La pietra è il luogo escatologico per antonomasia, l’elemento simbolico e concreto sul quale il divino, che sia Gesù Maria Michele, dai cieli irrompe sulla terra e dalla terra risale i cieli. Sulla pietra, che sia quella del Golgota del Geztemani del Deserto del Tabor o anche di Lourdes e Monte Sant’Angelo, la storia della salvezza manifesta i suoi momenti topici, il raggiunto climax della divino-umanità. La pietra congiunge e separa il terreno dall’ultraterreno, le tenebre dalla luce, il bene dal male
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Il Mastino *
Mi spiace che sia scomparso dalla liturgia; mi spiace anche che sia sfumato l’enorme culto che il mondo rurale gli ha per secoli tributato, quando ancora la paura del suo diretto e storico avversario, il demonio, era l’altro aspetto, fondante, della fede popolare, prova che non è necessario essere degli intellettuali per capire i misteri della fede: il mondo contadino conosceva l’essenziale, ciò che conta della sua religione; lo stesso non si può dire degli intellettuali che hanno preso poi il sopravvento nell’ultimo mezzo secolo di storia ecclesiastica.
Sto pensando a san Michele Arcangelo, mentre giro per tutte queste vecchie e antiche chiese della Puglia, regione che accoglie anche il santuario e “l’impronta del piede” – così vuole una pia tradizione – del Principe delle milizie celesti, a Monte Sant’Angelo: noto che in ciascuna chiesa (delle antiche ma in nessuna delle moderne) c’è una pala d’altare, una statua di pietra o cartapesta che raffigura l’Arcangelo.
Nel Sud è consueto il suo culto nelle zone altamente sismiche, perché egli è il santo che protegge da certi cataclismi: il “male della pietra” per antonomasia, il terremoto. Ma qui in Salento, la terra meno sismica d’Italia, perché? Certamente è un (ex) culto importato da coloro che per primi arrecarono il cristianesimo in questo lembo di terra pertinacemente pagano: i monaci basiliani. I quali erano “uomini della pietra”, ossia fondavano i loro eremi e gli edifici di culto nelle grotte, scavando nella roccia calcarea. O forse dipende dalle lunghe contaminazioni orientali, sia ortodosse e persino musulmane, confessioni dove l’Arcangelo ha un suo status di tutto rispetto: anche alla Mecca c’è “la pietra dell’Arcangelo”. Ecco, la parola chiave: la pietra. Ogni volta che si parla dell’Arcangelo Michele, che si sia cristiani o musulmani, c’è sempre una pietra alla base del culto. Persino i terremoti, dai quali protegge, altro non sono che scomposizione della pietra.
Questo riflettevo rimirando un antico graffito rupestre che raffigura il Principe delle milizie celesti in una antichissima e diroccata grotta in aperta campagna, sotterranea e scavata nella pietra, in questa zona del profondo Sud salentino: una grotta basiliana eretta a chiesa e cenobio oltre mille anni fa da quei monaci, e della quale restano ormai solo i cocci delle razzie e del tempo. La Grotta dell’Annunziata. La pietra!
Dal punto di vista dell’antropologia religiosa e della storia sociale, come spiegare il culto di Michele Arcangelo nei secoli?, questo mi domandavo in quella penombra umida. E una sola parola, tra queste sacre pietre cadute, mi riaffiorava sulle labbra: la pietra!
Michele e la pietra. Questo culto legato sempre alla roccia, alle grotte, alla montagna come elemento simbolico e concreto, metafisico e inquietante sospeso com’è in una dimensione altra e di mediazione, di contatto e separazione tra buio e luce, tra cielo e terra, che demarca il limite tra bene e male, empireo e inferi, tra i due arcangeli a capo delle opposte legioni: Michele e Lucifero.
La centralità della pietra nei culti dell’Arcangelo come in tutti i culti mariani – Maria, la grande alleata di Michele – che si installano sul monolite, la grotta, la collina rocciosa, il basamento pietroso sul quale la Vergine sarebbe apparsa qua e là (riflettiamoci: esclusa Fatima, la Madonna sembra non poter fare a meno della roccia nelle sue irruzioni terrestri). Questa centralità della roccia nei culti micheliti e mariani, sembra quasi richiamare gli antichi culti megalitici specialmente diffusi nella zona mediterranea.
Ma tutto si basa sulla “pietra” nella storia della salvezza: lo stesso erede di Gesù si chiama Pietro, Cefa cioè, che sta a significare “pietra”, e su quella pietra Cristo fonda la sua Chiesa. Su una pietra fatale Gesù si poggia a pregare, piangere e sudare sangue nell’Orto degli Ulivi. Sulla pietra del Golgota, del quale l’evangelio sembra enumerare ogni asprezza rocciosa e desolata, contandone tutti i sassi, là muore colui che a base della Chiesa poco prima aveva posto la pietra; e dalle pietre sepolcrali, silenti testimoni del mistero tremendo e glorioso, poco prima rotolate a sigillare l’umanità di Gesù, trapassandole egli risorge, e i primi testimoni osservano le pietre per farsi cogliere dallo sgomento della profezia che sta manifestandosi. “Salendo sul monte” il Cristo detta le leggi fondamentali di beatitudine e da quelle rocce si trasfigura svelandosi, lì perde la sua umanità, supera la sua divino-umanità, si dissolve nella divinità piena che nei tratti non ha più nulla di umano: tutto è trasfigurato nella gloria. Su una “montagna” rocciosa. La pietra!
Sulla roccia di una collina in un deserto pietroso Gesù è tentato da Satana: da lì, dalle altezze e asprezze rocciose, rappresentazione simbolica e concreta della durezza dell’ascesi, lì gli è offerta la potenza e la gloria del mondo. Su quella stessa roccia, il Demone perde la sua partita: la roccia è anche il luogo dell’Arcangelo non decaduto. E del trionfo.
Sulla “pietra metafisica”, la collina che separa due universi simbolici – luce e tenebre, cielo e terra – i due poli, il negativo e il positivo di una realtà, gli opposti per antonomasia si toccano, si incontrano, coincidono e si respingono: Lucifero, già portatore di luce, e Michele, angelo di luce. La luce dissolve le tenebre laddove le incontra: la roccia è il punto di incontro-scontro. E di irradiazione.
La pietra, nella storia divina, è l’elemento e il luogo del sacrificio e della tentazione, della sconfitta e dell’impassibilità, della catarsi e della gloria. Per antonomasia forma ed elemento escatologico, è il palcoscenico eletto della trasfigurazione e della trasmutazione, dove due nature, quella spirituale e materiale, si congiungono e si separano, una soltanto, quella verticale, in su la cima, guadagnando la gloria immortale.
Le pietre sono simboli, i simboli sono pensieri, i pensieri diventano fatti, e ultra-fatti: immobili mentre il resto gira e scompare, le rocce rappresentano l’eterno. “Le pietre sono uomini” dice Hikmet.
In quelle rocce, dunque, cerco il significato e la potenza di Michele Arcangelo.