lontananza, ma, anzi, essa ne esalta la vicinanza e, al contempo, manifesta anche la separazione e la prossimità di Dio. Per comprendere questo passaggio potremo far riferimento alla preghiera insegnata da Gesù. Questi chiama Dio “Padre nostro che sei nei cieli”: ora, il cielo indica una separazione, perché ciò che è assolutamente puro ed eterno è necessariamente separato da ciò che è segnato dal peccato e dalla morte. Nello stesso tempo, però, il cielo sta sempre sopra di noi e basta alzare lo sguardo per vederlo, quindi indica la costante prossimità di Dio all’uomo e alla sua storia.

Nella formazione sacerdotale, quindi, il candidato, mentre è chiamato sempre alla gratitudine verso chi gli ha donato la vita e la fede, nel tempo stesso è chiamato a staccarsene definitivamente, poiché quella stessa famiglia e quello stesso ambiente che lo ha generato fanno parte di quel mondo che da sacerdote avrà il dovere di evangelizzare e salvare mediante il Sacrificio di Cristo e il sacrificio suo. Solo questa separazione consentirà al sacerdote di essere autenticamente “in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio”.

Il seminarista, dunque, deve tagliare il cordone ombelicale, e non solo, abbiamo visto, per un fatto di mera maturità umana, ma per una intrinseca necessità del ministero sacerdotale cui è chiamato. Ecco perché nel titolo ho richiamato le parole del Salmo 45,11b-12: «dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui». Sembra un paradosso: perché Dio si ricordi del popolo deve essere il sacerdote a dimenticarsene, perché a Dio sia gradito il popolo deve essere il sacerdote a piacere a Dio! Il sacerdote, dunque, con la sua sola presenza, deve testimoniare la signorìa di Dio, dinanzi alla quale egli è il primo dei fratelli a prostrarsi.

Più che puzzare di pecora, profumare di Cristo

1484235_1405602676350434_1605204914_nI sacerdoti, continua successivamente la P.O., “vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli”. A questo punto, però, abbiamo già visto che il suo modo di stare fra gli uomini è quello del separato dagli uomini e non confondersi con essi. Per usare un’immagine molto in voga, il prete non deve puzzare di pecora, ma deve portare alle pecore il buon profumo di Cristo. Deve essere quel pezzo di cielo che testimonia la presenza divina e ne indica la purezza ed eternità, verso la quale tutti i credenti sono chiamati.

Se un sacerdote puzza di pecora significa che fa le stesse cose delle pecore, ma a questo punto, i fedeli, invece di vedere nel prete un richiamo alla legge di Dio, vedono qualcuno che si confonde con loro ma che pretende rappresentare Gesù Cristo e il suo insegnamento. Il risultato sarà che i fedeli inseguiranno il prete non per avere la remissione dei peccati a seguito della conversione e della contrizione, ma una sorta di giustificazione al peccato, per poi rifiutarlo come inutile orpello, perché, tanto, ognuno può continuare a fare quel che gli pare. E, così, ci si è giocato quell’ “in remissione dei peccati” che è, come abbiamo ricordato più sopra, il fine dei fini della vita e della missione sacerdotali.

Tutte le vocazioni sono “malate”

Un’ultima cosa vorrei dire: guardando alla concreta realtà dei seminari e di tutte le case di formazione, dobbiamo prendere atto come in effetti essi siano una “calamita per psicopatici” [così il papa, recentemente ha detto, in un discorso ndr], da un versante, e smidollati, dall’altro. Da parte mia, però io tengo anche presente quel che diceva il mio maestro di noviziato: che tutte le vocazioni sono “malate”. Con quel “malate” intendeva dire che c’era sempre qualcosa che non andava, qualcosa da sistemare nel formando. In fondo nessuno intraprende un cammino di discernimento vocazionale se non è certo che ogni chiamata viene da Dio. Perché la stessa vocazione, qualunque essa sia, è il modo in cui Dio ti offre la salvezza, la guarigione da te stesso e da ciò che ti separa da Lui.

Teniamo bene a mente, infatti, che i primi peccati da rimettere sono quelli di noi preti che viviamo come peccatori fra i peccatori. Chi ama veramente vorrebbe la persona amata perfetta, non per sé, ma per il bene dell’amato stesso; infatti Dio, che ci ama in modo perfetto, per noi vuole l’assoluta purezza (i puri di cuore, infatti, vedranno Dio). Così il sacerdote che arderà d’amore per i fratelli riuscirà ad essere misericordioso con gli altri quanto più sarà intransigente con se stesso, perché l’amore ti porta a caricare sul tuo spirito le colpe dei fratelli, a imitazione di ciò che fece Cristo caricandosi della Croce. Questa è la lezione dei grandi santi del confessionale, come, per esempio, furono S. Pio da Pietrelcina e S. Leopoldo Mandich o il Fondatore di noi Passionisti S. Paolo della Croce.

La donna prodigio di Dio: Ildegarda di Bingen

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Ai prelati che dovrebbero governare la Chiesa rimprovera la loro indolenza: «Nella vostra bocca non risuona la voce della tromba di Dio, voi che non amate la santa intelligenza… Dovreste meditare attentamente la giustizia di Dio… mostrandola al popolo al momento opportuno… Vi rintanate come serpi ignude nelle loro tane… Perdete tempo in cose da nulla… Quanta perfidia e odio quando l’uomo non vuole volgersi verso il bene, né per Dio né per gli uomini, ma ricerca gli onori senza fatica e le ricompense eterne senza sforzo! Siete ciechi, poiché le vostre opere non risplendono davanti agli uomini del fuoco dello Spirito Santo!… Tutta la Sapienza che avete scrutato nelle Scritture è stata inghiottita dal pozzo delle vostre voglie! Tutto ciò che sapete, che avete provato e sentito, lo seppellite nella soddisfazione delle vostre brame, e ingrassate la carne come bambini che non sanno quello che fanno! Dovreste essere luce e invece siete tenebra!»

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11204883_10206198601355729_7931821856030378010_ndi Dorotea Lancellotti

Comincia sempre così, col Mastino, uno scambio di idee, un chiarimento, una condivisione tra vecchi amici, poi ci si concentra sui lavori da fare: “vedi che devi scrivere qualcosa”. Ed io: “mah veramente io non scrivo, però a domanda rispondo”.

E così, er Mastino, mi dice che a dirla tutta sa cosa vuole chiedermi: un bell’articolo di approfondimento su Ildegarda da Bingen “perché mi interessa leggerne gratis, e ciò che interessa a me interessa.. ai lettori”. E giù una valanga di domande, mi ha preso in parola! Parlare di Ildegarda santa e Dottore della Chiesa non è cosa semplice anche perché, lo confesso, mi appassionai alla sua storia dopo la scelta di Benedetto XVI di confermarne la santità (mai ufficialmente ratificata, ma tale per “acclarata fama”) e dichiararla maestra magna per la Chiesa intera. Gli interventi di Benedetto su questa figura di Donna e il fatto anche che si tratta di una donna, hanno fatto il resto spingendomi così ad approfondire la sua storia,  affascinante e assolutamente sui generis.

Religiosa, mistica, veggente, erborista,  alchimista, naturalista, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista e compositrice, filosofa, linguista, cosmologa, guaritrice, consigliera politica e profetessa. Santa e dottore della Chiesa infine. Com’è possibile che una donna di quell’epoca, e cioè di un millennio fa, abbia raggiunto una tale pienezza di sapere complesso, iniziata com’era a ogni scienza arcana e conoscenza umana?

St. Hildegard of BIngen is depicted on a gilded altarpiece inside the Rochuskapelle, a pilgrim church dedicated to St. Roch in the town of Bingen am Rhein, Germany. Pope Benedict XVI signed a decree May 10 that formalized her Sept. 17 feast and added her name to the church's catalogue of saints. The German Benedictine mystic, although venerated for centuries, had never been officially canonized. (CNS photo/courtesy of KNA) (May 11, 2012) See POPE-SAINTS May 10, 2012.

St. Hildegard of Bingen is depicted on a gilded altarpiece inside the Rochuskapelle, a pilgrim church dedicated to St. Roch in the town of Bingen am Rhein, Germany.

Senza dubbio ciò non sarebbe stato possibile in una persona “normale”, ma in Ildegarda lo straordinario era l’ordinario della sua vita; era questa la “chiamata” personale e diretta di Dio che sentì fin da bambina e alla quale si affidò subito senza tentennamenti, ricevendo in cambio la Divina Sapienza.

Donna di “un altro mondo” se pensiamo che nasce nel 1098 in Renania, in un paese vicino a Magonza, e che fin da bambina, come era allora usanza, venne affidata alle cure di una comunità religiosa benedettina retta da tale Jutta di Spanheim. Uno dei momenti travagliati per la Chiesa e l’Occidente che andava delineandosi geograficamente e politicamente: contrasti forti tra papato e impero, Europa divisa, le città italiane ribelli al re germanico; in Inghilterra i contrasti portarono all’uccisione di Tommaso Becket, per non parlare dei papi che dovettero combattere contro la presenza di altrettanti antipapi e al tempo stesso tenere freno alle eresie e alle ribellioni interne.

Donna di un altro mondo dunque, di altri tempi, eppure nella sua vita fatta di eventi e fatti straordinari non dimenticò mai il mondo al quale il suo corpo apparteneva, e viveva pienamente, non vivacchiava, subiva i torti ma senza rassegnarsi, mai tacendo, sapeva fare discernimento e lottava contro le iniquità del suo tempo. Anzi fu davvero profeta non tanto per le profezie o visioni in sé quanto per la realizzazione del vero umanesimo, anticipando, in tal senso, la crisi antropologica del nostro tempo.

«Ildegarda presenta una visione globale dell’universo, di cui l’uomo si rivela essere non il cieco tiranno ma il responsabile, colui che lo riceve e che allo stesso tempo lo ordina. Sottomesso a tutte le forze dell’universo che sfuggono al suo controllo e che, se non ridesta la sua coscienza, possono dominarlo, l’uomo ne è però anche il centro, capace “con le energie della sua anima” di modificarne il corso sia in bene che in male. Il progresso della tecnica, dunque, è un bene solo se governato da un’etica responsabile». (1)

I resti del convento di Ildegarda

I resti del convento di Ildegarda

Fu grazie a papa Eugenio III, tra il 1147 e il 1148, che, approvandole il suo primo scritto “Scivias” (Conosci le vie) ricco di visioni mistiche, si permise ad Ildegarda niente meno che di predicare, un fatto eccezionale e persino “terribilmente scandaloso” per una donna del suo tempo. Attraverso questo, diremo, sdoganamento cominciò anche a scrivere, esortare e perfino ad ammonire chiunque non praticasse la fede cattolica, fossero laici, preti o vescovi, non risparmiava nessuno. Inoltre teneva anche incontri per tutta la Renania, in Baviera, e pure nelle chiese, per predicare Cristo. Sempre in questo periodo fonda il monastero di Rupertsberg che dirigerà fino alla morte e, come filiale, quello di Eibingen nel 1165. Non è un caso se è stata definita la “ribelle” di Bingen, ma ribelle a chi e a che cosa? Questo fa la differenza e forma la santa come poi vedremo.

Per il momento teniamo a mente la meravigliosa sintesi fatta da Benedetto XVI:

«In Santa Ildegarda di Bingen si rileva una straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana. In lei la ricerca della volontà di Dio nell’imitazione di Cristo si esprime come un costante esercizio delle virtù, che ella esercita con somma generosità e che alimenta alle radici bibliche, liturgiche e patristiche alla luce della Regola di San Benedetto: rifulge in lei in modo particolare la pratica perseverante dell’obbedienza, della semplicità, della carità e dell’ospitalità. In questa volontà di totale appartenenza al Signore, la badessa benedettina sa coinvolgere le sue non comuni doti umane, la sua acuta intelligenza e la sua capacità di penetrazione delle realtà celesti». (2)

Qual è il “mistero laico” di quella donna e chi era veramente?

Museo Hildegard von Bingen

Museo Hildegard von Bingen

Diciamolo subito, nessun mistero occulto, semplicemente l’uso incondizionato della ragione in rapporto alla fede. Ildegarda, se vogliamo, anticipò quello che poi disse il Concilio Vaticano II sulle responsabilità dei laici (e delle donne come dirà poi san Giovanni Paolo II) nella Chiesa e nel mondo attraverso il decreto firmato da Paolo VI Apostolicam Actuositatem (3). Possiamo anche dire che in lei si sviluppò un sano ed autentico femminismo, ma che per non creare equivoci è meglio definire femminilità. Possiamo dire una donna davvero virile.

In Ildegarda è viva e passionale la consapevolezza di essere una donna a tal punto da arrivare ad affermare –non come dottrina, naturalmente, ma come immagine teologica –  che lo Spirito Santo è al femminile, ossia: mediante l’Incarnazione la realtà umana e divina diventano una medesima realtà (o ci salviamo ritornando a Dio o ci danniamo per l’eternità perdendo Dio), ma una realtà di puro Amore (con la A maiuscola) che solo la donna attraverso quella maternità fornitale da Dio, può impersonare, può realizzare. E poiché lo Spirito Santo è il moto, l’agire di questo Amore, la Sua sensibilità è al femminile.

imagesPer Ildegarda se l’uomo è superiore per origine, poiché Eva ha peccato per prima interrompendo l’Amore, questo moto, la donna in Maria ha guadagnato la superiorità con l’Amore stesso, per il quale è proclamata dalla Chiesa “Tempio dello Spirito Santo, Tabernacolo di Dio, Porta del cielo”. E dirà: «È perché Dio fu generato da una donna che la donna è la creatura benedetta fra tutte». Nessun essere umano ha mai ricevuto simili titoli, neppure i santi dei quali è regina, nessuno ha mai potuto dire di se stesso “tutte le generazioni mi chiameranno beata”. Una strada aperta da Lei, Maria, e che ogni donna con non poche facilitazioni può seguire.

Questo suo “femminismo” naturalmente le creò molti, ma molti problemi, a salvarla fu la fiducia totale nel Cristo il quale, asseriva, le dettava spesso questi ragionamenti che poi lei faceva propri. Non dimentichiamo che suo amico e consigliere fu anche il grande San Bernardo di Chiaravalle che la incoraggiava ad andare avanti, soprattutto quando si vide costretta a disobbedire al suo vescovo perché “era lui a non seguire il Vangelo”.

Questa Donna ebbe il coraggio di opporsi, denunciandolo apertamente, ad un maschilismo un po’ degenere e misogino, che si era infiltrato nella Chiesa e a tutti i livelli della gerarchia, arrivando a  dichiarare che le sue affermazioni trovavano “conferma” nelle rivelazioni ricevute, sicché gli uomini che gestivano la “Sposa di Cristo” avevano tradito sotto molti aspetti la vera missione della Chiesa.

Ma Ildegarda non era una rivoluzionaria come la si potrebbe pensare oggi, né una femminista ideologica con pretese clericali, non viveva chiusa dentro le visioni che riceveva ma aveva la testa sulle spalle e i piedi ben piantati per terra sì da riuscire a vedere davvero ben oltre il mondo terreno. Ildegarda è, se vogliamo, il riscatto di una iconografia della donna del suo tempo portata avanti da certi storici del ‘700 e dell’800 contro la Chiesa (4), ma al tempo stesso offre  a noi oggi infettati da certo femminismo ideologico, la più autentica femminilità e maternità racchiuse ed operanti nella Chiesa.

E’ severa con gli uomini, fosse anche il Papa. Infatti ci va giù pesante quando scrive al papa Anastasio IV, che minaccia apertamente:

«O uomo accecato dalla tua stessa scienza, ti sei stancato di por freno alla iattanza dell’orgoglio degli uomini affidati alle tue cure, perché non vieni tu in soccorso ai naufraghi che non possono cavarsela senza il tuo aiuto? Perché non svelli alla radice il male che soffoca le piante buone?… Tu trascuri la giustizia, questa figlia del Re celeste che a te era stata affidata. Tu permetti che venga gettata a terra e calpestata… Il mondo è caduto nella mollezza, presto sarà nella tristezza, poi nel terrore… O uomo, poiché, come sembra, sei stato costituito pastore, alzati e corri più in fretta verso la giustizia, per non essere accusato davanti al Medico supremo di non aver purificato il tuo ovile dalla sua sporcizia!… Uomo, mantieniti sulla retta via e sarai salvo. Che Dio ti riconduca sul sentiero della benedizione riservata ai suoi eletti, perché tu viva in eterno!».

 Perché la chiesa non l’ha fatta subito santa?

Un film sulle visioni di Ildegarda

Un film sulle visioni di Ildegarda

Non c’è una vera e propria storia da raccontare. Il processo per la beatificazione e canonizzazione fu effettivamente avviato da papa Gregorio IX una cinquantina di anni dopo la sua morte, nel 1229 circa, ma non ebbe alcun esito semplicemente perché fu proclamata santa a furor di popolo tanto che anche la Chiesa non si preoccupò più di mandare avanti alcun processo. Che si ricordi a memoria storica non sono mai esistiti gruppi di opposizione contro questa “vox-populi” e Benedetto XVI, in vista dell’Anno della Fede, non ha fatto altro che chiudere una pagina rimasta aperta, contornando la Santa di Bingen non solo di una aureola definitivamente ufficiale, ma anche del titolo più prestigioso che la Chiesa possa dare ad una persona canonizzata: “Positio super canonizatione et concessione tituli Doctoris Ecclesiae universalis per la Mistica di Bingen”: Dottore della Chiesa, la quarta donna ad ottenerlo.

Dalla biblioteca del Mastino, che ultimamente sta interessandosi a Ildegarda

Dalla biblioteca del Mastino, che ultimamente sta interessandosi a Ildegarda

Per la Chiesa Ildegarda è sempre stata santa e probabilmente non aveva mai avvertito la necessità di chiarire questo. Penso più semplicemente che proprio il suo stile di vita e le profezie ricevute dalla Divina Sapienza, essendo oggi di una attualità impressionante (pensiamo al vero umanesimo, all’etica, alla morale), si sia voluto definire una volta per tutte il ruolo che questa Donna ha avuto non solo per la Chiesa del suo tempo, ma soprattutto per noi oggi, come si addice, appunto, a chi viene canonizzato e dichiarato Dottore della Chiesa, il cui magistero diventa guida ed ispirazione ortodossa per tutte le sue membra.

Vale la pena di leggere questo passaggio della Lettera di Giovanni Paolo II in occasione dell’Ottavo centenario di Ildegarda:

«Non v’è chi ignora che la prima gloria della quale si orna questo fiore della Germania è la santità della vita: bambina di otto anni fu affidata alle monache per ricevere un’istruzione e presto ella stessa seguì la via della consacrazione a Dio, via che percorse con passione e fedeltà; riunì delle consorelle che avevano lo stesso intento e fondò nuovi monasteri fragranti del “buon odore di Cristo” (cf. 2 Cor 2, 15).

«Dotata fin dalla tenera età di particolari doni superiori, santa Ildegarda si addentrò nei misteri che riguardavano la teologia, la medicina, la musica e le altre arti e lasciò numerosi scritti su tali arti e mise in luce il rapporto tra la redenzione e la creatura.

«Amò la Chiesa in modo singolare: ardente di questo amore non esitò ad uscire dal monastero per incontrare come intrepida propugnatrice di verità e di pace i vescovi, le autorità civili, e lo stesso imperatore e non esitò a dialogare con moltitudini di uomini… ». (5)

E sopratutto da dove nascono, quali sono e cosa dicono le sue “profezie”?

hildegardvonbingenQui entriamo in un campo vastissimo. Le profezie di Ildegarda non sono episodi separati dalla sua vita mistica e reale, non aveva una palla di vetro attraverso la quale raccontare poi ciò che sarebbe accaduto in futuro, come del resto così non avviene in tutte le profezie cattoliche che si rispettino, le quali hanno in comune la testimonianza di una vita coerente al Vangelo.

Tanto per fare un esempio, quando la Ildegarda profetizza che in futuro “sarà vietato il matrimonio cristiano” lo dice in un contesto più vasto nel quale vede che, per colpa degli uomini che si allontaneranno da Dio, i primi a farne le spese saranno le famiglie. Quando afferma: “Il Trono dell’ultimo Impero Cattolico Romano crollerà, e lo scettro cadrà dalla mano tremante di colui che siede sul trono. Da quel momento cesserà ogni giustizia, o sarà calpestata…” (6), parla del nostro tempo, almeno dalla fine dell’800, parla di questo rifiuto dell’uomo di riconoscere ancora la legge e la giustizia Divina, parla della fine di Cesare, di quel Cesare che seppur sbagliando manteneva comunque un minimo “timor di Dio”, timore che oggi gli uomini di potere del nostro tempo, i nuovi Cesare, hanno completamente perduto e anzi se ne fanno beffe.

E ancora profetizza:

«Gli ultimi tempi saranno più cattivi e corrotti agli occhi di Dio. I figli di Dio saranno perseguitati con mezzi estremamente odiosi agli occhi di Dio (…) Subito prima dell’Anticristo ci saranno fame e terremoti…».

Hildegard-von-Bingen_Mindful-HappinessLa profezia che trovo più calzante a noi oggi e drammatica è questa:

«Nel periodo in cui l’Anticristo nascerà, ci saranno molte guerre e il giusto ordine sarà distrutto sulla terra. L’eresia dilagherà e gli eretici predicheranno i loro errori apertamente e senza ritegno. Persino fra i cristiani ci saranno dubbi e scetticismo a proposito delle credenze del cattolicesimo…» e il “giusto ordine” è, per Ildegarda, tutta la descrizione avuta nelle Visioni, dove la Divina Sapienza la guida fin dal principio della creazione in quell’ordine voluto e stabilito da Dio. Chiunque va contro la legge di Dio partecipa alla distruzione del giusto ordine e alimenta la via dell’Anticristo che altri non è che colui che si oppone al Cristo che è il giusto ordine.

Se pensiamo all’aborto e al divorzio per esempio (ma anche all’eutanasia), referendum firmati da persone battezzate, non possiamo non vedere la distruzione che l’uomo ha fatto di questo ordine creato da Dio. La vita umana fin dal suo concepimento e il matrimonio, infatti, sono i pilastri e le fondamenta per una società giusta e ordinata, secondo l’ordine voluto da Dio. Il ribaltamento odierno dei valori, che è dispersione delle essenze, è questa l’eresia immane e ininterrotta che sta dilagando da Lutero, vero padre del libertinismo e dello svilimento dei sacramenti a cominciare dal matrimonio, ecco allora che “persino fra i cristiani”, sottolinea la Ildegarda, ci sarà dubbio e scetticismo sulla dottrina cattolica, e la battaglia contro l’eresia e poi quella finale contro l’Anticristo saranno dure, tanto che:

«Come se fosse una festa di matrimonio, i cristiani andranno verso la morte per martirio che il figlio della perdizione avrà preparato per loro, in un numero tale che quegli assassini non saranno neanche in grado di contarne i cadaveri, allora il sangue di questi martiri riempirà i fiumi…».

E quando avverrà la fine del mondo? Sappiamo per certo che non ci sarà mai svelata la data, il giorno e l’ora, dice Gesù, ma ci invita a guardare i segni, i segni dei tempi, e Ildegarda afferma: “…quando il mondo perderà la sua stabilità…”.

Non ci vuole una laurea per comprendere che i tempi sono questi anche se non sappiamo quanto durerà questo calvario perché, diciamolo chiaramente, uno stato o una nazione che con la legge sull’aborto uccide il proprio futuro, non ha futuro, e quando impone per legge il ribaltamento dell’istituto del matrimonio fra un uomo e una donna e stravolge la natura anche con gli uteri in affitto, non può avere futuro sicché ha già perso la sua stabilità, ha crepato le fondamenta del suo esistere e non v’è alcun rimedio, spiega la Ildegarda, se non quel ritornare a Dio ricostruendo il giusto ordine delle cose.

Ildegarda – spiega padre Domoulin – contempla tre visioni: le cinque epoche terribili degli ultimi tempi, l’Anticristo, la presa e la liberazione della Chiesa. Cinque epoche di afflizione che sono simboleggiate da animali che “vengono dal Nord”: un cane rabbioso, un leone giallo, un cavallo chiaro, un maiale nero e un lupo grigio. La fine dei tempi si avvicina, e la profezia di Ildegarda ne è al tempo stesso l’annuncio e il segno, in un’epoca corrotta.

Ildegarda ha profezie anche per il clero corrotto e ci va giù pesantemente

hildegard-bingenLeggiamo in una sua autorevole biografia che alcuni sermoni, soprattutto quelli pronunciati da Ildegarda nel corso dei suoi quattro viaggi “missionari”, ci sono pervenuti grazie alla richiesta dei suoi uditori di metterli per iscritto. Sono destinati soprattutto alla riforma dei costumi del clero. Ella rimprovera ai sacerdoti i loro vizi con uno stile sferzante: essi hanno «gli occhi, le orecchie e il ventre pieno dei vizi del demonio», «pratiche da scorpioni, opere da serpenti», sono «gente ubriacona e lussuriosa», dice loro che verranno i Catari e approfitteranno di tale situazione per sobillare il popolo contro di essi; sorprendente profezia che non tarderà a realizzarsi, costringendo Ildegarda ad uscire nuovamente dal suo monastero.

Ai prelati che dovrebbero governare la Chiesa rimprovera la loro indolenza:

«Nella vostra bocca non risuona la voce della tromba di Dio, voi che non amate la santa intelligenza… Dovreste meditare attentamente la giustizia di Dio… mostrandola al popolo al momento opportuno, e non imponendola con la violenza. Ma invece non lo fate, a causa del vostro volere ostinato… Vi rintanate come serpi ignude nelle loro tane… Perdete tempo in cose da nulla… Quanta perfidia e odio quando l’uomo non vuole volgersi verso il bene, né per Dio né per gli uomini, ma ricerca gli onori senza fatica e le ricompense eterne senza sforzo! Siete ciechi, poiché le vostre opere non risplendono davanti agli uomini del fuoco dello Spirito Santo!… Tutta la Sapienza che avete scrutato nelle Scritture è stata inghiottita dal pozzo delle vostre voglie! Tutto ciò che sapete, che avete provato e sentito, lo seppellite nella soddisfazione delle vostre brame, e ingrassate la carne come bambini che non sanno quello che fanno! Dovreste essere luce e invece siete tenebra!» (Lettera al clero di Colonia).

E non si limita a criticare, ma offre ai sacerdoti queste splendide esortazioni:

«Nonostante Dio permetta che il ricco possa, con le sue ricchezze, sostenere il povero, tuttavia è l’immagine di quest’ultimo che egli ama, perché è la sua».

«Felice l’uomo creato da Dio come tabernacolo della sua sapienza! Sino alla fine della sua vita grazie ai desideri santi, alle opere buone, alla sua fame di giustizia e delle soavi virtù di cui è insaziabile, egli si rinnova di giorno in giorno con la grazia di Dio».

In questi esempi è facile costatare come Ildegarda si esprima senza giri di parole né adulazioni.  Onde anche il non poco risentimento che suscitò in giro: ma il clericalismo omertoso, che è essenzialmente mancanza di timor di Dio e adulazione per (potenti) gli uomini di Dio, è una regressione contemporanea. (7)

In cosa consiste il suo essere visionaria?

Ormai anziana

Ormai anziana

Si dice visionario anche chi insegue chimere, ma non è il caso della nostra Dottore della Chiesa. Ildegarda non è visionaria nel senso di “sensitivo” ma vede davvero ciò che descrive attraverso uno dei tanti doni ricevuti, quello di una grande e profonda astrazione mentale alimentata da una fede dalle profondità vertiginose e da un “sacro timor di Dio” (uno dei sette doni dello Spirito Santo), attraverso il quale compie delle vere indagini, dialogando finanche con la Divina Sapienza.

Ildegarda non è passiva, come del resto ci aiuteranno a capire poi santa Caterina da Siena, santa Brigida di Svezia, santa Teresa d’Avila, mettiamoci anche la beata Emmerick, tutte donne che non hanno vissuto queste esperienze in forma passiva, ma spesso dialogando con l’Interlocutore o più Interlocutori, discutendo anche su ciò che vedevano e pagando sulla propria pelle, nel proprio corpo, i doni celesti.

Ma lasciamocelo dire da lei stessa:

«Queste visioni non le ho viste in sogno, né mentre dormivo, né in delirio, né con gli occhi del corpo, né con le orecchie dell’uomo esteriore, né in luoghi nascosti: le ho percepite mentre ero del tutto sveglia, perfettamente desta, con gli occhi e le orecchie dell’uomo interiore e in luoghi manifesti…».

Possiamo rispondere alla domanda leggendo la motivazione da Ildegarda stessa alla quale la Divina Sapienza ordina:

«Alza la voce e parla dell’avvento della incorrotta salvezza, affinché vengano persuasi coloro che, pur scrutando le profondità delle Scritture, non vogliono parlarne né predicarle, perché sono tiepidi e insensibili per conservare la giustizia di Dio: svela loro i misteri delle cose nascoste che essi, per timore, celano in un luogo segreto che non produce frutto. Rivèrsati, dunque, come sorgente copiosa e diffondi come un fiume il mistico insegnamento, affinché coloro che vogliono fare di te oggetto di disprezzo a causa della colpa di Eva, vengano travolti dall’impeto della tua corrente… Lèvati, dunque, parla e di’ ciò che ti viene rivelato…».

Ildegarda ha così una missione da compiere e la porterà a compimento, le sue visioni sono un aiuto che il Signore manda al nostro tempo, guai a noi se disprezzassimo queste profezie (cfr 1Tess.5,20).

hbingenE ci sono anche visioni sull’Inferno nel suo Liber vitae meritorum che non sono solo profezie su una realtà che in fondo dovremo conoscere visto che ce lo dice la dottrina della Chiesa, ma qui Ildegarda fa di più, oltre a descriverci un certo inferno reale ed eterno, ci  insegna come non andarci, ci insegna a discernere e a mettere in pratica in modo molto concreto le virtù e ad allontanare i vizi dalla vita quotidiana, al fine di poter accedere alla vita beata ed eterna.

Ci sarebbe ancora tanto altro da dire di Ildegarda, per esempio la sua passione per la medicina, per le arti, per la musica tanto che fu anche compositrice di inni e melodie sacre, una donna completa che il poco spazio qui non ci consente di continuare, ma speriamo di essere riusciti a seminare una sana curiosità, così che ognuno di voi senta la gioia di approfondire questa storia meravigliosa. Perché Ildegarda fu essa stessa un miracolo.

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Note

1) Ildegarda di Bingen – Profeta e dottore per il terzo millennio – di Pierre Dumoulin

2) Lettera Apostolica con la quale Benedetto XVI dichiara Santa Ildegarda Dottore della Chiesa 7 ottobre 2012

3) Decreto sui Laici nella Chiesa e nel mondo Apostolicam Actuositatem

4) Per comprendere la Donna nella Chiesa vi consigliamo questi link: Le Donne è Gesù parte prima; Le Donne e Gesù parte seconda; Suore ribelli;

5) Lettera di Giovanni Paolo II per l’Ottavo centenario della morte di Ildegarda, 1979

6) L’Anticristo profezie – di Fede e Cultura

7) Ildegarda di Bingen – Profeta e dottore per il terzo millennio – di Pierre Dumoulin

tag: Ildegarda di Bingen, papa Eugenio III, papa Anastasio IV, papa Benedetto XVI, papa Giovanni Paolo II, profezie Ildegarda, profezie, visioni, misticismo, chiesa, inferno, donna, femminismo, ribellione, femminilità, renania, laici, apostolicam actuositatem, concilio vaticano ii, santa Caterina da Siena, santa Brigida di Svezia, santa Teresa d’Avila, beata Emmerick,

Maria non basta mai (men che meno adesso). Un colloquio con Messori

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Ancora… “Ipotesi su Maria

 Con una intervista a Vittorio Messori,

per la riedizione ampliata del suo già noto saggio mariano

 

di Sebastiano Mallia

Per un “messorologo” come me (“messoriano”, per Vittorio Messori, è termine da evitare se non da bandire con chi incautamente se lo attribuisca) la notizia di una riedizione -corposamente ampliata- di Ipotesi su Maria è stata una piccola sorpresa.

12241270_10206428895214035_2305186067954996879_nSapevo lo scrittore cattolico impegnato nel secondo volume della sua indagine su Lourdes e su Bernadette Soubirous, non certo nel rilancio di un altro testo ad oggetto mariano, già molto denso di informazioni e di grande successo.

Ma Messori è così: riservato e sorprendente, come molte delle sue “letture cattoliche” della realtà che ci circonda. Normale -quindi- che avesse in canna una operazione editoriale “vecchia” ma, al contempo, “nuova”; somigliante in questo alle riedizioni (due) di Ipotesi su Gesù, dove l’autore di quel best e long-seller mondiale ci regalò due glosse molto interessanti a quel primo capolavoro.

Ed ora queste altre Ipotesi mariane, uscite per la prima volta dieci anni fa, si ripropongono -sempre sotto i tipi della Ares- con ben tredici capitoli nuovi di zecca, per ulteriori centoventi pagine, anch’esse straordinarie e tonificanti.

Perchè le “aggiunte” di questa edizione sono un dono ulteriore di spunti (oserei dire, quasi ‘armi appuntite’) che non servono solo all’apologetica, ma anche ad respirare -dieci anni dopo- il profumo dell’eterno che si fa storia.

La precedente edizione, sempre per Ares, edita diversi anni fa. L'immagine mariana di copertina fu scelta da Messori: per via del gatto nero che vi compare.

La precedente edizione, sempre per Ares, edita diversi anni fa. L’immagine mariana di copertina fu scelta da Messori: per via del gatto nero che vi compare

Cosa che, in questi tempi (anche ecclesialmente) troppo secolarizzati, non guasta ma tanto aiuta.

Ho sempre pensato che Messori sia riuscito, anzitutto, a fare un lavoro preziosissimo in tempi come questi, dove si legge di tutto e spesso questo ‘tutto’ rischia di distogliere tempo e risorse dall’essenziale. Vittorio ha ‘scremato” dalle sue infinite letture (di libri perduti o che non ci sogneremmo, nei nostri trambusti, di cercare) il meglio; vagliandolo, verificandolo come tale e reputandolo meritevole di essere riproposto e non lasciato all’oblio.

Con lo stile che amiamo e apprezziamo (e non guasta).

Il caleidoscopio mariano, oggi riedito con ulteriori “pezzi” da gustare sotto la luce, non sfugge alla regola. Ma pone una domanda sul perchè di un’edizione riveduta e ampliata, alla quale Messori risponde con una battuta.

Colloquio con Vittorio Messori

rgrge“Mi sorprende che tu ti sorprenda: non è, la Protagonista di questo libro, Colei di cui si dice ‘numquam satis’, Colei cioè di cui ‘non è stato detto (né si dirà) mai abbastanza’? Non è Lei -insomma- l’inesauribile fonte di aneddoti, misteri, devozioni che alimentano la fede di sempre, sopratutto nei più semplici?

“E cosa c’era di più semplice di aggiungere altre vicende, riflessioni e curiosità ad un libro che -ben potendo leggersi ad apertura di pagina- non avrebbe potuto mai esaurire le infinite vicende umane, ma anche storiche e teologiche, legate a quella Donna?”

Incasso ma insisto: va bene, consideriamolo pure un “libro aperto” alle aggiunte, ma mi incuriosisce la tempistica, perchè proprio adesso?

“Il libro è uscito nella sua prima edizione dieci anni fa: da allora lo studio e l’elaborazione mariani sono continuati, confluendo in parte nei Vivai che vado pubblicando, ogni mese, sul mensile Il Timone: mi è parso importante non privare i lettori -in una nuova edizione- del materiale che avevo trovato e, in parte, elaborato dal 2005 ad oggi”.

Tuttavia, scorgendo l’indice (azzardo, fingendo di fare il giornalista petulante), non posso non notare -come dire?- una “certa tempistica”… Riproponi -con il libro- le pagine su Fatima e sull’Islam che non potrebbero essere più stuzzicanti, vista l’attualità.

“Una coincidenza: d’altra parte, parlare di Maria significa -come ho scritto- affrontare uno dei pochi argomenti in cui la devozione cattolica verso Costei trova una “concorrente” altrettanto, se non più, “agguerrita”. Il Corano venera la Madre di Gesù come la donna che -con Fatima, la figlia prediletta di Maometto, ma persino al di sopra di quest’ultima- avrà la signoria assoluta sulle donne del Paradiso. Una dignità immensa. Maria “incarna” -è il caso di ripeterlo- il luogo di un possibile, vero e spiritualmente intenso ‘dialogo’ con l’Islam.”

A proposito di attualità: ritorna anche la storia della bandiera europea.

“Un disegnatore alsaziano, Arsène Heitz, ispirandosi alla Donna vestita di sole dell’Apocalisse disegnò una bandiera su cui campeggiano, in uno sfondo azzurro (il colore per eccellenza della Nostra), le dodici stelle che fanno da corona alla Donna in cui la fede vede Maria. Heitz s’ispirò alla Medaglia Miracolosa che a Parigi, nel 1830, la Madonna chiese a santa Caterina Labouré di far coniare. Insomma, l’agnostico potere europeo, senza volerlo, ha adottato quale vessillo della nuova Unione un chiaro simbolo mariano”.

Questi due fatti si trovano nelle pagine del 2005 ‘riedite’; che mi dici dei due capitoli nuovi dedicati alla Russia (altra nazione “calda” nell’attualità) e, in particolare, ad un insospettabile “devoto” dell’ex “Impero del male” sovietico?

“Ti riferisci certo a Stalin ed all’icona della ‘Madre di Dio di Kazan’; nel libro racconto uno sconcertante retroscena della mobilitazione sovietica contro l’invasore nazista: l’ordine del Capo Supremo di portare in processione questa immagine a Mosca, Leningrado e persino a Stalingrado; e l’ordine di liberare pope e religiosi, sulla promessa di vittoria raccolta in sogno tempo prima da un asceta ortodosso in Libano”.

maria5 (1)Ecco, proprio a questo alludo.

“E’ ben noto che -nella disperazione mista a sconcerto e sorpresa per il ‘tradimento” di quel suo ex alleato (Stalin stimava Hitler e continuò a farlo anche dopo che i due ruppero il patto Molotov-Ribbentrop)- il dittatore comunista dovette fare appello all’antica radice cristiana ortodossa di tutte le Russie per eccitare il popolo alla guerra contro gli… atei invasori nazisti, non avendo funzionato troppo la ‘leva’ propagandistica politica.

“Quello che abbiamo scoperto da poco e che, dietro le quinte, agì qualcosa (o Qualcuno) di ancor più misterioso, inspiegabile a viste solo politiche o militari. Nè fu solo ‘opportunismo’, magari un po’ superstizioso: Stalin, di fatto, congelò in quel periodo il suo programma di persecuzioni e progrom contro i religiosi ortodossi e cristiani, ‘obbedendo’ anche in questo ai richiami che la Vergine ‘dettò’ a quell’asceta”.

Sorprendente, come il percorso di conversione di John Henry Newman.

“Ma sì, un altro ‘capolavoro’ mariano. L’abbandono della “chiesa” anglicana da parte di quel grande Beato, fu per essa (e per tutta la cultura inglese) un colpo durissimo. Il rammarico fu tale da estendersi anche al campo politico: il primo ministro in carica, John Russel, allorché la conversione fu conosciuta pubblicamente, si rivolse con aria rattristata ai colleghi deputati all’inizio di una seduta. «Debbo comunicare agli onorevoli membri di questo Parlamento -sospirò- che un uomo di grande talento e di profonda cultura, uno tra i maggiori del nostro Paese, ha abbandonato la Chiesa d’Inghilterra»”.

Cardinale Newman

Cardinale Newman

Tratteggi nel libro, un po’ in controluce, questo suo rapporto con la Madonna.

“In effetti, Newman scontò -prima della sua conversione- questo comune sospetto ‘british’, un po’ snobistico, verso le devozioni mariane che caratterizza buona parte del cristianesimo nord europeo. Ma Maria, dopo aver avuto un ruolo nella sua conversione, continuò ad ispirarlo anche sua produzione in polemica con la sua vecchia confessione.

“La sua ‘Lettera a Pusey’ (il suo ex confratello della comunione anglicana, che aveva scritto un libro a confutazione dei dogmi e del culto mariani) è un capolavoro assoluto di apologetica cattolica; che ha una doppia -intrigante- sfaccettatura: non solo prova, con argomenti presi dalla Scrittura, il fondamento biblico di tutta la elaborazione romana sulla Donna che -da subito- i Padri definirono la Madre di Dio (la Theotokos del Concilio di Efeso, che anche la Riforma accetta), ma esalta, in passi che riporto nelle nuove pagine di queste Ipotesi, il fondamento scritturistico della Tradizione, che fu ‘prevista’ e voluta -quale fonte ‘normativa’ della fede- dallo stesso Gesù dei Vangeli”.

Leggendole, sembra davvero che Maria svolga un ruolo nascosto, ma non meno vitale nella conoscenza del Figlio.

“Per restare e Newman -ad a quel Pusey, il vecchio amico e confratello anglicano che cercò di convincere con quella ‘Lettera’- Maria è davvero la Turris davidica delle litanie del Rosario (evocante la torre di difesa che il re David fece costruire e alla quale stavano appesi gli scudi dei valorosi pronti ad opporsi a chi volesse assaltare la Città Santa).

La scoperta progressiva dell’importanza della Madre è stata, soprattutto nei primi secoli cristiani – ma in fondo sempre nella storia–, la migliore tutela del Figlio. Ogni dogma su di Lei è, in realtà, una difesa di Lui”.

E chissà, penso abbassando la cornetta, che non possa esserlo anche oggi….

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