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L’infaticabile artigiana della misericordia: Madre Speranza

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Madre Speranza di Gesù Agonizzante ha voluto ricordarci che questo Padre condivide la fatica e la nostra debolezza umana. Nell’umanizzazione del Figlio sceglie di mettersi accanto a noi. A Collevalenza ho avuto l’impressione che ancora oggi ciò che più scandalizza del Vangelo non sono le sue parole di giudizio, di rimprovero e nemmeno quanto è riportato di «bene» compiuto da Gesù. Al contrario, ciò che scandalizza è questa misericordia illimitata, interpretata  e attuata da Lui in un modo opposto a quello pensato dagli uomini

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12442848_10206694434253873_5058031_ndi Andrea Maniglia

Lo scrittore francese Georges Bernanos annotò che «la santità non si può costringere in una formula, o meglio, si può compendiare in tutte. Essa racchiude e supera tutte le forze, essa realizza il condensamento, costretto in un unico piano, delle più alte facoltà umane». La santità tocca concretamente tutti!

La santità non può essere mediocre

Michele Baumgarten, scrisse, poi, [profeticamente] che «vi sono epoche in cui discorsi e scritti non bastano più a rendere generalmente comprensibile la verità necessaria. In tempi simili le azioni e le sofferenze dei santi devono creare un nuovo alfabeto per svelare nuovamente il segreto della verità». Si comprende che il santo è tutto l’opposto di qualunque uomo tranquillo che scivola giorno dopo giorno nella banalità. Egli è l’attore di un dramma che propone di vivere secondo una logica del tutto diversa da quella offerta da mondo. Il santo è capace di «ridisegnare» la storia, di riscriverla partendo da Dio. Il santo non conosce la parola ”mediocrità”: l’uomo mediocre è un uomo diviso, qualcosa a Dio, qualcosa a se stesso, è un uomo che assomiglia alle onda del mare, sempre in balia del vento e della risacca. L’uomo mediocre è un uomo diviso e contraddittorio, perennemente oscillante, incapace di scelte ferme e radicali. L’uomo mediocre è diverso dal cristiano, il quale, seppur con fatica si abbandona alla generosità e alla fantasia dell’amore di Dio che è apparso con un volto umano.

madre-speranza (1)La santità consiste essenzialmente – sono parole di Leon Bloy – nel mettere da parte «la negligenza, la pigrizia, la svogliatezza, il cercare sempre e soltanto i propri comodi» e, invece, «cercare di avvicinarci a Lui». Per dirla con l’Apostolo Paolo, la santità consiste nel formare Cristo in noi o più semplicemente prendere la forma di Cristo (cfr. Galati 4,19).

Il teologo milanese Don Giovanni Moioli, affermò, poi, che «la verità dell’uomo, infatti, non è nell’uomo, ma nell’umanità di Gesù Cristo». Questa non è solo una frase, ma un programma. Essa riassume, in modo preciso, quella che in fondo è l’esperienza cristiana: un rapporto continuo tra il soggettivo (io) e l’oggettivo (Cristo Gesù). L’esperienza di fede, e quindi il cammino di santità, scrive don Moioli, “è un atteggiamento complesso dell’uomo che dice a Gesù Cristo: «Tu sei la mia vita»; cioè: «Tu misuri la verità del mio modo di essere uomo»”. Così fu per Madre Speranza.

S. Giovanni Paolo e madre Speranza

S. Giovanni Paolo e madre Speranza

Mentre batto al pc questi pensieri la memoria corre a ritroso ripensando alle diverse occasioni nelle quali ho avuto modo di visitare, a Collevalenza, quella che è l’opera della mistica spagnola; di gustarne il carisma; un carisma che anticipò, per singolare ispirazione divina, quanto fu sottolineato dal Vaticano II sulla chiamata universale alla santità: Dio cerca l’uomo e tutti chiama alla santità.

A Collevalenza il mistero dell’Amore Misericordioso di Dio per gli uomini viene ricordato in maniera che anche i sensi e l’immaginazione ne siano stimolati. San Giovanni Paolo II, nel novembre 1979, in visita alla Comunità Parrocchiale di Spinaceto in Roma ricordò che «l’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita». Accostarsi alla figura di Madre Speranza è, per me, come avvicinarsi ad alcune figure bibliche, di cui si può cogliere solo qualche sprazzo luminosissimo in mezzo a un mistero di piccolezza e di silenzio.

L’incontro con la Misericordia

Speranza, giovane suora

Speranza, giovane suora

Madre Speranza di Gesù, al secolo Maria Josefa Alhama Valera, nacque a Santomera, provincia di Murcia, in Spagna, il 30 settembre 1893, primogenita di nove fratelli. Il padre José Antonio era un bracciante agricolo e la madre Maria del Carmen, casalinga. Crebbe nella povertà della famiglia ed intorno ai 7 anni venne accolta nella casa del parroco di Santomera, don Manuel Allaga e fu affidata alla custodia delle sue due sorelle nubili. Qui ricevette un po’ d’istruzione senza frequentare nessuna scuola ed ebbe modo di  imparare, anche, alcuni lavori domestici; rimase a casa del parroco fino a 21 anni, quando nel 1914 partì per farsi religiosa.

Dapprima entrò tra le Figlie del Calvario, Istituto di semiclausura, fondato nel 1863, qui, Maria Josefa, emise i voti il 15 agosto 1916 assumendo, così, il nome di Suor Speranza di Gesù Agonizzante. La Pia Unione delle Figlie del Calvario era composta da sole sette suore anziane, e presentava, per questo, prospettive incerte per il futuro; fu così che Suor Speranza decise di passare nell’Istituto delle Religiose di Maria Immacolata, dette Missionarie Claretiane fondate, nel 1855, da Sant’Antonio Maria Claret, anch’esse, come le prime, dedite all’educazione cristiana.

Ai tempi della fondazione della famiglia religiosa dell'Amore Misericordioso

Ai tempi della fondazione della famiglia religiosa dell’Amore Misericordioso

Con il passare del tempo, diventò in lei sempre più chiara la missione che la Divina Provvidenza – per mezzo di un incontro del tutto straordinario con la Santa di Lisieux – le voleva affidare: trascorse nella Congregazione delle Missionarie Claretiane nove anni intensi, svolgendo, così, diverse mansioni quali, sacrestana, portinaia, economa, assistente delle bambine.

Fu proprio in questi anni che si accentuarono in lei fenomeni non comuni, che attiravano l’attenzione delle consorelle e di alcune personalità spagnole ed estere. Nel 1930 lasciò definitivamente le Missionarie Claretiane e per poter svolgere senza restrizioni la sua missione verso i poveri fondò, a Madrid, il collegio di “Nuestra Señora de la Esperanza” e nel Natale di quello stesso anno, nella povertà più assoluta ebbe inizio in forma privata, anche, la fondazione delle “Ancelle dell’Amore Misericordioso”, un istituto la cui missione era quella di far conoscere l’Amore Misericordioso del Padre mediante la pratica delle opere di misericordia ed in particolare tramite all’assistenza domiciliare dei molti poveri e all’accoglienza di anziani e disabili.

La solita prova dei Fondatori: calunnie e punizioni

Con il futuro padre Alfredo

Con il futuro padre Alfredo

Nel 1936 Madre Speranza lasciò la sua patria e si trasferì a Roma, per aprire una Casa religiosa, in affitto, in via Casilina 222, una delle zone (in quel momento) più povere della Capitale. La permanenza di Madre Speranza a Roma vide la nascita di diverse opere di carità tra cui l’organizzazione di una mensa sociale per molti poveri, sfollati e operai, la costruzione della nuova casa generalizia delle Ancelle e l’accoglienza di numerose bambine.

Gli anni tra il 1936 e il 1941, mentre in Spagna infuriava una sanguinosa Guerra Civile che ebbe numerosissimi martiri religiosi, furono per Madre Speranza quelli più duri: giunsero, infatti, calunnie – un vero classico nella storia dei fondatori religiosi – verso la sua persone e ammonimenti che invocavano la sua rimozione da Superiora Generale. E anche quando sopraggiunsero da parte del Sant’Uffizio pesanti provvedimenti a suo carico, Ella li accolse con spirito di sottomissione e ubbidienza, esortando le sue figlie a fare altrettanto.

Aveva scritto a tal proposito:

«Non è degno del Vangelo chi non è disposto a lasciarsi umiliare come il chicco di grano che, per dare vita a molti altri chicchi, si nasconde sotto terra, marcisce e muore… è nella Croce che si impara ad amare Gesù è lì che si apprende la lezione dell’amore… Senza Croce non v’è redenzione, se non passiamo per questa scuola di virtù non giungeremo alla perfezione dell’amore».

Proprio a Roma, anni dopo, il 15 agosto 1951, Madre Speranza fondò la Congregazione maschile dei Figli dell’Amore Misericordioso che ebbe in Padre Alfredo Di Penta1 il primo frutto. Il «fine principale di questa congregazione – scrive Madre Speranza – è l’unione del clero diocesano con i religiosi, i quali devono porre tutto l’impegno e la cura nell’unirsi ai sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole».

Il ramo maschile, agli albori

Il ramo maschile, agli albori

Il 18 agosto 1951 si trasferì a Collevalenza in Umbria, dove fondò una Comunità di Ancelle e Figli dell’Amore Misericordioso. Qui avviò un laboratorio di cucito per aiutare con i proventi i più bisognosi e per accogliere gratuitamente molti bambini poveri vittime del periodo post bellico. Sfamò chi aveva perso tutto e aprì una nuova mensa, con l’aiuto della Provvidenza, dove giunse ad accogliere oltre mille persone al giorno. Proprio a Collevalenza realizzò il suo sogno: un santuario dedicato all’Amore Misericordioso che testimoniasse e facesse conoscere a tutti la misericordia del Padre che accoglie quanti sono disposti a lasciarsi amare e perdonare da Lui. Morì serenamente il giorno 8 febbraio 1983, all’età di quasi 90 anni.

Dio non è un contabile

Questi pochi riferimenti biografici, necessari per poterne comprendere almeno in parte la figura e il carisma, mettono in luce un aspetto particolare della sua vita: Madre Speranza, con la Fondazione dell’Amore Misericordioso, si è sentita chiamata ad annunciare, a vivere e a testimoniare che, come Lei scrive:

«Dio è un Padre pieno di amore e di misericordia, non è un contabile ma perdona e dimentica le offese e le miserie dei suoi figli», ed ancora, «Dio è un Padre di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli;  li cerca e li insegue con amore instancabile come se Lui non potesse essere felice senza di loro; l’uomo il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto è amato con tenerezza da Gesù che è per lui un Padre ed una tenera Madre».

Davanti alle nostre incapacità, ai nostri peccati, ai tradimenti del Vangelo, alle nostre inutili chiacchiere religiose, Dio ci domanda di buttare in Lui il nostro niente, e probabilmente (anche) il nostro peccato. Non si tratta, qui, di chiudere gli occhi davanti al nostro male e al nostro limite, quanto di cercare, invece, di intravedere quanto di buono potrà svilupparsi in noi se decidiamo di far spazio a Dio; se decidiamo, anche solo per un po’ di lasciar fare a Lui.

Art06In questa nostra cultura «della retorica», piena di aleatori “buoni sentimenti” e in cui si discute continuamente dei massimi sistemi mentre la gente muore, in cui si fanno dichiarazioni universali mentre la mentalità diffusa accetta, di fatto, tutte le contraddizioni di una economia disumana, di una politica idolatrica, tutte le logiche di un benessere famelico e lo scandalo di una povertà che affama masse enormi di uomini, la misericordia deve essere la chiave di lettura della nostra storia e anche della nostra fede.

La misericordia è il nucleo intimo e profondo del Vangelo. Sulla Croce, Vangelo e mondo cozzano tra loro, in uno scontro che diventa definitivo e senza esclusione di colpi. In questo costante conflitto ogni cuore diventa un campo di battaglia. Vale la pena, allora, “ammalarsi” di passione, combattere appassionandoci. E del resto è stata la passione di Cristo a cambiare, e salvare, il mondo.

Madre Speranza ricorda ad ognuno di noi che una vera esperienza di fede non chiede al Vangelo che cosa può conservare della propria vita e dei propri interessi senza comprometterli; una vera esperienza di fede è capace di compromette tutto, fino a considerare tutto quel che non è di Cristo e del suo vangelo ”spazzatura” (cfr. Fil 3,8); una vera esperienza di fede accetta di ”perdere tutto”, vive la grammatica dell’amore, non del calcolo, ma della gratuità e della disponibilità totale al Vangelo e a Cristo.

Il Santuario di Collevalenza

Il Santuario di Collevalenza

Annota nel suo diario:

«Egli abita dentro di noi e cerca con tenerezza il nostro amore, quasi non potesse vivere senza di noi…». È un Dio «mendigo de amor» – mendicante di amore. Le risposte alla nostra colpa, limite, peccato non sono le scuse e l’infantile tentativo di giustificarci, ma è il perdono. Anche se «tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio» (cfr Rm 3,23) il bisogno più profondo che abbiamo resta quello del perdono di Dio. Del sapersi amati.

Quest’amore ha spinto Madre Speranza ad abbracciare la sua missione verso gli ultimi, una delle sue note più caratteristiche, per la quale ancora oggi è ricordata da tanti, era la ricchezza affettiva del suo cuore, espressione di un amore materno, premuroso e intenso. Ed è proprio qui che si concretizza la specifica missione di «far conoscere a tutti gli uomini di tutto il mondo l’Amore e la Misericordia del Signore, nei confronti dei poveri che si trovano nel bisogno o nel peccato».

Del vangelo scandalizza la misericordia

madre-SperanzaA Collevalenza si comprende, almeno per me è stato così, che la misericordia non è solo un sentimento da riscoprire; un sentimento fino ad oggi trascurato, possiamo dire quasi archiviato, troppe volte strumentalizzato e quasi svuotato di significato e di contenuti. A Collevalenza si gusta una misericordia che si manifesta in atti di soccorso, in aiuto concreto; nel fermarsi al vedere una persona in difficoltà. Proprio come fa Dio nei confronti del peccatore. Egli, infatti, dice Madre Speranza «non è un giudice severo ma un padre buono e una tenera madre, che i Suoi figli li segue e li cerca con un amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di loro».

Nell’esperienza della misericordia ci viene sempre incontro un Dio che si rallegra del ritrovamento, che non ci lascia in preda alla solitudine e al rifiuto. Un Padre che non si arrende sdegnato davanti al nostro peccato. Questo Dio che ha conosciuto e che ci presenta Madre Speranza è un Padre – “el màs bueno de los padres” – che va alla ricerca degli uomini e chiede ad ognuno di noi “que le llamemos Padre“.

Forse è proprio per questo che a Collevalenza (come spesso capita in molti santuari nazionali e non) si fa una forte esperienza di carità che in pochi attimi demolisce e ricostruisce nuova l’idea di vita cristiana che abbiamo. Lì è indescrivibile la presenza di questo Padre buono disposto a tutto affinché nessuno si perda (cfr Gv 17,11). Lì arrivi pieno del mondo e, dopo l’incontro con il Misericordioso vai via col Cielo che si è stabilito dentro di te. Tutta la nostra falsità, la voglia di attirare l’attenzione, la nostra finta santità a Collevalenza è «ridotta ai minimi termini».

Madre Speranza ha voluto ricordarci che questo Padre condivide la fatica e la nostra debolezza umana. Nell’umanizzazione del Figlio sceglie di mettersi accanto a noi. A Collevalenza ho avuto l’impressione, che ancora oggi ciò che più scandalizza del Vangelo non sono le sue parole di giudizio, di rimprovero e nemmeno quanto è riportato di «bene» compiuto da Gesù. Al contrario, ciò che scandalizza è questa misericordia illimitata, interpretata  e attuata da Lui in un modo opposto a quello pensato dagli uomini.

La questione dell’acqua che redime e guarisce

Le piscine del Santuario

Le piscine del Santuario

Il messaggio dell’Amore Misericordioso è un messaggio scandaloso, che non è capito da quanti si sentono giusti, in pace con Dio ma che è compreso e atteso da chi si sente nel peccato, bisognoso del suo perdono. Ha scritto giustamente Albert Camus nel suo libro La caduta: «Nella storia dell’umanità c’è stato un momento in cui si è parlato di perdono e di misericordia, ma è durato poco tempo, più o meno due o tre anni, e la storia è finita male».

Il messaggio della misericordia è eterno: c’è ancora urgente necessità di ribadirlo, soprattutto oggi, per imparare a «non disperare mai della misericordia di Dio» (Regola di Benedetto 4,74). Soprattutto per quei cristiani assetati di autenticità, che, avendo già iniziato un cammino spirituale, sono desiderosi di progredire nell’amore e cercano la via più incoraggiante e più sicura. L’impiego dell’acqua nella Sacra Scrittura è collegato alla sua valenza rituale e purificativa. Secondo le leggi ebraiche di purificazione, ogni persona che era contaminata doveva lavare il suo corpo con l’acqua corrente (Lv 14,5-6; Nm 19,9-22), così come era per i riti di purificazione che venivano svolti mediante aspersioni su persone e oggetti (Lv 14,7.51; Nm 8,7; 19,18-19). In questa linea rituale si colloca il simbolismo della purificazione dal peccato mediante il segno dell’acqua (Sal 51,9), segno della remissione delle colpe di tutto il popolo mediante un’aspersione escatologica (Ez 36,25), simbolo, poi, del perdono finale di Dio (Is 1,16; 4,4; Ger 33,8) e soprattutto, infine, prospettiva battesimale nel quadro neotestamentario.

madresperanza-gesc3b9Anche a Collevalenza l’acqua ha una funzione essenziale: Madre Speranza, nonostante l’indifferenza e la derisione di molti, era certa del potere miracoloso di quell’acqua, scaturita dal nulla; scaturita probabilmente solo dalla fiducia in Dio. Lei aveva assicurato che per mezzo di quell’acqua, Dio opererà guarigioni spirituali e corporali, anche incurabili. Confermando, così, che Collevalenza diventerà come una seconda Lourdes.

L’acqua delle piscine del Santuario dell’Amore Misericordioso ha sanato e continua a sanare molte ferite e molte infermità. E anche quando la volontà di Dio dispone diversamente per i pellegrini che attendono un miracolo fisico, questi comunque tornano alle loro case riconciliati, con la pace interiore, unita a quella forza necessaria per accettare la volontà del Signore e alla consapevolezza di una frequentazione dei Sacramenti. L’acqua del Santuario è la meta ultima di un percorso: il pellegrino che giunge a Collevalenza è invitato, prima, a chiedere il perdono dei propri peccati; è invitato, così, ad assumere un atteggiamento di contrizione e di pentimento delle proprie colpe. Insomma è invitato ad inginocchiarsi innanzi all’Amore del Padre, a riconoscersi amato e limitato e a scegliere di lasciar dirigere tutta la propria vita da Lui.

Una suora curva ed anziana, rammentando le parole di Madre Speranza, proprio lì a Collevalenza, testimone delle varie trivellazioni alla ricerca del pozzo e poi nel 1960 dell’inaugurazione dello stesso, mi sussurrò che il Signore vuole risanarci anche da malattie incurabili per farci capire che la sua misericordia può guarirci da ogni forma di infermità anche spirituale. Ed è proprio vero, l’Amore di Dio ci risana da quelle paralisi che ci bloccano e ci costringono a stare «accovati nella melma puzzante del nostro inferno» (Giovanni Papini). E dall’acqua che si riemerge nuovi, così come si esce rinati dal confessionile: risanati e guariti. Il grande Crocefisso in legno policromo opera dell’artista Cullot Valera che accoglie quanti giungono a Collevalenza è il segno di quest’abbraccio eterno di Dio per noi. La misericordia Crocefissa di Dio ci espone, ci spoglia di tutto, ci fa nudi, autentici e semplici. Ogni giorno siamo invitati a compiere, come fu per Madre Speranza, un atto di libertà: uscire dall’ansia di possedere, dall’egoismo e dalla illusione di poter dire «basto a me stesso».

Amato clero

Chi ha avuto modo di leggere le pagine del diario di Madre Speranza ha potuto constatare il suo ardente desiderio di potersi offrire come vittima di espiazione per i peccati dei sacerdoti del mondo intero. Voleva riparare alle offese commesse specialmente dai sacerdoti.

Ricordo dell’ordinazione sacerdotale di P. Alfredo, proprietà dell’articolista

Il 16 febbraio 1940 annotò:

«Aiutami, Gesù, perché in queste angustie, sofferenze e dolori, io soffra solo per Te, per la Tua gloria e per i sacerdoti del mondo intero che hanno avuto la disgrazia di offenderti…”,

e ancora nel Giovedì Santo di quello stesso anno, 21 marzo 1940, rinnovò, con parole cariche di commozione, il suo voto:

«Oggi, giorno del Giovedì Santo, rinnovo, Gesù mio, l’offerta fatta nel 1927 al mio Dio come vittima per i poveri sacerdoti che si allontanano da Lui e lo offendono gravemente. Ti chiedo Gesù mio, di non lasciarmi un istante senza dolori e tribolazioni, e che la mia vita sia un continuo martirio, lento ma doloroso, in riparazione per queste povere anime e per ottenere la grazia del pentimento».

12442733_10206670771662323_314309232_nUn altro passo del diario ci aiuta a comprendere questo suo desiderio di riparazione e questo suo esser sovente pronta ad espiare i peccati di quello che Gesù colloquiando con lei, in alcune esperienze mistiche, aveva definito “amato clero”. Quest’altro passo che segue è datato 2 Aprile 1942. Un altro Giovedì Santo. Madre Speranza scrive:

«Oggi, giorno del Giovedì Santo, ti prego Gesù mio, di non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero per i quali desidero vivere come vittima: illuminali, Gesù mio, con la tua luce chiara affinché comprendano e sperimentino il vuoto e la nullità delle cose umane, e attirali a Te, mostrandoti ad essi come Padre amoroso e fonte di ogni bene. Dà, Gesù mio, alla volontà di ognuno di essi la forza e la costanza di cui hanno bisogno per non desiderare né cercare niente fuori di Te».

L’amore della Madre si unisce all’amore di Gesù per i suoi sacerdoti, per i quali Madre Speranza ha pregato ed ha sofferto non poco. Le attenzioni e le premure materne che Madre Speranza aveva nei confronti dei sacerdoti erano abbastanza evidenti. Il suo desiderio, per questo, fu, ed è ancora oggi così, che in tutte le Case della Congregazione i sacerdoti potessero sentirsi come a casa propria. Per questo motivo lo stesso servizio nei loro confronti è impostato sulla gratuità. Ancora oggi alcune Ancelle dell’Amore Misericordioso ricordano che nonostante li ospitasse gratuitamente, se li vedeva vestiti dimessamente, li provvedeva di quanto avevano bisogno.

Cingolo liturgico confezionato dalla beata Madre Speranza.

Cingolo liturgico confezionato dalla beata Madre Speranza

Diceva: questo è il secolo di più santi, ma è pure il secolo in cui il Clero e le anime consacrate offendono di più il Signore perché è il secolo che dà più occasione di peccato. La sua più grande sofferenza fu vedere cadere in disgrazia uno dei ministri di Dio. Mi piace pensare, a tal proposito, chissà quante volte si sarà chiesta: Chi pensa ai preti? Dove trovano conforto nello scoraggiamento e nella solitudine? A queste intime domande Madre Speranza ha cercato di rispondere prendendosi cura della loro vita spirituale, specie di quelli più giovani, per mezzo  dell’animazione fraterna di raduni, ritiri e corsi di esercizi spirituali.

Ha provveduto, poi, all’accoglienza e all’assistenza di quelli più anziani e malati «costruendo luoghi» non solo materiali in cui anche i sacerdoti potessero vivere l’esperienza della divina misericordia. Ancora oggi i Figli dell’Amore Misericordioso si occupano di accompagnare situazioni problematiche all’interno del clero testimoniando così che c’è speranza, quella trascendente che recupera l’uomo nella sua integralità. L’atteggiamento di Madre Speranza è una provocazione, ancora oggi, per molti Vescovi che si dicono padri.

Donna casta

madre_speranzaQuanti hanno avuto la grazia di conoscere de visu o ex auditu Madre Speranza sono certamente rimasti meravigliati dalla sua purezza. La Madre ha vissuto, infatti, ed insegnato a vivere e ad abbracciare il voto di castità non solo come obbligo dato da un particolare stato di vita, non solo come testimonianza profetica di una sequela peculiare del Maestro, ma anche in chiave di donazione.

Ama la castità chi sa amare, ama la castità chi sa donarsi. Il linguaggio della castità oggi (purtroppo) suona male, anche all’interno degli stessi ambienti ecclesiastici. Forse era per questo che Madre Speranza amava regalare ai suoi figli sacerdoti un cingolo che lei stessa confezionava con quelle stesse mani doloranti a motivo delle stigmate2, affinché, prima di salire presso l’altare di Dio, stringendolo ai fianchi, ogni alter Christus potesse ricordare la sua appartenenza a Lui. Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis – (Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza e prosciuga nel mio corpo la linfa della dissolutezza, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità).

Grazie a questa scelta radicale, il cui valore oggi occorre riscoprire, Madre Speranza è arrivata ad amare con libertà, con la quale si apriva all’ascolto e nel servizio disinteressato degli altri, nella purezza del cuore, lasciando trasparire, così, che Dio che era il suo unico interesse. La castità trova da sempre la sua sorgente nell’Eucarestia. In passato si era soliti invocare la SS.ma Eucarestia come il Sacramento che germina i vergini. In essa misteriosamente e misticamente si crea una stretta relazione tra il corpo di Gesù e il nostro corpo. Le ore passate dalla Madre innanzi al Tabernacolo sono infinite:

Quanto è amabile, mio Gesù, il tuo tabernacolo! Beati coloro che abitano nella tua casa, vicino al tabernacolo dove dimora il mio Dio, non in segni e figure, ma in tutta la realtà della sua presenza, anche se coperto dal velo delle specie per non abbagliare i nostri deboli occhi. Le apparenze lo sottraggono al nostro sguardo, ma, anche se oscuramente, possiamo dire abbracciandoci a Lui quando lo riceviamo nella santa Comunione: Ti tengo stretto e non ti lascerò; ti ho nelle mie mani, sulle mie labbra e in tutto il mio essere perché chi mangia il tuo Corpo deve diventare un solo spirito con Te.

La  meditazione assidua della Parola di Dio, la recita dell’Ufficio divino, la devozione alla Vergine, la Comunione Eucaristica e l’adorazione contribuirono alla perseveranza non solo della sua castità consacrata, ma anche di tutti i suoi santi propositi. La comunione eucaristica che ci assimila alla Vittima immolata, a sua volta è «il fonte dell’amore, della santità», perché non c’è nulla che «più unisca con Dio» (cit. San Paolo della Croce).

Bilocazioni, stimmate e attacchi del maligno

Don Francesco Asti, sacerdote napoletano, Consultore presso la Congregazione per le Cause dei Santi, ha riportato nel suo libro “Teologia della vita mistica. Fondamenti, dinamiche, mezzi” (Edizioni LEV) che la vita mistica è un movimento di comunione con Dio, detto appunto non solo mistico, ma della vita mistica, in quanto cammino di fede vissuto nella ferialità della vita quale sviluppo battesimale dei doni di Dio (cfr pp. 21-22).

In questa prospettiva si comprende anche che «il cammino mistico […] non riguarda solo il monaco o la monaca che si ritirano nel deserto, ma ogni fedele, in quanto l’incontro trasformante con Dio avviene quando l’anima è unita a Lui» (cfr pp. 29-30). Le numerose esperienze mistiche di Madre Speranza sono conosciute – lo erano già quando la beata era in vita. Desiderosa di contemplare la passione di Gesù e soprattutto bramosa di imitarne i sentimenti fu sempre particolarmente devota al Calvario. Basta ricordare che Madre Speranza ebbe le stimmate, le quali durante il periodo della Passione (settimana santa) divenivano ben visibili a tutti. Sono note le grandissime penitenze, sacrifici, privazioni e mortificazioni alle quali si sottoponeva.

Art07_01Come molti altri santi nella storia (Padre Pio, Natuzza Evolo e molti altri) ebbe il dono particolare della bilocazione. I biografi raccontano sovente l’episodio di bilocazione avvenuto col Venerabile Pio XII. Mentre il pontefice stava nel suo ufficio papale, in un istante, si ritrovò di fronte la monaca. Sbalordito le chiese come fosse riuscita ad entrare, e la Madre rispose che l’aveva mandata il Signore per parlargli di alcuni fatti importantissimi.

Sono conosciutissimi, inoltre, gli episodi in cui la Provvidenza non ha smesso di sorprendere questa semplice suora: dispense miracolosamente stracolme di ogni genere alimentare oppure banconote e sacchetti con monete «caduti miracolosamente dal cielo» utilizzati per la costruzione del Santuario. Quando per la prima volta ebbi modo di sentir parlare di Madre Speranza, fu per un episodio collegato col Servo di Dio P. Candido Amantini, sacerdote esorcista, di cui si è aperta la causa di beatificazione e di cui poi successivamente negli anni, sono divenuto biografo e studioso. Ebbene, quando si ha a che fare con l’Amantini c’è di mezzo sempre il demonio. E proprio lui, il “tignoso”, era solito, di notte, picchiare Madre Speranza, con estrema violenza, sino ad arrivare a romperle le ossa e costringerla ad esser portata d’urgenza in ospedale la mattina successiva. Spesso si sentiva udir provenire dalla sua camera orribili grida, grotteschi versi d’animali furiosi, rumori di catene ed una forte puzza di zolfo. Nel museo a Collevalenza è possibile osservare i fogli ove la Madre scriveva le sue esperienze spirituali e che prendevano spontaneamente fuoco come, spesso, avveniva, anche, con le coperte del suo letto.  Ma la sua fede, ricorda il Card. Amato, nell’omelia per la beatificazione le permise di attraversare «le oscure gallerie del male, dell’incomprensione e dell’umiliazione, uscendo purificata e rafforzata nei suoi propositi».

Messaggere di luce in un secolo di tenebra

MADRE_col_paneVittorio Messori sulla rivista “Jesus” (febbraio 2001) ricordava che sulla devozione dei santi sembra «sia sceso una sorta di silenzio imbarazzante, se non di rifiuto, quasi si trattasse di superstizione o, almeno, di un aspetto di anacronistica religiosità popolare». È ormai da diversi anni, personalmente, che scrivo sui santi e di santità per diversi motivi. La santità ed i santi non piacciano a tutte quelle lobby di teologi che discorrono sul celibato dei preti, sula verginità della Vergine Maria, sulle coppie di fatto e sui matrimoni gay. Questi teologi – per così dire – «avanzati» considerano i santi ignoranti e «passati» di moda. Troppo vecchi per la Chiesa (quale Chiesa, poi?!). I santi, invece, fanno parte proprio di quei «semplici» che, per il Vangelo, capiscono ciò che è nascosto ai dotti e ai sapienti. Troppo spesso, in questa nostra società, corriamo il rischio di chiudere la speranza cristiana, in un ambito intramondano sempre più sprangato alla trascendenza; abbiamo relegato questa virtù ad una felicità di natura edonistica o immaginaria e artificiale prodotta dalle sostanze stupefacenti, che ricerchiamo nel fascino illusorio delle filosofie orientali e nelle spiritualità esoteriche delle diverse correnti New Age.

Negli occhi di questa donna, invece, si comprende bene che vale la pena riscoprire la nostra comune vocazione alla santità. A tal proposito il Cardinal Amato, concludendo l’omelia per la beatificazione della Madre augurava ai presenti che la vita fosse «una corsa verso la santità, perché il mondo ha sempre più bisogno di persone sante, che sappiano vincere il male col bene».

Servo di Dio vuol dire essere Crocefisso con Cristo: Madre Speranza, questa donna sempre sorridente, è salita su quella Croce e stringendo in un abbraccio il mondo intero è divenuta canale mediante cui Gesù diffonde il grande messaggio della misericordia nel mondo. È certamente possibile, a tal proposito, poter affermare che Madre Speranza e la mistica polacca Suor Faustina Kowalska hanno, in un secolo buio, avvicinato e proclamato al mondo l’Amore viscerale di Dio per ogni uomo. C’è affinità: entrambe furono scelte per essere messaggere di luce in un secolo di tenebra. La Kowalska annotò nel suo diario le parole di Gesù: «Nell’Antico Testamento mandai al Mio popolo i profeti con i fulmini. Oggi mando te a tutta l’umanità con la Mia misericordia. Non voglio punire l’umanità sofferente, ma desidero guarirla e stringerla al Mio Cuore misericordioso» (Q. V,155).

In conclusione: qualche anno prima di morire Madre Speranza aveva chiesto che i suoi figli «di comune accordo, mi vogliano concedere una grazia da me tanto desiderata e precisamente: se il buon Gesù mi concede di poter consumare la mia vita qui, vicino al Suo Santuario, io vorrei che Voi lasciaste i resti di questa povera creatura il più vicino possibile a questo Santuario perché desidero che si consumino vicino ad esso come fortunatamente si sta consumando tutta la mia vita a servizio del medesimo».

Morte di Speranza. 8 febbraio 1983 a 90 anni

Morte di Speranza. 8 febbraio 1983 a 90 anni

Questa povera creatura, la cui vita fu vissuta, cuore a cuore con Cristo, ancora oggi, ha da dirci ed insegnarci qualcosa. Probabilmente ha da ricordarci un messaggio antico, il più delle volte offuscato dalla logica di questo mondo in decomposizione. Con la testimonianza della sua vita, ci ha chiamati a rispondere alla domanda: Chi sei, Gesù per me? La risposta non può più, essere descrittiva («Tu sei»), ma esperienziale («Tu per me sei»). Ed è proprio questa domanda che non finisce mai di  interpellarci e alla quale la vicenda terrena e spirituale di questa figlia umile della cattolica Spagna può essere una risposta. Saremo liberi, pienamente liberi, quando decideremo di fare quelle cose che nessuno ci costringe di fare, andare contro corrente – fidarci di Dio per esempio, oppure assumere la logica della Croce o sottomettersi amorevolmente alla forza rivoluzionaria del Vangelo. Così come ha fatto lei Esperanza de Jesús Agonizante.


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