Dalla ribellione a Dio di Lucifero a quella dei nostri giorni: la superbia, desiderio di “essere come Dio, meglio di Dio”, è una tentazione antica. Che ha distrutto oltre che Lucifero, tutti quelli che vi hanno ceduto, da Adamo ed Eva a Babele prima di Cristo; e dopo, da Fozio a Lutero, dai “santi atei” del XX secolo sino ai cantori dei “diritti civili” del XXI, hanno tormentato la Sposa di Cristo, dilaniandone la veste senza strappi, perseguitandone i figli. “Voi sarete come Dio”, purché si assapori il “frutto proibito”, fu la promessa dell’antico serpente ai nostri progenitori. Quella promessa, non mantenuta come tutte le promesse del maligno, ci incanta ancora. Eppure Dio li aveva avvertiti: “Se ne mangerete, ne morirete”. Ma tant’è!
di Danilo Rossi
In una vecchia e poco nota poesia, l’autore così descrive l’immagine di una ragazzina ed un anziano raccolti in preghiera: “Le prime preghiere e le ultime…”. Mentre ragionavo su questa bella immagine mi è venuto in mente: “Non vale forse anche per il peccato?”. Ho cominciato a ragionarci sopra: e più ci ragionavo, più me ne convincevo. Il primo peccato, che introdusse la morte nel mondo e si incarnò nel “mysterium iniquitatis”; il primo peccato, che come un fil rouge si dipana nella storia del mondo e della Chiesa; il primo peccato, che scatena ed origina tutti gli altri sarà anche l’ultimo, che esploderà alla fine dei tempi. Il suo nome è SUPERBIA.
Dio non solo ha fissato la sua legge, ma continuamente parla all’uomo per indicargli la sua volontà. Da ultimo, ha mandato il Figlio che ha istituito la Chiesa, che regge ed ammaestra il popolo di Dio: insomma, come si dice in certe aule di giustizia “non possiamo non sapere”. Eppure il primo peccato è stata la superbia: ribellarsi alla volontà di Dio e decidere da sé.
Dio Onnipotente si rivela al genere umano e ad ogni singolo uomo per mezzo della sua Parola e del suo diletto Figlio. La vita, gli insegnamenti, la Passione e Morte di Gesù Cristo – che è Dio – sono la luce che illumina l’intera economia della legge divina e della salvezza: Egli è Via, Verità e Vita, e “non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Ap 4, 1). Poi vi sono i precetti: quelli dati da Nostro Signore in primis, ma anche il resto, ovvero la legge rivelata da Dio al genere umano nella storia: a partire dai dieci Comandamenti dati a Mosè sul Sinai sino ai giorni nostri attraverso la Chiesa, sua fedele Sposa, che custodisce ed interpreta questi precetti attraverso i dogmi e le verità di fede. Essi sono stati dati all’uomo per il suo bene su questa terra, e per ottenergli la felicità eterna nella vera Vita promessa da Cristo a chi lo seguirà. Essi sono il regolo morale, etico ed escatologico a cui informare non solo le singole vite degli uomini, ma anche la legge civile degli Stati. Infine, vi è il Suo disegno sopra di noi presi singolarmente: essa è il talvolta misterioso talvolta chiarissimo modo in cui Dio ci parla, ci spiega il suo particolare disegno sulle nostre vite. A volte lo comprendiamo, molto più spesso brancoliamo nel buio cercando di raccapezzarci: ed allora solo la fede in Lui ci può far accettare questa volontà. Anche quando non parla, Dio ci vuol dire qualcosa. E’ il silenzio di Dio, su cui Benedetto XVI ha scritto alcune tra le sue pagine più profonde. Un silenzio che a volte ci sembra un deserto, ed invece è la via nel deserto che porta all’oasi. L’oasi di una sempre maggiore conoscenza nostra e Sua (vedi Benedetto XVI, Udienza Generale del 7 marzo 2012).
L’azione di Dio non può ovviamente ridursi a casistiche: ma possiamo ben dire che chi crede in Lui e nel Suo Figlio Gesù, vero Dio e vero uomo, applica i suoi precetti ed accoglie con umiltà la sua volontà sopra la propria vita, compie il suo primo dovere ed il fine ultimo della sua esistenza: “conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e goderlo nell’altra, in Paradiso”.
Il peccato è proprio questo: rinnegarlo (“chi rinnega me, anch’io lo rinnegherò nell’ultimo giorno”), infrangere i Precetti o ribellarsi alla Sua volontà.
Il primo peccato

Primo in almeno due sensi. Lo sappiamo benissimo: i peccati capitali sono sette. Eppure, a mio avviso ce n’è uno “primus inter pares”: la superbia, che consiste nell’anteporre se stessi a Dio. Nel mettere se stessi al primo posto, sì da rendersi pari a Dio. Anzi, anche al di sopra. Quando Gesù nell’orto degli Ulivi disse “Sia fatta la Tua, non la mia volontà”, proprio da questo voleva metterci in guardia: se persino il Figlio di Dio – simile in tutto a noi fuorché nel peccato – è stato tentato di anteporre la propria volontà alla Sua, figuriamoci noi.
Per quanti peccati il cristiano possa commettere, per quante volte possa cadere, egli sa, in fondo alla sua anima, che l’ultima parola deve averla Dio: anche quando questa parola suona amara alle sue orecchie, anche quando questa volontà sembra crudele ai suoi occhi mortali e velati. Egli infatti ha dato dei comandi che non è lecito trasgredire; e quand’anche trasgredisce – e capita a tutti – riconosce da sé di aver sbagliato. E chiede perdono, inginocchiandosi ed implorando misericordia da “quel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola”. Chi invece decide da sé i precetti e pensa di poter essere padrone assoluto della propria vita, questa esigenza non la sente; vive anzi questi precetti come una castrazione, come un’orribile limitazione alla propria libertà: senza capire che senza la Legge non vi è libertà, ma anarchia.

Pieter Bruegel il vecchio, I sette peccati capitali: Superbia.
Primo anche in un altro senso, quello letterale. Inutile qui ricostruire le varie ipotesi patristiche e teologiche sulla caduta di satana e degli angeli ribelli: chi sostiene il rifiuto di adorare la Creazione divina, chi il rifiuto ad accettare l’Incarnazione di Nostro Signore. Però tutti i Padri della Chiesa sono unanimi nel parlare di superbia: satana, creato da Dio angelo sfolgorante di luce e pieno di ogni virtù, decise di porsi al pari di Dio, anzi al di sopra, valutando da sé cosa fosse giusto e buono e ritenendo quindi irricevibile la divina volontà, che pure era quella del suo stesso Creatore. Si ribellò, ed assieme ai suoi sodali venne cacciato nell’inferno: di qui l’ira verso Dio ed il genere umano, che si ripromise di perdere a Dio; l’invidia verso l’uomo – oggetto della misericordia divina – e degli angeli, la cui condizione anticamente condivideva: e via via tutti gli altri peccati, che scaturiscono come un oceano graveolente dagli abissi infernali per inondare la terra e – ove gli sia concesso – affogare l’intero genere umano: allontanato per l’eternità dalla Fonte di ogni bene, egli non fu più capace del bene ma solo del male. Da allora, egli non cessa mai di incitare l’uomo alla sua medesima ribellione a Dio. Tant’è che lo rivediamo in azione proprio in occasione del primo peccato dell’uomo.
Non si può negare in questo peccato la piena e totale responsabilità dei progenitori. Essi ben sapevano del comando di Dio: “dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”; quindi, pienamente meritata fu la loro e nostra punizione. L’albero in questione non era l’albero “dell’eternità”, “del piacere” et similia: era l’albero della conoscenza del bene e del male: in linguaggio figurato la possibilità di stabilire cosa è bene e cosa è male, che sola è riservata a Dio, come dicemmo all’inizio. E chi ricompare sulla scena ad incitare alla ribellione i nostri progenitori? Proprio lui, l’antico serpente, il vecchio omicida. E cosa sussurra all’orecchio di Eva? “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”.

Par di vederla quella sua lingua biforcuta, a blaterare di libertà, di un Dio crudele e geloso, che incatena ai suoi bizzarri voleri il genere umano; par di vederla mulinare bestemmie di superbia e quindi di ribellione: egli ben conosce l’uomo, e come solleticare il suo orgoglio per farlo insuperbire e sfidare Dio. E vinse con le sue bestemmie gli antichi progenitori, e l’uomo cadde e non si è più rialzato: solo il Sacrificio di Cristo ha potuto cancellare quella macchia nel Battesimo, e dare una promessa di salvezza a chi crede in Lui e segue le sue leggi e la sua volontà.
Come promise Dio, dopo quel tremendo pasto venne per l’uomo la morte, ovvero il suo assoggettamento ad essa; incapace di obbedire al suo comando, l’uomo viene provato in questa vita come l’oro nel crogiolo dove può sperimentare la sua ira e la sua misericordia; con la morte cessa il tempo della misericordia ed inizia quello della giustizia: l’uomo torna al suo Creatore per essere giudicato, e fissare nell’eternità la sua scelta di vita o di morte. Non accadde invece quel che promise satana: mai accade, poiché tutto in lui è menzogna, di cui è il padre. I progenitori non diventarono come Dio.
Il primo peccato degli angeli, ed il primo peccato degli uomini fu la superbia, il ritenersi pari a Dio per decidere ciò che è bene e ciò che è male. E non fu l’ultima volta che questo abominio comparve sulla terra.
Il primo di tanti
L’Antico Testamento è pieno di questo peccato: basti pensare alla torre di Babele. Un popolo che decide di diventare Dio: “costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome”. Farsi un nome: questo è il punto centrale del racconto biblico.
Nella Bibbia, solo Dio dà nomi: Adamo ed Eva, ad esempio. E quando concesse ad Adamo di dar nome alle cose create, fu una sua benevola concessione, un atto d’amore e di fiducia nell’uomo. Cambiò il nome di Abràm in Abramo, quando lo fece uscire da Ur verso la terra promessa. Cambiò nome anche alla Santa Vergine, affidandole la missione di divenire il sacro Vaso dove si sarebbe incarnato: nel saluto dell’angelo nella casa di Nazareth, all’inizio la chiamò “kecharitomene”, la “tutta piena di grazia”; solo dopo usò il nome proprio: “non temere, Maria”. Anche Nostro Signore cambiò nome di Simone in Pietro, affidandogli il compito di pascere il suo gregge dopo il ritorno al Padre. Quindi, “farsi un nome” significa: usurpiamo a Dio le sue prerogative, e decidiamo da soli quali strade prendere e quali leggi seguire. Per questo Dio li disunì, facendo in modo che non si comprendessero gli uni gli altri: “divide et impera”; incomprensione che dura ai nostri giorni, eccezion fatta per l’episodio di Pentecoste dove tutti intendevano nella propria lingua le parole degli Apostoli: unico momento nella storia dove Dio, inviando lo Spirito come promesso dal Figlio, ha sospeso temporaneamente la punizione affinché l’annuncio della vittoria di Cristo su satana e la morte risuonasse da un angolo all’altro della terra ed attraversasse i secoli.

Guardiamo ora alla storia della Chiesa: tutti gli scismi hanno avuto come causa prima la superbia. Fozio, a cui va fatto risalire l’inizio delle divisioni tra le Chiese d’Occidente e d’Oriente, era uomo di cultura vastissima e di vasto ingegno: prova ne sia la sua “Biblioteca”, raccolta in epitomi della letteratura greca e bizantina, “l’opera più importante di storia letteraria del Medioevo” secondo il Krumbacher. Però era divorato dall’ambizione, e nulla lasciò di intentato pur di sedere sulla cattedra patriarcale di Costantinopoli: ingraziatosi l’imperatore Michele III sino a diventare primo segretario della cancelleria imperiale, quando questi depose il legittimo patriarca Ignazio lo chiamò a succedergli benché laico. Vuoi perché conoscevano l’uomo, vuoi perché fosse illegittima la deposizione di Ignazio, non si trovò un vescovo che volesse consacrarlo; si andò a ripescare l’ex metropolita di Siracusa, Gregorio, destituito da Ignazio e sospeso da papa Benedetto III. Fozio, per restare in sella in condizioni così precarie, poteva sperare solo nell’appoggio imperiale, e sapeva come conservarlo: nonostante in Bulgaria vi fossero inviati da Roma che operavano alacremente per la conversione di quel popolo, egli inviò missionari greci per stabilirvi così una supremazia non tanto spirituale ma soprattutto politica filo-bizantina sulla corte bulgara e lo zar Boris I. Questi li scacciò, preferendo i missionari occidentali: allora il patriarca, prendendo a scusa la questione del “Filioque”, scomunicò il Pontefice nell’867. Egli, per i propri interessi, non si curò del comando di Dio dato a Pietro: “Su questa pietra fonderò la mia Chiesa”, né della sua preghiera “che siano una cosa sola”; per perseguire i propri obiettivi non si curò né della Sua Parola, né della Sua volontà.

Lutero fece lo stesso: insuperbì a tal punto da ritenere se stesso puro, e la Chiesa peccatrice; tale fu la sua superbia che reinterpretò San Paolo e Sant’Agostino a proprio uso e consumo, ben sapendo che l’interpretazione delle Scritture è prerogativa della Chiesa. Cosa aspettarsi di buono da un uomo così incancrenito nella presunzione di potersi sostituire a Dio, e scegliere (“haeresis”, in greco) cosa fosse giusto e cosa no della Legge e della Parola di Dio? Nulla: per irrobustire la sua eresia e renderla gradita ai principi, arrivò ad esortarli a combattere i contadini, che si erano rivoltati a causa delle sue idee: «Che ragione c’è di mostrare clemenza ai contadini? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli, se Dio non li salva vuol dire che sono criminali. […] Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi».
Se si passano in rassegna i molteplici orrori della storia umana, vedremo che è la storia di uomini fatta da uomini, che nacquero dalle cause più disparate ed andarono come andarono per le cause più diverse. Eppure tutti questi orrori hanno avuto in comune la superbia: il rinnegamento di Dio, la ribellione alle Sue leggi e – quale logico corollario – le persecuzioni alla vera Fede ed alla Chiesa. Basterebbe citare il Terrore, che costò la vita o la deportazione a 30.000 sacerdoti e ad una moltitudine di religiosi e semplici credenti: si arrivò all’empietà di sostituire Dio con la Ragione. Sostituire Dio! E sì, la storia si ripete come dai primordi…

Oppure andiamo pure al secolo scorso, il secolo dell’ateismo. L’ateismo, la suprema forma di superbia. La ferma e lucida follia di negare Dio aprì il secolo con la rivoluzione bolscevica: solo nella Chiesa greco-cattolica ucraina, 8 dei 10 vescovi morirono nei gulag; Trotsky fece personalmente massacrare 28 vescovi e 1200 sacerdoti. D’altronde Bucharin già nel 1919 aveva dichiarato: “la religione e il comunismo sono incompatibili sia in teoria che in pratica”. Il secolo proseguì con la follia delle leggi Calles in Messico: chiusura delle scuole cattoliche e dei seminari, espulsione dei sacerdoti stranieri e numero chiuso per quelli messicani, divieto di celebrare la Messa ed i Sacramenti. Sino al ridicolo di vietare espressioni quali “se Dio vuole”. La lotta dei “Cristeros” costò la vita ad 85.000 cattolici. Citiamo infine, perché ancora troppo poco nota, la posizione del nazismo verso la Chiesa: come emerse dal processo di Norimberga, Hitler chiamava l’annientamento della Chiesa cattolica “l’ultimo grande compito”. Basterebbe citare padre Kolbe, ma è fin troppo noto: ricordiamo allora il beato padre Neururer, lasciato morire a testa in giù per la terribile colpa di aver battezzato un prigioniero a Buchenwald; o il beato padre Gapp, ghigliottinato nel 1943. Disse Giovanni Paolo II nell’omelia per la loro beatificazione: “Padre Gapp recò la propria testimonianza con la forza della Parola coraggiosa e della profonda convinzione come fra l’ideologia pagana del nazionalsocialismo e il cristianesimo non si potesse giungere ad alcun compromesso. In questa contrapposizione vide, a ragione, una lotta apocalittica. Sapeva da che parte stare e per questo venne condannato a morte.” Dalla caduta di Lucifero siamo arrivati ai giorni nostri. Ma l’abominio continua.
E infine fu come in principio
![Un moderno grattacielo che sorge dall'antica torre. Passano i secoli non il peccato. « Il re di Babilonia sarà deriso con questa canzone: [...] Avevi deciso di scalare il cielo e di porre il tuo trono sulle stelle più alte Pensavi di sedere come un re sulla montagna di settentrione dove si radunano gli dei Volevi salire in cielo, oltre le nuvole, per diventare simile all'Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso! » (Isaia 14,4-17)](http://www.papalepapale.com/develop/wp-content/uploads/2016/07/Un-moderno-grattacielo-che-sorge-dallantica-torre.-Passano-i-secoli-non-il-peccato.jpg)
« Il re di Babilonia sarà deriso con questa canzone:
[…]
Avevi deciso di scalare il cielo
e di porre il tuo trono sulle stelle più alte
Pensavi di sedere come un re
sulla montagna di settentrione
dove si radunano gli dei
Volevi salire in cielo, oltre le nuvole,
per diventare simile all’Altissimo.
E invece sei stato precipitato negli inferi,
nelle profondità dell’abisso! » (Isaia 14,4-17)
Oggi più che mai il padre della menzogna sussurra all’orecchio degli uomini. Egli però sa che il suo più grande inganno è far credere di non esistere: davanti ad un nemico palese, ci si arma e ci si prepara. Ma con uno occulto, c’è poco da fare; se poi è mascherato da amico, è davvero difficile individuarlo.
Il dragone infernale oggi si maschera da amico dell’uomo, da filantropo: e pungola l’uomo di nuovo alla ribellione. Che il piano sia suo, e che stavolta l’attacco sia totale, lo si capisce dalle dimensioni del fenomeno: non è più un partito, un pezzo di nazione o qualche potere a rinnegare Dio, le sue leggi e la sua volontà. Interi continenti sono pervasi da una folle superbia, come al tempo della torre di Babele; in particolare l’Occidente, che tutto deve alla civiltà cristiana, pare essersi abbandonato nelle braccia di questi sussurri mortiferi.
Li sentiamo risuonare ogni giorno, ogni istante: e a furia di sentirli, sempre più persone si arrendono intontite da un martellamento che non ha eguali, conformandosi alla moderna versione del pensiero unico. Quali sono questi sussurri? I soliti, solo riverniciati per farli sembrare nuovi: “tu non hai bisogno di Dio! Tu sei Dio! Ciascun uomo deve decidere da solo ciò che è bene e ciò che è male! Rispetto per tutti, noi vogliamo bene a tutti: non siamo come la Chiesa, che fomenta l’odio! Lei è l’ultimo ostacolo al progresso civile! Come osa intromettersi nelle cose civili? Ci intromettiamo forse noi nelle cose sue? Dicano le loro preghiere in chiesa o in casa loro, ma non mettano fuori il naso! I loro simboli sono una violenza inaccettabile per chi non crede: i loro crocifissi, i loro campanili, le loro processioni ed i presepi! Via! Via!” Siamo solo all’inizio della discesa, eppure vediamo sotto i nostri occhi la follia dilagante: interi popoli, accecati dalla superbia ed impestati dal mefitico alito diabolico, abbattono e sovvertono una dopo l’altra le leggi di Dio, e lo rinnegano apertamente. Sotto gli occhi di un clero che talvolta sembra sbandare, anch’esso travolto; in taluni casi addirittura si rende complice della ribellione a Dio: non è una novità, Nostro Signore è stato venduto per 30 denari, figuriamoci quando in ballo ci sono milioni.
L’uomo rialza la testa come a Babele, ed innalza le sue torri per spodestare Dio. Le innalzerà sempre di più, calpestando tutto ciò che è sacro; già iniziano anche le discriminazioni, che sempre precedono le persecuzioni: il governo inglese nel 2012 si è opposto all’appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo da due lavoratrici inglesi, licenziate perché indossavano una catenina con un crocifisso durante l’orario di lavoro. I presepi scompaiono, i crocifissi sono rimossi, le chiese ed i cimiteri profanati; l’abominio viene spacciato per “diritti civili”, ivi compresa la possibilità di fare dei bambini un osceno mercato del bestiame.
Già, i bambini, il futuro dell’umanità. Nei Paesi scandinavi vengono invitati fin dall’asilo a scambiarsi i vestiti con quelli dell’altro sesso, per educarli alla parità di genere. Con buona pace di chi “maschio e femmina li creò”. Dal 2014 in Belgio è legale l’eutanasia per i minori, di qualunque età. D’altronde nel 2012 il Journal of Medical Ethics pubblicò un articolo esauriente in merito:
“nei Paesi dove è permesso l’aborto perché non consentire anche l’infanticidio, dato che né il feto né il neonato hanno ancora lo status morale di persona? […] Se i criteri come i costi (sociali, psicologici ed economici) per i potenziali genitori sono buone ragioni per avere un aborto anche quando il feto è sano, se lo status morale del neonato è diverso da quello del bambino e se non ha alcun valore morale il fatto di essere una persona potenziale, le stesse ragioni che giustificano l’aborto dovrebbero anche giustificare l’uccisione della persona quando è allo stadio di un neonato”.
Ed il vecchio omicida ride a crepapelle.